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Recensione: “Simply” di Horus Black

Il nome di Horus, antico dio egiziano del Sole, vi riporterà alla mente tempi antichi e remoti dove, assieme al vento caldo del deserto, risuonava una musica molto particolare che ancora oggi echeggia nelle nostre città.

È in una di queste, precisamente a Genova, che l'avventura del nostrano Horus comincia. Per l'anagrafe si tratta di Riccardo Sechi, giovane dotato cresciuto in una famiglia di musicisti, ma per i più ora è Horus Black e questo è il suo album d'esordio. "Simply":

 

"Simply": title track semplice e malinconica, come un pezzo dei Cure, la canzone si sviluppa su di un giro composto da pochi accordi mentre la voce di Horus Black canta di un'avventura tra due giovani dove, il ragazzo, rimane "semplicemente" da solo dopo la fine della storia.

Il finale poi è una sorpresa visti gli incastri di tipo orchestrale, potenti e sovrastanti, sulla semplicità della linea melodica

"We are alone tonight": un coinvolgente giro di basso riporta l'ascoltatore indietro fino ai gloriosi anni '70, vero e proprio periodo d'oro del rock, tra cori, palm muting e soprattutto una ragazza che si "scuote" citando anche le origini degli anni '50. Da non dimenticare il brevissimo momento più "clean" e rilassato prima del finale.

"Lonely melody": ritorna anche qui il basso in primo piano, seguito da tastiere ed atmosfere a tratti western, con la sua cupa malinconia. Al pari del titolo, infatti, il brano parla dell'impossibilità di ricevere l'amore della ragazza tanto desiderata facendo piombare l'innamorato nel baratro della solitudine.

Qui la voce di Horus si fa più potente e lamentosa, come un Frank Sinatra meno felice del solito, puntando dritta al ricordo di ciò che non è mai stato.

I know that you want”: per un momento, bando alla malinconia, con un ritmo a metà tra il funky degli anni '70 – '80 ed il beat degli anni '60, immaginate di mischiare James Brown con Mungo Jerry, tutto da ballare con tanto di crescendo delle coriste in sottofondo.

"Sophie": ritorno in pieno stile agli sfavillanti anni '50, sia per il ritmo con chitarre e piano che per il testo vagamente allusivo ed autobiografico.

Si canta infatti di quella volta che un amico di Horus ci stava provando con una ragazza, indovinate come si chiamava, ma anche la sorella non era affatto male. Lasciate che a continuare la storia ci pensino le infiammate chitarre ed i sensualissimi fiati!

"The march of hope": atmosfere da big band che accompagnavano i grandi solisti di un tempo, immaginate che tale musica provenga da una massiccia radio in legno, a dimostrazione della versatilità e della cultura musicale di questo giovanissimo artista.

Lasciatevi poi incantare dall'assolo di chitarra elettrica che vi rimanderà alla mente il Brian May dei primissimi tempi con i Queen.

Miss Candy”: inizialmente pensata come una canzone del nonno paterno dedicata alla nonna, soprannominata per l'appunto “caramella”, morta purtroppo qualche anno fa.

L'atmosfera vintage e malinconica è una riflessione dell'uomo su come sia partito questo amore meraviglioso e su come mai sia dovuto finire così anche se lui continua ad amarla. Emozionante e toccante da sola vale tutto il disco e merita più ascolti!

"Cock a doodle doo": anni '50 come se non ci fosse un domani con riferimenti, soprattutto per il ritornello, alle celeberrime "Tutti frutti" di Little Richard e “Be boppa lula” di Gene Vincent. E pensare che questa canzone è nata da una lettura scolastica de “La tempesta” di William Shakespeare!

"In my bed": cercare di dormire, senza riuscirci, finendo a fissare il soffitto buio in una notte anonima. Alzi la mano a chi non è mai capitato!

We can't go on this way”: per concludere il disco, Horus utilizza atmosfere e sonorità più psichedeliche e sognanti, ma da dove ha origine esattamente questa canzone spaziale? Lasciate che a spiegarlo sia l'autore “l'origine di "We can't go on this way" è probabilmente la più bizzarra se confrontata a quelle delle altre canzoni contenute nell'album. Una mia amica doveva festeggiare i 18 anni di età ed era venuta a sapere che un anno prima io ed altri miei due amici avevamo scritto un'altra canzone per una ragazza che stava per diventare maggiorenne e chiese di fare lo stesso. Questa volta però decisi di fare le cose per bene, quindi scrissi musica e melodia e poi consultai i miei amici per farne una versione stupida dal punto di vista del testo, che includeva sul finale persino un estratto della Bibbia riguardante l'apparizione a Maria dell'angelo Gabriele con tanto di accompagnamento di organo stile chiesa (tutta questa parte ovviamente è stata eliminata)".

In conclusione che dire di questo disco? Devo dire che è stata una bellissima sorpresa inaspettata! Un esempio magistrale di creatività artistica che strizza l'occhio a decadi importanti per la musica senza mai cadere nella scialba imitazione o simile. Davvero ben fatto!

 

Vanni Versini – Onda Musicale

 

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Tags: Little Richard, James Brown, Queen, Brian May, Frank Sinatra, The Cure, William Shakespeare, Vanni Versini
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