Dall’8 maggio su Disney+ si può vedere la versione restaurata del documentario “Let It Be” girato da Michael Lindsay-Hogg e uscito nel 1970.
Tra i fan giravano bootleg e copie piratate di bassa qualità, ma la versione ufficiale del documentario sui Beatles «Let It Be» era fuori circolazione dagli anni 80. Ora il film diretto da Michael Lindsay-Hogg e uscito nel 1970, poche settimane dopo lo scioglimento del quartetto leggendario, torna disponibile su Disney+, da mercoledì 8 maggio, fresco di restauro grazie ai prodigi tecnologici di Peter Jackson.
Il mulino abbandonato e l’anfiteatro in Libia
«Let It Be» condensa in un’ora e mezza scarsa le sessioni di lavorazione dei Beatles sull’album omonimo e documenta poi il mitologico «rooftop concert», ultima esibizione pubblica dei Fab Four, tenutasi il 30 gennaio 1969 a Londra, in cima all’edificio della Apple Corps. Inizialmente Lindsay-Hogg era stato assoldato per realizzare uno speciale televisivo che doveva mostrare i Beatles al lavoro in studio registrazione e poi impegnati in un concerto speciale. Vengono proposte tante location, tra cui le più disparate, come una nave da crociera, un mulino abbandonato, un anfiteatro in Libia. Ma alla fine ogni idea viene accantonata e lo speciale tv diventa un film documentario.
Lo scioglimento prima dell’uscita
Di lì a poco, però, i Beatles si dicono addio, gettando sul lavoro cinematografico in uscita una grande malinconia: «Let It Be era pronto per l’ottobre-novembre 1969, ma uscì solo nell’aprile 1970 – spiega Lindsay-Hogg -. Un mese prima dell’uscita, i Beatles si sciolsero ufficialmente. Così la gente andò a vedere Let It Be con la tristezza nel cuore, pensando:
Non vedrò mai più i Beatles insieme. Non avrò mai più quella gioia”, e questo rese molto più cupa la percezione del film“
L’Oscar mai ritirato e la gelosia di John Lennon
Le recensioni iniziali del documentario furono piuttosto negative e nessuno dei quattro Beatles andò alla première, né a ritirare l’Oscar per la miglior canzone che poi vinsero con la stessa «Let It Be». Quando Lindsay-Hogg mostrò al gruppo la prima versione del film, gli furono chiesti molti tagli e, in particolare, John Lennon lamentò che il lavoro si focalizzava troppo sul genio creativo di Paul McCartney.
Ringo, negli anni, non ha nascosto la sua antipatia per questo lavoro a suo dire «poco gioioso» che però il regista rivendica come importante: «Let It Be» mostra la nascita di alcuni dei capolavori dei Beatles e si sofferma sulle dinamiche interne del gruppo in un momento certamente critico della loro storia, ma comunque pieno di impeto creativo. Alla luce del quadro più ampio offerto dalle sei ore di «Get Back», il documentario in tre parti realizzato da Jackson nel 2021 a partire dall’immensa mole di materiale girata da Lindsay-Hogg, può ora essere rivalutato in un’ottica meno sfavorevole.
Il litigio fra George e Paul (censurato)
Durante le sessioni in studio riprese da Lindsay-Hogg, è noto che George Harrison abbandonò brevemente il gruppo, dopo un litigio con Paul McCartney. Nel documentario viene omesso quasi tutto del suo (fortunatamente) temporaneo addio, benché rimangano alcune scene che mostrano la tensione fra i due componenti, nella fattispecie quando Paul cerca di istruire George su come suonare una parte di chitarra.
Chi è la bambina che gioca in studio
Mentre i Beatles lavorano, una bambina bionda gira per lo studio, scherzando con i Fab Four, giocando con Ringo Starr e mostrando grande affetto soprattutto per Paul. Si tratta di Heather, la primogenita di Linda McCartney che Paul ha sposato proprio nel 1969, adottandone legalmente anche la figlia. All’epoca in cui furono girate quelle immagini molto tenere, la bambina ha sei anni.
Yoko Ono «appiccicata» a John Lennon
In «Get Back» lo si vede ancora più a lungo, ma anche in «Let It Be» è ben chiaro: John Lennon e Yoko Ono erano letteralmente inseparabili e durante le sessioni in studio lei gli siede accanto (con uno sguardo quasi sempre torvo e imperscrutabile) senza mollarlo neanche per un secondo. Una presenza che era evidentemente gradita a Lennon, ma che non poteva non avere un impatto sulle dinamiche del gruppo: Paul McCartney ha ammesso che gli altri percepivano Yoko Ono come «un’interferenza», anche se cercavano di non farne un dramma.
Due registi a confronto
Il documentario è introdotto da un dialogo fra i due registi, Peter Jackson e Lindsay-Hogg: il loro confronto è già di per sé di grande interesse per tutti i beatlesiani, sicuramente reduci dalla visione di «Get Back». Lindsay-Hogg ricorda che il suo «Let It Be» ha avuto «un percorso accidentato negli anni» e consacra il legame con il lavoro fatto da Jackson, dicendo di considerare «Let It Be» come il padre di «Get Back».
Un nuovo prodigio tecnologico
Peter Jackson con la sua Park Road Post Production ha restaurato «Let It Be» usando le stesse tecniche che gli hanno permesso di lavorare a «Get Back», partendo dal negativo originale in 16 mm. Il documentario del 1970 torna così a vivere con colori più vividi, audio rimasterizzato e una nitidezza di immagini inedita, tanto che si riescono a vedere anche i pelucchi di polvere sul microfono di John Lennon.