Recensioni e Interviste

Lelio Camilleri: storia in musica di un compositore eccezionale

Musica elettronica, strumentale, elettroacustica, popular music. Cosa aggiungere di più? L’Italia, in un tempo musicale assai povero e disidratato, può festeggiare l’affermarsi di uno dei suoi compositori per eccellenza: Lelio Camilleri.

Talentuoso, brillante, strepitoso intenditore di musica, Lelio rappresenta i nostri colori elettronici e strumentali in tutto il mondo. Scrittore, professore e compositore, Lelio Camilleri impersona forse la vera essenza musicale del bel paese, una costante in grado di esaminare la musica nel suo profondo, fino a coglierne gli aspetti più impensabili.

Le sue opere sono un mix di eleganza e dedizione, opere in grado di analizzare in modo addirittura clamoroso le sfumature di capolavori come Abbey Road dei Beatles e Larks’ Tongues In Aspic dei King Crimson. Ma non è tutto. Nel suo ultimo libro La Musica in Grigio e Rosa, Lelio racconta i mitici Caravan, prendendo in esame la discografia del gruppo dal 1968 al 1982.

Lo abbiamo incontrato in uno straordinario viaggio all’interno del sound progressivo, un viaggio affascinante e stimolante, ispirazione per artisti e musicisti di ogni calibro e generazione…

Ciao Lelio e grazie per la tua disponibilità. Innanzitutto, lasciami dire che è un onore per noi ospitare un personaggio come te all’interno del nostro magazine. Vorrei iniziare questo viaggio, esaminando un po’ il mondo della musica attuale. In assenza di spunti ed idee, viviamo un periodo molto commercializzato e stereotipato. I canoni odierni, lasciano sempre più spazio a generi e sottogeneri non meglio specificati, volti sempre di più alla conquista del pubblico di massa. Cosa pensi, dall’alto della tua esperienza, di questo strano e controverso panorama musicale?

“Anche se spesso, con una battuta dico che la musica si è fermata nel 1978 (l’ultimo vero disco dei National Health), penso che anche nel panorama odierno si possono trovare degli spunti musicali interessanti anche se è difficile sentire delle musiche veramente originali. Ritornando alla battuta sul 1978, naturalmente non è vero, basta seguire il percorso dei King Crimson che secondo me sono uno dei pochi gruppi storici che ha sempre cercato di rinnovarsi e ci è riuscito, o di altri gruppi fra cui i Caravan stessi. Un altro aspetto odierno da prendere in considerazione riguarda la modalità con cui la musica viene fruita oggi, spesso sentendo un singolo brano e non tutto l’album, ad esempio con l’utilizzo di piattaforme come Spotify. Un approccio che favorisce, secondo me, da un lato una ricerca meno unitaria da parte dei musicisti e dall’altro influisce negativamente nella creazione di un “discorso musicale” all’interno di un album.”

I Beatles. In uno dei tuoi magnifici libri, tratti uno degli album più incredibili mai realizzati: Abbey Road.  Noto come collegamento essenziale tra pop e rock progressivo, l’album rappresenta una vera e propria pietra miliare della musica. Quale aspetto, in base al tuo scrupoloso lavoro, rappresenta la vera e propria essenza di questo straordinario capolavoro?

“Come ho scritto nel libro, e come spesso succede a me come ad altri, i Beatles rappresentano qualcosa che va al di là del loro grandissimo valore musicale. Purtroppo, spesso ci si interessa di questo, l’aspetto extra-musicale, e non della musica che, paradossalmente, è poco studiata, cosa accaduta anche a un disco straordinario come Abbey Road. E’ una cosa rara che un gruppo chiuda la sua carriera con un album che è un picco creativo. Abbey Road contiene sia dal punto di vista musicale che produttivo molti elementi che influenzeranno i gruppi del rock progressivo (lo studio di registrazione come strumento compositivo, la manipolazione delle registrazioni, le strutture ripetitive, alcuni impasti sonori, etc.) e non è un caso che sia stato prodotto nel 1969, anno in cui si può parlare della nascita del rock progressivo con l’uscita di In The Court of the Crimson King.”

A proposito di rock progressivo. I King Crimson sono stati uno dei gruppi più influenti di tutti i tempi in ambito progressive. In una tua opera, vai ad esaminare nel dettaglio un album strepitoso come Larks’ Tongues In Aspic. Originale, sperimentale e innovativo, l’album dei King rappresenta forse un apice narrativo senza precedenti. In che modo questo progetto ha influenzato la tua vita artistica?

“Larks’ è un album straordinario, è l’emblema della capacità dei Crimson di rigenerarsi e trovare nuove strade. Credo che insieme a In the Court of the Crimson King rappresenti il picco creativo di questo gruppo, senza togliere niente all’altissimo livello musicale degli altri album.  Di fatto non c’è un’influenza diretta nella mia esperienza compositiva, credo però che qualsiasi musicista che abbia ascoltato quest’album sia stato comunque attratto dalla combinazione fra composizione e improvvisazione, dal sound, dalle modalità di saturare o svuotare lo spazio sonoro, dalla combinazione fra brani complessi e brani con una struttura più lineare.”

King Crimson e Pink Floyd. Quali sono secondo te le analogie tra queste due storiche formazioni? In molti ipotizzano una determinante influenza dei King sui Pink…Cosa ne pensi?

“Non sono d’accordo. Credo che siano due esperienze molto diverse e uniche, non penso ci siano influenze dei Crimson sui Pink Floyd e viceversa. Sono abbastanza d’accordo con Robert Fripp quando afferma che i King Crimson non possono essere assimilati alla corrente del rock progressivo mainstream, ma sono un caso a parte all’interno di questo genere.”

Fine anni sessanta. Siamo in Inghilterra, nel Kent. Si genera una nuova corrente di rock progressivo, la Canterbury Scene. Come descriveresti questo complesso stile musicale?

“Benché alcuni esponenti non si riconoscano in questa “etichetta”, non si può negare che in quest’area dell’Inghilterra siano nati alcuni gruppi che possiedono uno stile particolare all’interno del rock progressivo. Ciò è dovuto al fatto che molti di loro si sono incrociati in formazioni diverse e, soprattutto, si sono sempre trovati a loro agio in generi diversi, o meglio a mescolare generi diversi nella loro musica.”

Nel tuo ultimo libro, prendi in esame una delle band più rappresentative del Canterbury Sound: i Caravan di Richard Sinclair. Cosa ci puoi dire di questo tuo ultimo lavoro?

“La musica dei Caravan mi affascina da molto tempo, anche se, come dico nel libro, ho iniziato a conoscerli più tardi, intorno ai 18 anni (che sono un’era giurassica pensando alla mia età attuale), rispetto ad altri gruppi. Secondo me è il vero gruppo canterburiano perché rappresenta effettivamente la provincia inglese, al contrario, ad esempio, dei Soft Machine che si sono formati a Londra e possiedono un’impronta più “internazionale”, pur restando comunque un gruppo radicato nel Kent. Ho trovato che fosse molto interessante analizzare la loro originale produzione musicale dato che nessuno, neanche in inglese, l’aveva fatto. La mancanza di uno studio sulla loro musica mi sembrava fosse un grave torto fatto a un gruppo che, anche se è vivo tutt’ora sotto l’egida di Pye Hastings, ha avuto una vita creativa originale, interessante e variegata. Ho scelto il periodo 1968 – 1982 perché rappresenta una sorta di asse ai cui estremi ci sono due dischi molto diversi (Caravan e Back to Front) con la stessa formazione: due album che delimitano un percorso musicale articolato sia dai cambi di musicisti che da approcci musicali differenti. E pur nella differenza di alcuni approcci musicali fra questi album, si può sempre trovare lo stile e lo spirito musicale dei Caravan originali. Nel libro tratto ogni album prodotto in questi 14 anni analizzando in modo dettagliato un brano per ciascuno di essi. L’album In the Land of Grey and Pink, il loro capolavoro, viene analizzato interamente, compreso Frozen Rose che ha visto la luce sono nelle edizioni in CD; un brano bellissimo che rappresenta l’abbondanza creativa dei Caravan di quegli anni. Oltre a questo, ci sono delle considerazioni sul ruolo dei Caravan in relazione al rock progressivo e alla Canterbury Scene, e delle riflessioni sulle loro caratteristiche stilistiche, viste nell’evoluzione musicale di questi 14 anni.”

Come ti definiresti? Noi tutti sappiamo che oltre ad un brillante compositore, sei anche professore e scrittore. Tre professioni splendide e ricche di tratti comuni. Cosa ti realizza di più?

“Penso che queste tre mie attività siano legate fra loro perché comunque trattano un aspetto comune che è il suono nei suoi tratti concreti, non solamente visto come un elemento astratto. Nessuna di queste mie attività ha una prevalenza sull’altra anche se naturalmente, la scrittura, sia musicale che analitica, presenta un aspetto affascinante perché è un lavoro “solitario”, in cui ci si trova immersi in una dimensione individuale. L’insegnamento è l’esatto opposto, per cui credo che queste attività si bilancino perfettamente.”

Lelio, mi vuoi dire quali sono i tuoi compositori di riferimento? A chi ti ispiri?

“Per fare una lista dei compositori che mi hanno influenzato ci vorrebbero molte pagine! Posso sicuramente dire che mi hanno ispirato i miei maestri, Benvenuti, Grossi e Mayr, con cui ho avuto la fortuna di studiare negli anni giovanili. Naturalmente ci sono i grandi del novecento, Berio, Cage, Feldman e Stockhausen, che sono stati dei punti di riferimento così come compositori più specificamente elettronici come Parmegiani e François Bayle. Quest’ultimo è sia un compositore che un teorico di grandissimo valore.”

La musica è la nostra Dea. Una Dea in cui credere senza condizionalità. Come ti rapporti con lei? Cosa significa per te la musica?

“La musica è una parte della mia vita e per me è naturale occuparmene in modo quotidiano. Credo che la musica sia qualcosa che fa parte, in modo diverso, della vita di quasi tutte le persone, basti pensare che non esistono popoli senza una propria espressione musicale. Il fatto di occuparsene a livello professionale non toglie che la musica abbia dei profondi legami anche con la mia vita personale.”

Caro Lelio, penso che il nostro spazio stia per finire. Ringraziandoti per la tua disponibilità, non posso che porti l’ultima domanda: che progetti hai in vista?

“I progetti non mancano mai, si deve solamente trovare il tempo e le opportunità per realizzarli! Vorrei cercare di finire un libro, a cui mancano solo un paio di capitoli, sulla musica e il sonoro nella cinematografia fantascientifica, un progetto iniziato diversi anni fa. Sto anche lavorando a un articolo su alcuni brani di un compositore elettronico tedesco, Gottfried Michael Koenig (un altro compositore che mi ha influenzato da giovane) e sto studiando la musica degli Henry Cow perché mi piacerebbe scrivere qualcosa su Unrest, il loro secondo album. Quest’ultimo però è un progetto veramente in fase embrionale per cui vedremo se si realizzerà. Vorrei concludere ringraziando te e Stefano Leto per l’intervista e per lo spazio che mi avete dedicato.”

Lelio Camilleri – La Musica in Grigio e Rosa. La produzione discografica dei Caravan 1968-1982 (LINK)

— Onda Musicale

Tags: Pink Floyd, Abbey Road, The Beatles, King Crimson, Caravan, Soft Machine
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