C’era una volta una piccola band che arrivava dal più profondo Texas, gli ZZ Top. Strutturata a trio, proponeva un robusto rock blues, basato sulla meravigliosa chitarra blues e la voce sporca di Billy Gibbons. E, prima di Eliminator, sono in pochi a conoscerla.
Quando esce Eliminator, la band è sulla breccia da un bel po’, quasi quindici anni. Eppure, si muove nel limbo di chi ce l’ha quasi fatta ma rimane un fenomeno di nicchia. L’immagine degli ZZ Top è all’inizio un misto di cliché texani, coi cappelloni da cowboy, southern rock e immaginario da redneck. Ovvero, quei ragazzoni in camicia a quadri che il sabato sera piombano nella main street di qualche polverosa cittadina di provincia per fare baldoria.
I testi sono triviali e sessisti, l’unico grande successo arriva dal boogie rubato a John Lee Hooker di La Grange. Una canzone che celebra un bordello come se parlasse del Rinascimento. Per dire. La grande svolta, però, arriva nei patinati anni Ottanta, quando lo spazio per il blues rock grezzo ma ben suonato pare esaurito.
Per capire il fenomeno Eliminator, bisogna tornare a quando, nel 1979, i tre si riuniscono dopo una separazione di qualche anno, ritrovandosi quasi fossero degli sconosciuti. Un dettaglio pare segnare il loro destino: lontani dal palco, i tre si sono impigriti e si sono fatti crescere lunghe barbe. Questo tratto, opportunamente studiato e reso scenografico, sarà il segno distintivo di Gibbons e Hill, abbinato ad assurde chitarre girevoli e colorate, auto d’epoca truccate alla James Dean e fanciulle scollacciate.

Un’immagine che oggi fa inorridire e con cui i tre texani non farebbero molta strada nemmeno alla fiera del bestiame di Waco, certo, ma all’epoca i tempi sono ben diversi. Gli anni Ottanta, con una musica che è la pallida ombra di quella originale, segnata dall’uso scriteriato di sintetizzatori e batteria elettronica, devono ancora piombare sulla storia del complesso.
Dopo Deguello, forse il loro capolavoro, i tre iniziano a compromettersi con El Loco. Il disco sfrutta qualche passaggio elettronico, e i pezzi strizzano l’occhio a melodie che non si sposano troppo bene col grezzo sound proposto. La Warner, però, non è ancora soddisfatta e decide di creare una nicchia di mercato tutta nuova. Nasce il rock blues patinato, che ammicca alle radio, alla nascente MTV e all’immaginario da poster per camionisti.
Il risultato è una pallida copia dei veri ZZ Top, con canzoni deboli, un sound terribile e un’immagine paurosamente kitsch. Naturalmente, il venefico miscuglio dà luogo a un grandissimo successo.
Eliminator esce nel 1983 ed è il culmine di questa mutazione. Billy Gibbons decide di spingere ancora di più sui sintetizzatori e sulla batteria programmata, convinto dal produttore Bill Ham che quello sia il futuro. Il risultato è un album in cui il groove caldo del Texas blues si fa plastificato, con suoni perfettamente levigati per le radio dell’epoca.
Il simbolo dell’album è la Ford Coupé del 1933, rossa fiammante e truccatissima, che campeggia in copertina e domina i videoclip che trasformano gli ZZ Top in star televisive. La vecchia Ford è elaborata alla moda delle “Hot Rod”, un po’ l’equivalente americano del nostro “Tuning”. Dai, vi sarà capitato di vedere quei tremendi raduni di tamarri di paese con vecchie Uno o Panda coi cerchi in lega e impianti stereo che fanno venire gli acufeni solo a guardarli. L’auto è ovviamente abbinata a ragazze in abiti succinti che fanno da tappezzeria.
Qualcosa di inimmaginabile oggi. E invece, negli spensierati – e sciagurati – anni Ottanta, questa fiera del kitsch segna finalmente il grande successo per i tre texani. Un successo che gli ZZ Top cavalcheranno per un paio di album, prima di tornare al buon vecchio sound grezzo e alla nicchia degli esordi. Gibbons e soci, però, sono ormai personaggi di culto che possono campare di rendita per il resto della vita.
Dal punto di vista commerciale, infatti, Eliminator è un trionfo: 10 milioni di copie vendute solo negli USA, grazie a singoli come Gimme All Your Lovin’, Sharp Dressed Man e Legs.
Ma vediamo come suona Eliminator, oltre quarant’anni dopo la sua uscita.
Il lavoro si apre con Gimme All Your Lovin’, brano dominato da un riff alla AC/DC e un ritornello che sembra uscito dal repertorio degli ELO, ma suonato da una cover band della sagra del cactus di Austin. La chitarra di Gibson è sempre al fulmicotone, tra lick blues e uso degli armonici. Il suono, però, pare un po’ perdersi dietro all’uso scriteriato dell’elettronica.
Got Me Under Pressure propone il medesimo canovaccio. L’atmosfera qui vira più verso il rock’n’roll che il blues, ma il risultato è simile. La chitarra di Gibbons è soffocata dai tanti suoni elettronici, ma specie nella seconda parte fa degnamente il suo lavoro. Il problema principale – a nostro giudizio – sono le parti cantate, con la voce fin troppo “sforzata” e melodie radio friendly poco valide.
Sharp Dressed Man propone gli stessi difetti, o pregi, se preferite. Il riff suona più efficace e così l’impianto generale della canzone, più affine ai vecchi cavalli di battaglia. Gibbons se la cava con parti slide e un cantato leggermente più efficace.
I Need You Tonight sembra partire col piede giusto, con una chitarra blues che sospira lick ispirati sopra una robusta ritmica. Il pezzo si rivela essere un lentone d’atmosfera, viziato da qualche inserto melodico poco azzeccato. La chitarra la fa da padrona, ma il suono, anche a causa dei sintetizzatori, pare un po’ troppo levigato per un pezzo del genere.
I Got The Six è un breve rock’n’roll dal ritmo sostenuto e un testo triviale. Unico caso del disco, il brano è cantato da Dusty Hill, cosa che lascia ancora più libero Gibbons di fare il bello e il cattivo tempo alla sei corde. Il pezzo scorre via bene e chiude in gloria il lato A di Eliminator.
Legs apre la seconda facciata e subito si capisce che l’atmosfera non è destinata a cambiare. Sopra una base elettronica, punteggiata dai riff di Gibbons, si snoda una melodia da Rock FM non proprio trionfale. Gli ingredienti, a questo punto lo avrete capito, sono sempre gli stessi. La chitarra che cerca di onorare le radici blues, una messe di sintetizzatori che la metà basterebbe e un lavoro di scrittura onestamente non all’altezza. In tutto ciò, qualcuno ci dica cosa fa Frank Beard, il batterista, oltre a contare gli incassi milionari.
Thug sposta ancora più su l’asticella o, se volete, più giù. Le percussioni elettroniche fanno man bassa e un curioso intermezzo col basso in primo piano punteggia tutta la durata del brano. Un brano onestamente brutto. TV Dinners è un tempo medio geometrico e sempre punteggiato dai sintetizzatori. Un pezzo che fa poco per farsi ricordare.
I tre pezzi di chiusura non cambiano le carte in tavola, Dirty Dog è in tutto e per tutto simile ai brani precedenti, e così la chiusura di Bad Girl. Forse, solo If I Could Only Flag Her Down prova a riportare il discorso dalle parti del blues, ma suonando ancora un po’ troppo levigato.
Eliminator si chiude così, e quarant’anni dopo ci si chiede come un prodotto del genere potesse all’epoca vendere tanto. La risposta sta nella potenza del marketing, certo, perfettamente calibrato per il grande pubblico americano del tempo. Quello di bocca buona, che riempie gli stadi e alla terza canzone è già così pieno di birra che applaudirebbe anche una jam tra gli ZZ Top e Memo Remigi.
Ma il marketing non spiega tutto.
Gli ZZ Top sono comunque tre musicisti di grande qualità e i suoni patinati dei sintetizzatori, oggi inascoltabili, all’epoca sono “il” sound per eccellenza. Quello giusto per vendere milioni di dischi. L’immaginario tutto donne e motori, poi, quella volta va alla grande. E, siamo sicuri, ancora oggi parecchi nostalgici gradirebbero immagini del genere in tutti i videoclip, alla faccia del progresso.
Per chi ha amato gli ZZ Top del passato, Eliminator è la vittoria del marketing sulla musica. Il blues è diventato un accessorio di scena, il feeling ha lasciato spazio alla “perfezione” sintetica. La Little Old Band from Texas è diventata una multinazionale di successo, con buona pace di chi cercava il sound grezzo degli esordi.
Eppure, il disco ha lasciato un segno indelebile nella cultura pop. Senza Eliminator, non avremmo avuto gli ZZ Top come icone globali, con le lunghe barbe e i Cheap Sunglasses celebrati in una canzone di Deguello. Gli ZZ Top talmente famosi da potersi permettere comparsate in Ritorno al Futuro o addirittura – nel caso di Gibbons – un ruolo fisso in una serie come Bones.
E che ha permesso loro di tornare a suonare il vero blues, con buoni dischi, per altri trent’anni.