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Stand By Me, quando una canzone va oltre il tempo

Stand By Me” è ormai la canzone per antonomasia. Come per molti pezzi dei Beatles, questa la conoscono davvero tutti. Vediamo perché.

Ricordo di un’estate

Siamo in una piccola città dell’Oregon, anni ’50. Dopo aver sentito la notizia della presunta scomparsa di un ragazzino, i quattro amici si convincono che trovare il corpo e diventare eroi locali sia un’impresa avventurosa. Così, senza avvertire nessuno, partono per un’escursione lungo i binari della ferrovia, che dovrebbe condurli al luogo in cui si dice si trovi il cadavere.

Durante il viaggio, i ragazzi affrontano molte sfide e pericoli. Lungo il percorso, affrontano animali selvatici, attraversano un fiume, combattono con bulli e devono fare i conti con i loro timori personali. Nonostante le difficoltà, il legame tra di loro si rafforza, e scoprono l’importanza dell’amicizia e del sostegno reciproco.

È un viaggio emotivo e indimenticabile che riflette sul potere dell’amicizia e sulla ricerca dell’identità in un mondo complesso. Sì, sto parlando del film. Accade spesso che la musica scelta per accompagnare le immagini di un film siano talmente perfette che, nonostante non siano nate appositamente, ne diventano automaticamente l’anima: come se non aspettassero altro.

The Drifters

Benjamin Earl Nelson è un ragazzino a cui piace cantare. Da morire. Canta ovunque: in chiesa, a casa, nel cortile della scuola. Davvero ovunque e si fa fatica a fermarlo. E a nessuno interessa farlo, in effetti, perché la sua voce è magica: la comunità della sua parrocchia dice che arrivi direttamente da dio.

E così, un giorno, si ritrova a formare una piccola band, come tante che c’erano all’epoca: doo-wop come non ci fosse un domani, con compagni cantanti e band al seguito delle case discografiche. Dopo alcuni anni di gavetta (e dopo aver cambiato il proprio cognome in King, finalmente, forma i Drifters, che ben presto diventano famosi per le loro armonie vocali impeccabili su brani facilmente orecchiabili.

Il successo arriva subito, con un brano che li porterà direttamente tra i gruppi più influenti degli anni ’60: Save The Last Dance For Me. E poi ancora altri e altri, per scalare le classifiche dei race records.

Ed è qui che entrano in gioco altri due personaggi.

La cultura ebraica nella musica americana

Su questo argomento sono stati scritti un sacco di libri e tesi di laurea, quindi non mi dilungo eccessivamente. Si sappia solo che George Gershwin (forse il più importante musicista americano dei primi vent’anni del Novecento) era un ebreo di origini mitteleuropee. A lui si devono composizioni decisive per la storia della popular music, tra tutte l’opera Porgy And Bess, da cui è tratta la famosissima Summertime.

I nostri, come molti altri, hanno una storia simile. Le famiglie sono emigrate dagli stati dell’Europa centrale per approdare a New York e cercare fortuna altrove, riuscendoci. Jerome Leiber e Michael Stoller sono un duo di scrittori di canzoni che ha sfornato una hit dopo l’altra.

Se ne parlò già quando avevo trattato l’argomento Big Mama Thornton e la sua versione di Hound Dog, poi resa immortale da Elvis. Con Lieber e Stoller, Ben E. King scrive un brano che scavalcherà i tempi e che è stato inserito tra le canzoni più importanti del secolo: Stand By Me.

Stand By Me

Uscita nel 1961, questa canzone parla soprattutto di amicizia e fratellanza. Nel pensiero di Ben il brano non è dedicato ad una donna, ma ai propri fratelli e sorelle che vivono nel mondo. Ecco perché funziona così bene con il film ed ecco perché ancora oggi riusciamo a cantarla.

In qualche modo (mi si perdoni l’eccessivo accostamento) è come l’inno alla gioia di Beethoven: un inno all’amore universale, in cui tutti, ma proprio tutti, sono uniti tra di loro.

Se il cielo che noi guardiamo dovesse crollare e cadere/E le montagne dovessero sbriciolarsi nel mare/Non piangerò […]/Non verserò una lacrima/Finché tu starai con me”

Con questa canzone Ben E. King scrive una pagina di storia della musica e saranno in molti a volerla cantare.

Le cover

Il primo a farne una propria versione è Adriano Celentano, insieme ai Ribelli. La sua si chiama Pregherò per te, tradotta da Don Backy e pubblicata nell’album Adriano Celentano e i Ribelli nel 1965.

Poi è il turno di Otis Redding, che ne trarrà una canzone meravigliosa nel 1964, così come i Kingsmen faranno altrettanto nel 1965.

E ancora e ancora. Le sole versioni italiane (con traduzioni diverse) sono almeno tre: oltre a quella di Celentano, c’è ancora Rita Pavone (con Stai con me, su testo di Franca Evangelisti) e addirittura Gigi D’Agostino, che la inserisce nell’album Lento Violento… e altre storie del 2007.

E poi, ovviamente, la famosissima versione di John Lennon, inserita nel disco Rock ‘n’ Roll del 1975.

Dopo il 1986, data di uscita dell’omonimo film, il successo del brano e le cover aumentano vertiginosamente. Lo stesso Ben E. King la rilancia, raggiungendo il meritato primo posto in classifica.

Ma forse la versione più bella, quella che maggiormente ci rimanda all’amore universale che era nei pensieri degli autori, è quella frutto della collaborazione di diversi musicisti di ogni parte del mondo per il progetto Playing For Change, che una quindicina di anni fa ha fatto il giro del mondo.

Stand By Me è un brano senza epoca e senza fine. Una canzone che il destino ci ha permesso di vivere e ascoltare. Una canzone che può averci cambiato per sempre.

— Onda Musicale

Tags: John Lennon, The Beatles, Otis Redding
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