Recensioni e Interviste

Recensione di “@90”, il nuovo album di Beppe Dettori

Viene da lontano @90, l’album di Beppe Dettori uscito il 31 maggio di quest’anno. Da lontano non si intenda in senso spaziale, la Sardegna, terra natia di Dettori e fonte di ispirazione fondamentale della sua carriera artistica (ricordiamo che stiamo parlando del frontman dei “Tazenda” dal 2006 al 2012), ma perché’, @90, viene effettivamente dagli anni ’90.

Non si tratta quindi di un esperimento artistico che cerca di riportarci al passato, come tanto va di moda in questi tempi, ma del passato che torna prepotentemente nel presente. Il disco di Dettori non aveva trovato posto, al tempo, nell’etichetta discografica italiana, e questo è un peccato ora che abbiamo avuto la possibilità di ascoltarlo.

Progetto nato nel 1998 da Beppe Dettori e Giorgio Secco (ottimo chitarrista e compositore italiano), ad ascoltarlo oggi, risulta strano che al tempo non sia stato accettato, poiché suona perfettamente come il classic rock che tanto andava all’affacciarsi del terzo millennio. L’album rievoca alla mente quel Grignani o quel Ramazzotti con i quali, dopotutto, Dettori al tempo lavorava. Non siamo quindi di fronte a un artista minore che fa l’occhiolino ai grandi successi della musica di quegli anni, ma piuttosto siamo di fronte a una delle fondamenta di questa musica.

Ora, a venti anni dalla produzione, il lavoro di Dettori e Secchio ha trovato la sua strada, in un periodo musicale dove produrre un album è fortunatamente un’impresa meno impossibile e dai risultati più democratici (grazie a Dio gli artisti stanno riuscendo ad uscire dall’asfissiante sudditanza a case discografiche spesso alla ricerca di stereotipi).

Così vi i raccontiamo come suona un lavoro di venti anni fa nel contesto musicale di oggi.

@90 è un album di sospensione, smarrimento, riflessione con sé stessi, che pure non lascia mai spazio alla tristezza. Sembra che i tanti stati d’animo raccontati in ogni canzone non ostacolino mai il senso di benessere e di forza che trapela nell’album.

  1. MONNALISA: la prima traccia introduce il disco con un prepotente giro di basso, che anticipa un qualcosa che sta succedendo: “si vorrei rubarla”, un racconto ambientato a Parigi al museo del Louvre, un addetto alla sicurezza tramortito, un uomo che tenta di rubare qualcosa (dipinti? Arte? Emozioni?). L’ironia non manca in questo pezzo che parla di appartenenza e desiderio. La fuga del ladro è seguita dagli strumenti che creano una corsa di pensieri: cosa fare quando si vuole rubare un quadro? Come fare per conquistare quella donna? Un’ottima scelta, quella di introdurre l’album con un pezzo in cui si vede lo speciale tocco di Ivan Graziani, che vi ha collaborato.
  2. STARO’ MEGLIO invece inizia con un giro di chitarra molto semplice, molto “anni 90”, è una ballata di cuore, dal ritmo più piano, una confessione, un viaggio per grandi spazi aperti dove la musica segue le parole: “In fondo c’è un dolore” recita il testo. Starò meglio è la speranza di innamorarsi del vagabondare, di ritrovarsi in nuovi punti di vista. Una melodia apparentemente semplice che più del pezzo precedente rende onore alla sensibilità della voce di Dettori.
  3. In MENTRE PASSA torna il ritmo, torna un’atmosfera più oscura. Un pensiero a sé stessi, musica e parole sono un giro nella testa e nei pensieri “questo vuoto dentro non fa più paura adesso…tutto ricomincia a girare” e a girare è la musica.
  4. SHA LA LA: “La follia la follia quanti ne ha portati via” sembra che la follia sia al centro di questo brano che ha un particolare gioco linguistico nel testo, voluto o no, il discorso non è solo al proprio io, ma una frase impersonale, passa a ‘dare del tu’, per sfogarsi con un interlocutore. È un continuo passare dalla terza persona, alla seconda, alla prima. Un brano che si rivolge a tutto e a niente e rende bene l’idea di un uomo che è perso dopo essere impazzito, in un vaneggiare dolce e assuefatto: “Sto seguendo la tua scia, ma forse è meglio di niente, un girotondo che ho in mente”. Senza pretese retoriche questo è uno dei brani con il testo che più ci colpisce, accompagnato da uno stile un po’ funky.
  5. FERMI IL TEMPO: Pezzo che si fa forte di distorsoni di chitarra elettrica e di scale alla tastiera, risulta musicalmente molto ricco, fermandosi solo, come anticipato dal titolo, al ritornello. Un gioco di alti e bassi che fa divertire la voce di Dettori a variare in sfumature graffianti, acute, dolci e sussurrate. In questo pezzo sembra davvero riecheggiare Grignani. La canzone è un inno genuino a una persona che ci stupisce.
  6. I’M FALLING DOWN: Non facciamoci stupire dal titolo in inglese, questo è un brano in italiano se non per il ritornello, fatto di suoni forti che cullano una preghiera implorante, che invita a far cadere il velo della freddezza e a lasciarsi andare all’intimità e alla sincerità. Un effetto cullante ottenuto con la slide guitar che accarezza il brano e le parole. “Ma è assurdo sai, alla fine siamo noi, a sfogare questa rabbia maledetta contro chi sai bene che non c’entra”: una frase particolarmente interessante nel riassumere il male del nostro tempo e particolarmente contemporanea. La voce di Detti, in questo ritornello in inglese, è particolarmente convincente. La canzone è di grande pathos e potrebbe risultare perfetta colonna sonora di qualche film del cinema italiano. Ottima idea mettere questo brano a metà album.
  7. SONO USCITO: No, il titolo e la provenienza dell’autore possono ingannare, ma non siamo di fronte a Salmo e al suo “Machete Mixtape n.4”; siamo sempre nell’album di Beppe Dettori. Questo pezzo sembra una cavalcata avvincente che rialza molto il ritmo del CD e si fa cantare facilmente: “Poi mi son deciso e finalmente ho proprio esagerato”: uscire di casa, uscire dagli schemi, uscire allo scoperto, un brano che invita a uscire, in tutti i sensi.
  8. L’ottava traccia, QUANDO È ORA DI ANDARE, è una confessione veloce, una canzone che si affaccia nell’album con una potente base strumentale, dove la chitarra elettrica e le sue distorsioni escono e rientrano all’interno di un più composto, ma felice, giro di basso. Il brano accenna anche sonorità più esotiche e arabeggianti: è un invito a tuffarsi “la paura di buttarsi, il futuro di cambiare, vivere” una canzone che affronta pericolo, coraggio e avventura con un testo simpatico, anche se risulta un po’ retorico e troppo entusiasta…si intuisce qui che il brano è nato in un tempo che non aveva ancora visto crisi economica e molte crisi di governo!
  9. MI PIACE STARE QUI è un’altra dolce riflessione, un pensiero su una persona che lascia molti misteri, un richiamo implorante di essere ascoltati e capiti, con l’intento di riavvicinarsi. Ancora un pezzo in crescendo che ha grande entusiasmo: “Mi piace stare qui, a farmi del male per poi ricordare anche solo una cosa in più di te”. Ricordi e invocazioni di momenti…un testo quasi indie!
  10. RABBIA E DOLORE: Un inizio più in sordina, solo voce e chitarra, parole impegnate che vogliono raccontare una storia. Questo, coerentemente con il titolo, appare alle nostre orecchie il testo meno sereno dell’album ma è sicuramente uno dei più interessanti. Non si tratta solo di amore, non si tratta di confessioni, implorazioni o entusiasmo, si tratta di rabbia e dolore, appunto. La forza di questo brano è nel cambiare linguaggio rimanendo coerente, però, al resto dell’album.
  11. TUTTO IL VELENO alla lettura sembrerebbe che Detti si dedichi agli sfoghi, in questa parte finale dell’album, ma questo brano è diverso da quello che ci si aspetterebbe dal titolo o dal brano precedente. È una melodia più sentita e più acuta in cui la voce sembra strisciare e ammiccare alla passione “resto qui, qui sul tuo corpo”. Non è un grido di rabbia, né un invito alla riflessione, è intimità e sesso.
  12. PRENDO QUELLO CHE C’E’: percussioni sottili, corde tese e stridule “mai, lo avresti detto mai, che tutto torna, a volte resta, certo non si ferma mai”. Una canzone d’amore per concludere l’album, il testo non ha niente di particolare ma è molto sincero: chiude con coerenza e con passionalità. Lo sfogo finale è anche per i musicisti e le atmosfere rock che creano sotto al canto, particolari e movimentate, riecheggiano in un effetto corale.

 

@90 è un album fatto da professionisti. Gli strumenti, la voce, i testi, concordano perfettamente e concordano anche con il titolo e l’intento dei suoi creatori. L’album è un tuffo nel passato, in un mondo che si vedeva forse con più ottimismo e più speranza, suona infatti come un classico della musica italiana.

Può sembrare fin troppo classico a una generazione di ragazzi, un po’ disillusi, un po’ intimiditi e resi cinici da un mondo cambiato in fretta, ma per amanti dei classici rock italiani di fine secondo millennio, l’album di Dettori è in perfetta armonia con i sentimenti e le passioni di chi sa parlare a sé stesso.

— Onda Musicale

Tags: Tazenda
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