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“Io Dio No”, l’esoterico viaggio di Alberto Nemo

Se credete di aver ascoltato tutto in campo musicale è il caso di ascoltare il nuovo album di Alberto Nemo “Io Dio No” in uscita il 15 febbraio 2020. (leggi l’articolo)

Il canto di Alberto Nemo sorge sin dalla prima traccia come una preghiera antica: un frate che nella profondità del suo animo incontra con la voce culture lontane, suoni ossessivi, melodie prolungate. Gorgheggi e arpeggi vocali, giochi di alti e bassi, vibrazioni di diaframma che attraverso la musica riproducono quasi il movimento e la tensione dell’aria. Questa particolare espressione canora crea una solenne e oscura ipnosi che sembra il risveglio da un lungo sonno sotterraneo.

La descrizione un po’ apocalittica, in senso biblico, non è casuale, poiché guardando al personaggio Alberto Nemo, in video o in foto, questi ricorda certamente un’immagine esoterica, tra storia e fantasy; una costruzione studiata, tanto affascinante quanto impegnativa. Così Alberto Nemo appare e risuona ai limiti del verosimile: un frate gregoriano, un cantante lirico, un eremita, un profeta. Cosa egli voglia raccontare in “Io Dio No” non è facilmente intuibile, ma le atmosfere che la sua voce evoca risultano molto forti.

La voce di Nemo domina il primo brano dell’album e si estende sviluppandosi su una base musicale elettronica, fragile sostegno per la voce piena e profonda. Questo contrasto, questo sviluppo a onde tra cantato e strumento, si affievolisce a fine traccia, quando finalmente la base musicale irrompe in percussioni disturbanti, bassi rimbombanti e suoni striduli che ricreano quello che sembra il ronzio di una zanzara. La musica riprende in questo modo il suono orientale evocato sin dall’inizio con le mille vibrazioni prodotte da Nemo. Così esplode il brano e così esplode l’album.

I testi delle canzoni sono minimali in confronto alla musica, ma ne risultano imprescindibili: le parole infatti sono riflessioni ed evocazioni di immagini: “È un movimento così statico questa mia stagione che sta per sfiorire“, “Non sono solo nel sentirmi solo, mi sento in compagnia“, citano alcuni dei versi della seconda traccia “Canzone 2”.

Le parole ripetitive e vibrate sono indissolubili dalla musica anche nel quarto brano “Canzone per noi” e riproducono -il deserto di suoni- menzionato, dove si citano -gabbie di luce nel buio- che creano senso di estraneità confermato nella frase  “io mi sento un po’ fuori dal mondo“. In questo brano, dal significato intenso e dalla riflessione metafisica sembra che Nemo veda tutto dall’alto, come fosse una tempesta della natura e dello spirito, tempesta che è quindi riprodotta dal suono dalla pioggia, dagli strumenti ad arco e dai battiti del cuore: tutto è rinchiuso in poche note.

Un’altra menzione per la suggestiva creazione di immagini merita il brano “Le vele” che sin dai primi istanti di ascolto, prima di aver letto il titolo, ha evocato alla mente l’immagine di una nave in una baia, in un mare scuro notturno (un po’ come in quella famosa saga di film Disney). Subito dopo la conferma nel testo: di una nave, di vele. La sonorità è sempre più decadente, vi è sempre meno innocenza nella voce dell’artista. Si aggiunge poi un canto lirico femminile, un vento triste e spietato, un pericolo: questa canzone di calma e inquietudine è una colonna sonora che non ha bisogno di un film.

Dopotutto il brano è già un omaggio alla poesia “Le Vele” di Dino Campana, particolarissimo poeta italiano del Novecento, genio folle troppo spesso trascurato dal canone letterario. “Le vele” di Dino Campana si trova ne “I canti orfici” capolavoro poetico in cui la ‘follia’ della mente è unita alla mitologia, la verità del sogno è confermata dalla distorsione della realtà. L’esoterismo e il mistero sono la chiave di questa raccolta poetica che risulta a sua volta un’ottima chiave di lettura per approfondire Alberto Nemo: musicista fuori dal canone, folle e geniale.

Eppure Nemo va oltre l’esoterismo, la tradizione religiosa e l’incontro musicale della cultura occidentale e la cultura orientale (visibile nel suo passare dalla lirica ai prolungati e struggenti canti arabi): questo artista sa muoversi bene anche nel moderno. Alcuni suoni elettronici dell’album sono inquietanti a tal punto da riprodurre macchine, computer, casse stereo sgranate, rumori meccanici che richiamano all’inquietudine del presente e al mistero del futuro. Particolarmente ossessivi i suoni elettronici del brano “giochini”, il pezzo meno lirico dell’album, la traccia più distopica. La voce del cantante qui risulta meno lirica, meno profonda e musicale, ma più fredda.

Io Dio No” è quindi una scoperta musicale davvero suggestiva, un misto di tradizioni e sperimentalismo. Se il personaggio di Nemo, alla vista, potrebbe sembrare troppo pretenzioso, il suo talento musicale lascerebbe però affascinato e sorpreso qualsiasi ascoltatore, aldilà del gradirne o meno il genere (che poi ‘genere’ è un termine in questo caso riduttivo).

A fine ascolto, nel titolo dell’album, si potrebbe ora intravedere un probabile senso del disco: “Io Dio No” come ‘l’uomo, il divino, la negazione’. Negazione di ciò che crediamo conoscere, di ciò che si dà per scontato, negazione forse delle certezze sia umane che religiose. Forse ci sto vedendo troppo, forse troppo poco, ma risultato di quest’album è la suggestione e la riflessione; in questo Alberto Nemo, nella sua strana complessità, riesce perfettamente.

 

— Onda Musicale

Tags: Alberto Nemo
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