Recensioni e Interviste

Marco “Panck” Pancheri: storia di un musicista ribelle

Marco “Panck” Pancheri, l’ultimo ribelle. Un cantautore fuori dal comune, in grado di coniugare perfettamente musica e poesia.

Un cantautore in grado si ispirarsi a Franco Battiato, a David Bowie, a Elton John, ma anche ad artisti come Zucchero e Daniele Silvestri. Un artista ironico e stravagante, capace e professionale, ricco di creatività stilistica ed emotiva. Nel weekend di Ferragosto siamo andati a scoprire l’anima intima di questo personaggio, entrando nel profondo del suo cuore e cogliendo gli aspetti più curiosi del suo spirito artistico.

A voi il racconto di questo particolare incontro.

Caro Marco, la tua passione profonda per la musica si evince dai tuoi splendidi testi. Ci vuoi raccontare quali sono state le tue fonti d’ispirazione?

“Grazie Alberto, intanto un saluto a te e ai lettori di Onda Musicale. Parlare di musica per me significa quasi automaticamente parlare di testi, di parole che si annodano ad un suono e lo rendono meravigliosamente compatibile all’emozione che voglio esprimere. Iniziai a provare queste sensazioni fin da piccolissimo, metà anni ’70. Mia madre mi metteva sopra la panchina, nel cortile di casa mia, e lì iniziavo a cantare Erba di casa mia e Montagne verdi per i villeggianti ospiti a Recoaro. Poi iniziai ad ascoltare Gianni Morandi, I Camaleonti, I Dik Dik, quindi il mio primo mito: Lucio Battisti, che mi aprì cuore e cervello sul mondo del cantautorato “apolitico”. Dagli anni ’80 in poi il mio “pane quotidiano” musicale divennero quasi tutti i cantautori italiani, con riferimenti emozionali più marcati nei confronti di Vasco Rossi, Enrico Ruggeri, Franco Battiato, Riccardo Cocciante, Umberto Tozzi, Edoardo Bennato, Ivano Fossati, Renato Zero, Zucchero, Daniele Silvestri ed altri ancora. E poi i gruppi; dai Pooh ai Collage, dai New trolls a I Cugini di Campagna, da Il Giardino dei Semplici a La Bottega dell’arte. A quel tempo, ascoltavo meno le cose musicalmente più difficili come gli Area o la P.F.M., o Le Orme. Nei ‘90 però m’innamorai – quasi ovviamente…- anche di Elio e le Storie Tese e gruppi affini. Il mio panorama internazionale si tinge soprattutto dei colori rock dei Queen e degli Abba; del romantico candore di Elton John e dell’inquietante, tenebroso Jim Morrison; della fumosa faccia di Janis Joplin e dei divertenti Dire Straits, fino alle paraboliche incursioni dello chanteur Charles Aznavour. Confesso però che le lingue straniere – soprattutto l’inglese – sono sempre state per me un grosso ostacolo per interagire appieno con la musica d’oltre confine. Attualmente, sul mio mp3 “Sony” ascolto spesso gli ultimi album di Giorgio Canali (Frontman-chitarrista dei Rossofuoco ed ex C.C.P.C.S.I.P.G.R.) e quelli di uno straordinario cantautore recentemente scomparso: Gianmaria Testa. Prego, ascoltatelo!”    

Come si può definire il tuo genere musicale? Ascoltando i tuoi dischi ho notato musica cantautoriale, folk e molte sfumature rock. Rocker o cantautore?

“Non credo sia possibile scindere o escludere tra loro i generi che hai menzionato, se parlo del mio. Quando scrivo un pezzo cerco in primis intensità di contenuti sia musicali che testuali, e so per certo che “originalità” fa spesso rima con “semplicità”. Mi piace molto creare delle “mini-suite”, variare cioè sulla velocità ed il tempo all’interno di uno stesso pezzo. In tal senso mi pongo come l’espressione antitetica del commerciale, e questo si può apprezzare maggiormente nel mio primo album Immagini riflesse, in un pezzo come I colori di Federica o Il concetto del perfetto. Anche se nel mio secondo album Piacere puro dovetti trovare un compromesso con gli arrangiatori romani dell’epoca, che non la pensavano esattamente come me. Dovendo poi proprio scegliere una sola collocazione artistica buona per il mio genere, credo che opterei comunque per quella del cantautorato più o meno impegnato e ricco di venature intimiste.”

Ci vuoi parlare un po’ della tua raccolta “Diventa ciò che sei”? Cosa rappresenta per te questo progetto? Dire una vita intera è dire poco…

Diventa ciò che sei è il progetto che riassume la mia produzione discografica rappresentata da tre album: Immagini riflesse del 1992; Piacere puro (Intitolato inizialmente Ci devi essere tu ma mai pubblicato) del 1994; e l’omonimo Diventa ciò che sei del 2016. Ho cercato di rappresentare al meglio quella diversità artistica e quel naturale, personale cambiamento che ritengo sia piuttosto evidente in ognuno dei tre lavori proposti. Diventa ciò che sei è complessivamente un viaggio sull’onda di un passato e di un presente complementari, che definirei come il “tempo compositivo dell’autore”. Un’onda artistica marcata dalle venature chiaramente pop-rock di Immagini riflesse del 1992; dagli accenti ancora cantautorali ma anche disco-dance di Piacere puro del 1994; e dall’intensa, straordinaria eterogeneità musicale dell’omonimo Diventa ciò che sei del 2016. I miei testi trattano tematiche di vita quotidiana, e ritraggono note figure dell’ambiente cittadino, come nel caso di Nonno Ara; e di quello stesso ambiente esaltano le passioni calcistiche legate alle imprese sportive della F.C.D. Altovicentino (In Alto) o della Roller Sport Valdagno (Diventa ciò che sei). Affrontano inoltre gli aspetti condivisi rinvenibili in ambito legislativo, politico, e più in generale nel mondo lavorativo e ambientale; oppure afferenti alla sfera sentimentale e privata dell’individuo. Ogni mia canzone è insomma un piccolo ritratto, la descrizione di situazioni e/o di soggetti che ineludibilmente s’intersecano. Tenendo possibilmente sempre conto di un imprescindibile e concettuale “qui ora” con cui ci si confronta, spesso anche attraverso la forma diretta di un immaginario dialogo tra soggetti. Proprio perché penso che per parlare un po’ di tutto sia necessario considerare, di questo tutto, anche il suo apparente…limite. Nello specifico, soprattutto il mio terzo album Diventa ciò che sei ha rappresentato per me la chiusura di un cerchio, l’occasione di riassumere in un cofanetto unico le gioie e i dolori interpretati in 28 brani, dagli anni ’90 al 2016. Ho inserito dei pezzi che mi uscivano fuori inspiegabilmente tutti insieme, spesso di notte, in uno spazio di tempo comunque breve; e che mi proiettavano in un mondo di fantasticherie davvero indescrivibili. Sono stati, quelli, i miei ultimi anni valdagnesi. Arrivavo a casa, dopo il lavoro, mi veniva in mente un’atmosfera musicale, poi una strofa, un ritornello con la chitarra in braccio. Mi addormentavo, e mi svegliavo di soprassalto alle tre del mattino: in dieci minuti il testo era scritto. E’stato così per Diventa ciò che sei, brano-guida del CD, in cui proiettavo il mio infantile, sotterraneo desiderio di realizzare infine l’uomo che c’è in me, un desiderio ben presente in tutti noi; parlo dell’uomo che non è il nostro corpo, ma il suo stesso contenuto metafisico. Ed è stato così per Gioia, struggente ballata sull’ipocrisia della gente; o per In Alto divenuto l’Inno dell’Altovicentino calcio, un omaggio al desiderio di stare insieme per una causa sportiva da parte del gruppo “Settore A” con cui seguivo spesso le trasferte di quella fantastica squadra di serie D. Ma nell’album vi è una lunga serie di “chicche” imperdibili. Da I matematici con i filosofi, riflessione sul generale decadimento valoriale di fine millennio; ad Errore giudiziario, circostanziata denuncia della condanna all’ergastolo di un cittadino innocente; da Precari a vita, resoconto di una precarietà professionale che ho stampata nel mio C.V. lavorativo (fatto di 12 anni di precariato scolastico pre-ruolo). E come non menzionare Ti ricordi, uno dei miei migliori momenti intimisti condito dal sapore della sottile, concettuale rivincita nei confronti di chi non ha mai afferrato molto del sottoscritto; oppure Di me medesimo, ironica riflessione sulla nudità corporale del sè posto in una semplice vasca da bagno; e Io non perdono, un brano teso ad inquadrare l’egoistica inclinazione a preservare il peggio di noi; Milano per Deborah, fotografia di un desiderio di evasione spesso incompatibile con la realtà che ci attende, là fuori. E Sotto l’assedio, brano descrittivo della dura realtà quotidiana di un qualsiasi commerciante. Insomma, Diventa ciò che sei è un lavoro scritto per la gente di strada, per il popolo, per noi! Impreziosito dai bellissimi arrangiamenti del capo ciurma, Manuele De Pretto; e dall’esecuzione dei brani, in studio, di tutti gli strumentisti coinvolti; Manuele De Pretto (Batteria e Tastiere) Michele Lavarda (Basso) Nicola Tamiozzo (Chitarre elettriche ed acustiche). Un disco mixato da Luca Seefeel Sammartin e registrato da Andrea Rigoni “Spazza” presso lo studio “Share” di Montecchio Maggiore (VI) tra Giugno e Novembre del 2016.”   

Marco, la musica attuale è ricca di stereotipi e di prodotti molto commerciali. Cosa ne pensi di questo panorama artistico?

“Penso, purtroppo, tutto il peggio possibile di queste attuali “estremizzazioni”. Partiamo dal presupposto che già vent’anni fa ho amato il “semi” rap di Jovanotti, che non è ovviamente il “rap” di strada, divenuto poi anche splendido pop-rock (…e non avrei francamente scommesso un soldo su Lorenzo Cherubini!). Ho apprezzato J-Ax e Fabri Fibra, ed anche al festival di Sanremo di quest’anno artisti come Rancore, il pur vituperato Junior Cally e soprattutto Anastasio (che ha unito il rap al rock in modo sublime) mi sono certamente piaciuti. Poi però, vi è un momento in cui un genere musicale non può diventare – lui solo – rappresentativo di un intero periodo storico. Non possiamo cioè uccidere i pensatori romantici o i rockettari incalliti solo perché la modernità richiede il trap ed il rap! Questa, direbbe Josè Mourinho, “è prostituzione intellettuale!”.”

Cosa rappresenta la musica per te? In che modo ha trasformato la tua vita?

“La musica è quiete, è ansietà; è pace e tempesta. Soprattutto, la musica mi riporta alla radice di me stesso, a quel naturale equilibrio che sento smarrirsi quando sono solo e sconfitto dalle difficoltà della vita.”

E di un po’, quali sono secondo te gli artisti contemporanei più influenti sulla scena musicale italiana?

“Beh, ho già compiuto nelle precedenti risposte un piccolo excursus nel mondo degli autori della musica che ritengo più importanti. Ora, non sono comunque certo che l’indubbia qualità che quei nomi incarna sia anche sinonimo di effettiva influenza mediatica. Anzi, parrebbe proprio di no, al momento. Allora, siamo forse entrati “trionfalmente” nel tempo in cui un discreto “influencer” ha maggiore forza mediatica di…Vasco Rossi? Non lo so, ma potrebbe anche darsi. Poiché, assai tristemente, tutto può darsi!”

La carriera di un musicista è ricca di sacrifici. Com’è stata la tua gavetta? So che è stata dura, ma mi interesserebbe conoscere un episodio, un particolare, un qualcosa che in qualche modo ha contraddistinto questo tuo percorso…

“Della mia esperienza musicale mi porterò nei ricordi soprattutto le registrazioni dei tre album a Milano, Roma e Vicenza. Soprattutto a Roma, per incidere la voce dell’album Piacere puro feci molta fatica. Le tonalità di parecchi brani erano troppo alte, ma me ne accorsi ad arrangiamenti dei pezzi oramai finiti. Però la resa finale fu comunque ottima, mi pare. Un altro episodio che ricorderò per sempre è un ferragosto di metà anni ’90. Fui chiamato in tre posti (ed orari) diversi per suonare in quello stesso giorno. Fu davvero molto dura, soprattutto montare e smontare tutta la strumentazione, anch’essa oggetto di parecchi sacrifici da parte mia, nel corso del tempo. L’ho cambiata più volte, dal ‘1990 ad oggi. Un impegno sempre sostenuto con una regolarità di cui vado fiero.”

Cosa pensi avresti fatto nella vita, se tu non fossi diventato un brillante musicista? Così, solo per curiosità…

“Devo precisare che, in questo caso, la domanda si elude da sé. Non sono mai stato esattamente un musicista di professione, magari! Tutt’ora lavoro per la sopravvivenza quotidiana…”

Complimenti per la tua umiltà. Dimmi un pò Marco, il tuo mestiere ti rende felice?

“Se parliamo, dunque, del mio lavoro di A.T.A. della scuola dico di si, perché solo io so quanto mi è costato questo mio posto di ruolo nel pubblico impiego; esattamente dodici anni di precarietà, con contratti anche da un giorno di lavoro per volta. Per cui lo ritengo un percorso concluso con successo. Certo, se rapportata a ciò di cui stiamo parlando in quest’intervista la mia attività ufficiale ha finito senz’altro per togliere tempo ed energia alla realizzazione del mio sogno proibito. Ma, già vent’anni fa avevo ben chiaro che il mio sogno artistico sarebbe rimasto tale. C’è un solo personaggio (che io conosca) realizzatosi nella figura di cantautore popolare coniugandola con la sua principale attività di capostazione ferroviario, a Cuneo; è proprio Gianmaria Testa, di cui ho già riferito in precedenza.”

Il nostro spazio sta per finire. Ma mi sorge spontanea un’ultima domanda. In che cosa credi? In che modo credi alla musica?

“Col tempo sono diventato un po’ più scettico, credo ancora nel potere silenzioso della metafisica, e quindi di Dio. Ma credo molto meno nelle promesse di Babbo Natale. La musica è stata e sarà finchè vivo la mia musa ispiratrice, l’indiscutibile fonte dei miei orgasmi mentali, e a volte perfino di quelli fisici. Ma, in che modo questa immensa energia possa penetrare e rendere inutili anche i miei segreti, questo non è dato sapere. Ovvero, non credo che il mondo si ricorderà, un giorno, delle mie (per ora) quasi duecento canzoni. Ma se attraverso la stesura di queste canzoni qualcuno avrà abbozzato un sorriso; se avrà colto un aspetto delle cose prima di allora mai considerato; se insomma avrà “vissuto” qualcosa, come o diversamente da me, ebbene, allora il mio passaggio nel mondo non sarà stato inutile. Io ci sono, sul mio canale Youtube. Grazie ad Alberto e a tutta Onda Musicale. A presto, raga! Seguitemi con i miei nuovi pezzi…”

— Onda Musicale

Tags: Jovanotti, Franco Battiato, Zucchero Fornaciari, David Bowie, Elton John, Daniele Silvestri, Intervista
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