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Richard Wright, il lato tranquillo dei Pink Floyd

Quando il 15 settembre del 2008 si seppe della morte di Richard Wright, il mondo del rock e i fan dei Pink Floyd furono colti di sorpresa.

Con Richard se ne andava un pezzo di storia della musica e tramontava ogni remota possibilità di reunion della band. Soprattutto, però, la scomparsa di Wright – dopo una breve battaglia col cancro – giungeva in un momento di rinascita del musicista inglese; Richard era quello che, tra i membri dei Pink Floyd, aveva più sofferto l’egemonia quasi dittatoriale di Roger Waters, tanto da abbandonare il suo ruolo di tastierista fisso da prima di The Wall.

Al mitico album del “muro” e alla successiva tournee, infatti, Richard Wright aveva partecipato esclusivamente come musicista esterno – anche se alla fine dei concerti era sempre a fianco della band per i saluti finali – per abbandonare completamente ogni attività col gruppo prima di “The Final Cut”. (leggi l’articolo)

Fu un periodo di gravi traversie anche personali per Wright, che in quegli anni si stava anche separando dalla prima moglie, tuttavia la sua militanza da esterno gli permise di togliersi un paio di soddisfazioni. La prima economica: essendo un esterno stipendiato dalla band, fu praticamente l’unico a guadagnare dal tour di “The Wall”, un grande successo ma tremendamente dispendioso; inoltre, fu l’unico a poter dire di avere suonato in tutti i concerti dei Pink Floyd, assieme a Nick Mason, essendo “The Final Cut” rimasto privo di qualsiasi performance live.

Quando – dopo una battaglia legale poco dignitosa – Gilmour e Mason rifondarono i Pink Floyd, Wright lavorò di nuovo da esterno in A Momentary Lapse Of Reason, per poi riprendere il suo ruolo ufficiale già dall’anno dopo, tanto che nel successivo “The Division Bell” (leggi l’articolo) Richard risulta autore di ben cinque brani.

Dal 2005 era avvenuta – dopo alcuni progetti solisti di non grande impatto – una nuova rinascita. Wright aveva suonato coi riformati Pink Floyd per ilLive 8, dove era tornato sullo stesso palco con Roger Waters dopo ben 23 anni, e aveva attivamente partecipato al nuovo disco di David Gilmour, “On A Island”, e al tour successivo, dove aveva risfoderato addirittura il mitico Farfisa Compact Duo ed il Binson Echorec 2. A Richard era tornata la voglia di suonare e di comporre, e chissà cosa sarebbe successo senza la sua improvvisa scomparsa?

Ma per capire chi fosse il più tranquillo, modesto e ironico dei Pink Floyd, dobbiamo tornare nel quartiere di Hatch End a Londra, il 28 luglio del 1943. Il suo primo avvicinamento con la musica è dovuto – come per tanti altri artisti – a uno di quei casi fortuiti vicini al concetto di serendipità: il giovane Richard si frattura una gamba e, immobilizzato in casa, inizia a suonare il pianoforte, immancabile in una famiglia benestante come la sua.

L’orecchio è finissimo per natura e l’inclinazione è per il jazz di Miles Davis e Chet Baker. Richard impara a battere sui tasti con uno stile da autodidatta, tutto suo, ma non solo: impara a suonare anche tromba, trombone, sax e chitarra ritmica.

E proprio come chitarrista ritmico entra a far parte della piccola band di due amici conosciuti al politecnico di Regent Street; i compagni sono Roger Waters e Nick Mason, la band si chiama ancora Sigma 6.

Al politecnico Wright studia svogliatamente architettura, mentre da poco ha smesso di frequentare il London College Music, dove ha imparato molta teoria, – sarà l’unico ad aver studiato musica nella band – a suonare il vibrafono e ha perfezionato la conoscenza delle scale pentatoniche e modali, appassionandosi alla musica orientale.

Quando Syd Barrett entra nel complesso, che prende allora il nome di Pink Floyd, Wright è l’unico ad avere già qualche esperienza professionale di composizione e negli studi di registrazione, inoltre il suo stile si amalgama molto bene a quello del futuro “diamante pazzo”. La stella di Barrett tramonta quasi subito e Syd, nonostante il suo perenne stato di alterazione psichica, incide subito due lavori solisti; album su cui proprio Richard spende parole piuttosto dure: “Non so immaginare qualcuno che possa apprezzare i dischi di Barrett, musicalmente sono atroci e le uniche belle canzoni sono impossibili da suonare, riflettono lo stato di confusione totale che esiste nella sua mente.”

Nei nuovi Pink Floyd il ruolo di Richard è da subito molto importante, la sua voce è perfettamente complementare con quella di David Gilmour – il nuovo chitarrista – e la sua vena compositiva lo rende fondamentale a livello di scrittura. Le sue sperimentazioni col Farfisa Compact Duo, filtrato attraverso l’unità eco Binson Echorec, caratterizzano il suono dei Pink Floyd di quel periodo. Pare inoltre che il doppio Ummagumma, con la parte equamente divisa tra i quattro musicisti, sia dovuto a una sua idea. “Sysyphus”, dallo stesso album, rimane una delle sue composizioni più importanti e cardine del disco. Ma la mano di Wright si cela dietro tanti episodi importanti, specie nei primi anni; in “A Saucerful of Secrets” compare “Remember a Day”, bel brano sospeso tra tardo beat e psichedelia, interamente composto e cantato da Richard; non solo, la bellissima title track, vero pezzo da novanta del rock psichedelico, è caratterizzato dalla parte finale, denominata “Celestial Voices”, composta ancora dal nostro e con una splendida parte di organo, ben visibile anche nella celebre versione del live a Pompei.

In “Atom Heart Mother” Wright scrive e interpreta “Summer ‘68”, una classica ballata dai toni quasi pop, che sarà in parte ripresa da Fabrizio De André in “Fiume Sand Creek”; inoltre dà un grande contributo nella suite da cui il lavoro prende il titolo, in particolare nella parte conosciuta come “Mother Fore”, in cui emerge la sua passione per il jazz e per la musica classica, con una sezione corale ispirata all’opera di Henry Purcell.

Anche inMeddle – uno dei lavori più centrati dei Pink Floyd – Richard offre un grande contributo, specie nella suite “Echoes”; sua è la voce che armonizza quella di Gilmour nelle parti corali ed è lui a comporre la strofa e la parte dopo gli assoli, di stampo prettamente progressivo. Iconica è l’introduzione creata per mezzo di un’estensione del suono di un pianoforte a coda amplificato mediante un altoparlante Leslie e una nota acuta prodotta dalla slide guitar di Gilmour. Il suono iniziale del pianoforte, con un’unica nota ripetuta a riprodurre una goccia d’acqua che cade sulla terra, è parte della storia del progressive.

Forse però il più grande contributo creativo, Richard lo dà nel capolavoro The Dark Side of the Moon; sua è una delle composizioni più celebri dell’intero canzoniere della band, “The Great Gig In The Sky”, con la voce di Clare Torry, e sua è la musica di “Us and Them”, pezzo dalla storia complessa che parte anni prima. Wright aveva composto inizialmente il brano durante la lavorazione della colonna sonora di “Zabriskie Point” di Michelangelo Antonioni. Il pezzo andava a commentare la parte denominata “The Violent Sequence”, ma il bizzoso regista scelse alla fine di lasciare lo spezzone senza commento musicale e il brano finì nel dimenticatoio. Fu ripescato per il concept sul lato oscuro della luna e, col testo di Roger Waters, divenne uno dei pezzi più importanti dell’album.

In Wish You Were Here Wright si prende un bello spazio specie nella suite “Shine On You Crazy Diamond”, in cui suona organo, Minimoog, ARP String Ensemble, clavinet, piano elettrico e acustico; anche nella famosa ballata che dà il titolo alla raccolta, il pianoforte di Richard emerge per poche note che però sottolineano perfettamente la suggestione del brano.

Da lì in poi l’egemonia di Waters nel gruppo, le difficili vicissitudini personali e una sostanziale stanchezza per la vita da rockstar, contribuiranno al declino della figura di Wright nell’economia generale del complesso.

Il giudizio umano su Roger Waters, nelle parole di Richard è come sempre ironico e tagliente al tempo stesso: “Cosa penso di Roger Waters? Che è un uomo molto intelligente e altrettanto furbo.”

La carriera solista, avviata nel 1978 con “Wet Dreams” (leggi l’articolo) – un buon disco ma dal successo limitato – si compone di un altro disco inciso con l’estemporanea band Zee, “Identity,  definito dallo stesso Wright come “un errore di sperimentazione” e del conclusivo “Broken China”, di nuovo un buon lavoro che non ottiene però grandi riconoscimenti.

Purtroppo, come anticipato, la breve rinascita artistica dei primi anni duemila fu vanificata dalla malattia, e le ultime pagine del romanzo di Richard Wright sono rimaste non scritte.

Quella che ci rimane è la bella dichiarazione di commiato di David Gilmour, forse l’amico di una vita del Pink Floyd più quieto:

Nessuno può sostituire Richard Wright. È stato il mio partner musicale e amico. Nelle discussioni su chi o cosa fossero i Pink Floyd, il contributo enorme di Rick negli ultimi periodi con Roger Waters è stato spesso trascurato. Era un tipo così gentile, modesto e riservato ma la sua voce profonda e il suo modo di suonare erano vitali, magiche componenti del nostro riconoscibile sound. Non ho mai suonato con nessuno come con lui. L’armonia delle nostre voci e la nostra telepatia musicale sono sbocciate nel 1971 in “Echoes”. A mio giudizio tutti i più grandi momenti dei Pink Floyd sono quelli in cui lui è a pieno regime. Dopotutto, senza “Us and Them” e “The Great Gig in the Sky”, entrambe composte da lui, cosa sarebbe stato “The Dark Side of the Moon”? Senza il suo tocco pacato l’album “Wish You Were Here” non avrebbe funzionato molto. Nei nostri anni di mezzo, per vari motivi lui ha perso la sua strada per qualche tempo, ma nei primi anni novanta, con “The Division Bell”, la sua vitalità, brillantezza e humor sono ritornati e la reazione del pubblico alle sue apparizioni nel mio tour del 2006 è stata tremendamente incoraggiante, ed è un segno della sua modestia che quelle standing ovation siano giunte a lui come una grande sorpresa (sebbene non al resto di noi). Come Rick, non trovo facile esprimere i miei sentimenti con le parole, ma lo amavo e mi mancherà enormemente.”

Epitaffio migliore non poteva essere scritto.

 

— Onda Musicale

Tags: Nick Mason, The Final Cut, Ummagumma, Rick Wright, Meddle, Pink Floyd, David Gilmour, Roger Waters, Richard Wright, The Wall
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