Un urlo liberatorio per riscattare sé stessi e la propria libertà.
Il nuovo singolo dei Deschema, “Disordine”, è la dimostrazione che anche da un apparente scompiglio possono scaturire dei capolavori di tutto rispetto e lo stesso titolo, forse provocatorio, contribuisce a renderlo intrigante. Del resto, stiamo parlando di una formazione che nel 2018, dopo il meritato trionfo al “Sanremo Giovani World Tour”, ha esportato la propria arte musicale in tutti e cinque i continenti.
Parlando del testo, nelle strofe un ascoltatore attento rimarrà senz’altro colpito dalle anafore “Sono qui perso” e “Sono così pieno di queste emozioni che mi sento quasi vuoto”, che possono forse sembrare banali ma, in realtà, sono dense di significato; tali figure retoriche, forse, potrebbero ricordare i poeti più antichi, come Dante e Cecco Angiolieri e da questo punto di vista contrastano piacevolmente coi versi sciolti, caratteristici, invece, della poetica novecentesca. Notevoli, altresì, risultano i contrasti tra i concetti e tra i colori, individuabili rispettivamente nelle parole “disordine” e “ordine”, della prima strofa, e in “bianchi” e “nero” della seconda. Quanto alla parte finale del testo, si potrebbe invece proporre un paragone col giardino all’inglese: il tutto, in essa, si rivela gradualmente senza mai giungere ad una prospettiva d’insieme, ma nulla è lasciato al caso.
Quanto alla musica, ascrivibile al pop rock, il sapiente utilizzo degli strumenti va a braccetto con una mirabile modulazione della voce. Ne deriva un raffinato crescendo sonoro, in cui ogni strumento ha una propria funzione, più che mai adatto a descrivere quella voglia di far esplodere e di urlare i propri stati d’animo, dopo un periodo di quiescenza energetica ed emotiva: senza il quale, tuttavia, non sarebbe mai stata sfornata una simile opera maestra.
Con “Disordine”, pertanto, i Deschema sono rinati dalle loro ceneri come l’Araba Fenice. A buon diritto, il brano si sta facendo sempre più strada a livello nazionale, riscuotendo successi abbondanti sia di critica che di pubblico.
Di Francesco Binetti
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