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Led Zeppelin e i loro dischi leggendari con cui hanno stravolto il mondo del rock

Led Zeppelin

Led Zeppelin hanno ridefinito il rock, trasformando il blues in qualcosa di monumentale e inedito. Forse tutto è iniziato da una semplice domanda: “E se il blues fosse davvero la musica più forte?”. Un pensiero che potrebbe sembrare già esplorato, ma non come sono riusciti a fare loro.

Sono nati dai resti di un’altra band, The Yardbirds (tre dei cui membri, Eric Clapton, Jeff Beck e Jimmy Page, sono diventati tra i più grandi chitarristi rock di tutti i tempi), anche se Page è stato l’unico membro originale a fare poi parte dei Led Zeppelin.

Man mano che vari elementi degli Yardbirds abbandonavano il gruppo (volevano fare qualcosa di più folk, intraprendere la carriera solista, o diventare fotografi), Page ha reclutato dei sostituti in sintonia con la sua missione blues, fino a formare una band completamente nuova. Così sono nati i Led Zeppelin. Come racconta il documentario noleggiabile su Prime Video, hanno cambiato per sempre la musica.

Oltre ad avere creato un genere musicale completamente nuovo, i Led Zeppelin hanno influenzato artisti ben oltre i confini dell’hard rock. Artisti diversi del calibro di Lady Gaga, dei Nirvana, di Madonna, dei Queen, dei Joy Division e di Shakira li hanno citati come fonte di ispirazione.

Ma quando hanno dato il meglio di sé? Ecco la nostra classifica dei loro album.

9) Coda (1982)

“L’ultimo posto” è una posizione apparentemente troppo dura… ma in questa classifica è proprio così. Il loro ultimo album, uscito due anni dopo la morte del batterista John Bonham, era composto in gran parte da brani che non erano stati inseriti in altri album e, di conseguenza, manca di parte della coesione sonora degli altri lavori. Detto questo… se fosse uscito oggi, lo adoreremmo alla follia. We’re Gonna Groove è un pezzo pieno di quel caos di piatti e basso che ha caratterizzato il sound della band, e la chitarra di Page si fonde in modo sublime con la voce di Plant in I Can’t Quit You Baby. Certo, è il loro album “peggiore”, ma allo stesso modo in cui Ringo è il ‘peggiore’ elemento dei The Beatles, tutto dipende dal tipo di classifica in cui si è destinati ad essere inseriti. E in alcuni casi trovarsi nel fondo non è così male… (se non sei d’accordo, ti sbagli).

8) Presence (1976)

Registrato in soli diciotto giorni, mentre Robert Plant si riprendeva da un grave incidente stradale, Presence è l’album meno venduto dei Led Zeppelin. Non è immediato come i suoi predecessori, richiede tempo per essere assimilato, ma la sua grandezza è innegabile. Nonostante tutto, ha conquistato la vetta delle classifiche, trainato da brani che ne definiscono l’essenza: l’epica cavalcata di Achilles Last Stand, la tensione elettrica di Nobody’s Fault But Mine, e il groove irresistibile di Hots on for Nowhere, ingiustamente sottovalutato. Al pari di Coda, sembra quasi un distillato di tutto ciò che ha reso i Led Zeppelin leggendari fino a quel momento, una sintesi della loro identità sonora. Ma quando si parla di Led Zeppelin, ogni album è un capitolo imprescindibile della loro storia. Presence, anche se meno celebrato, è una vibrante testimonianza del loro genio musicale.

7) In Through The Out Door (1979)

La registrazione dell’ultimo album prima della morte di John Bonham è stata interrotta un sacco di volte a causa della dipendenza da eroina e alcol di Page e Bonham. Il suono riflette un po’ quella nebbia di intossicazione: la prima canzone, In the Evening, inizia con un suono confuso di chitarra e un basso che rimbomba leggermente, prima che un ritmo forte e deciso dia vita al brano, mentre le influenze synth-pop di Carouselambra e All My Love spingono la loro musica verso un nuovo e sconosciuto fronte psichedelico. È facile vedere in In Through The Out Door tutti i segni di una band che sta andando a pezzi, ma se è così che è andata, almeno ci hanno dato dentro lottando fino alla fine.

6) Led Zeppelin III (1970)

Qualsiasi album si apra con l’urlo minaccioso di Immigrant Song fa sul serio. Il terzo album dei Led Zeppelin è un po’ più folk rispetto ai due precedenti, con Gallows Pole che mostra un’insolita moderazione (prima di perdere completamente il controllo, ovviamente, ma in modo fantastico) e Bron-Y-Aur Stomp, che prende il nome dal cottage gallese dove Plant e Page hanno scritto gran parte dell’album e presenta persino alcuni battiti ritmici sopra il suono acustico della chitarra. I musicisti quando sono eccellenti tendono a produrre musica eccellente, indipendentemente dal genere. Ecco la prova.

5) Houses of the Holy (1973)

Nonostante il titolo possa trarre in inganno, il quinto album dei Led Zeppelin non è la casa della sua eccellente traccia omonima, ma si rivela un lavoro ambizioso e tematicamente vasto. Mantiene le inclinazioni folk-rock già esplorate in Led Zeppelin III, con Over the Hills and Far Away come perfetto esempio di questa continuità, un pezzo che i Fairport Convention avrebbero probabilmente accolto senza riserve. A rendere davvero distintivo questo album sono le sue incursioni audaci in territori musicali inaspettati. D’yer Mak’er fonde reggae e surf-pop californiano con un’ironia giocosa, mentre No Quarter rappresenta uno dei momenti più atmosferici e magistrali dell’opera, grazie al synth-bass e al pianoforte di John Paul Jones, che creano un paesaggio sonoro sospeso tra il mistico e il monumentale. Qui la band non si limita a dimostrare la propria grandezza, la celebra con sicurezza e visione. Un conto è essere i migliori. Un altro è saperlo e dimostrarlo senza esitazioni.

4) Led Zeppelin II (1969)

Registrato in frammenti di tempo sottratti al frenetico programma di tournée che il successo del loro album di debutto richiedeva, Led Zeppelin II fu una reazione alchemica meravigliosamente disordinata tra il talento e la verità del loro primo album e il successo e la fiducia che questo gli ha dato. Si apre con uno dei riff più iconici di tutti i tempi su Whole Lotta Love, prosegue con il frenetico bazar melodico di The Lemon Song, prima di stabilizzarsi in un groove inarrestabilmente sicuro con Heartbreaker e Ramble OnUn razzo spaziale attaccato al razzo spaziale della loro esplosione.

3) Led Zeppelin (1969)

Fa quasi sorridere pensare che questo disco, destinato a diventare una pietra miliare del rock, sia stato accolto con recensioni negative. John Mendleson di Rolling Stone lo liquidò con parole caustiche, definendo Jimmy Page «un produttore molto limitato e uno scrittore di canzoni deboli e prive di immaginazione». Ora, prova a immaginare di considerare Good Times Bad Times debole o privo di inventiva. Prova a pensare che Dazed and Confused, con quelle note iniziali di chitarra che fendono il silenzio e si riflettono sulla voce di Robert Plant come increspature in uno stagno perfetto, sia poco ispirata. E Communication Breakdown? Il solo pensiero sembra quasi assurdo. La storia non è stata gentile con l’opinione di Mendleson. Questo album non solo ha ridefinito il rock, ma ha introdotto un suono che sarebbe diventato iconico. Uno dei più grandi debutti di sempre.

2) Physical Graffiti (1975)

Il primo album pubblicato sotto la loro etichetta, Swan Song Records, è un’ode alla libertà creativa. Si sente in ogni traccia, in ogni riff, in ogni esplorazione sonora. Ascoltarlo dall’inizio alla fine è un viaggio esaltante, e quando si arriva alla doppietta Houses of the Holy e **Trampled Under Foot **che chiude il primo lato, l’esperienza è pura euforia. Poi c’è Kashmir. Si innalza sopra il disco con le sue maestose trame di archi e corni, conducendo l’ascoltatore in un paesaggio sonoro senza tempo. Da lì, il percorso si addentra nella nebbia mercuriale di In the Light e Down by the Seaside, per poi approdare su terre più solide con The Wanton Song. Un album di cristallina bellezza, un manifesto di ambizione e creatività senza confini.

1) Led Zeppelin IV (1971)

Doveva esserlo. Il quarto album dei Led Zeppelin, tecnicamente senza nome, è oggi universalmente riconosciuto come il loro capolavoro. E considerando la straordinaria qualità della loro discografia, questo dice davvero tutto. Si apre con Black Dog, una delle tracce più cariche di sensualità mai ascoltate, prima di alzare ulteriormente l’adrenalina con la frenetica Rock and Roll, un’esplosione di energia pura. Poi arriva la delicatezza di Going to California, con le sue chitarre sognanti e le voci cariche di tensione emotiva, seguita dal groove ipnotico e inconfutabile di When the Levee Breaks, un brano che sembra sospeso tra mito e devastazione sonora. Infine, Stairway to Heaven. L’epicità assoluta, la traccia che trascende ogni categoria e che domina il disco con una presenza quasi mistica. Ci sono tutte le altre cose… e poi c’è Stairway to Heaven.

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(Articolo originariamente pubblicato su GQ UK)

— Onda Musicale

Tags: Led Zeppelin, Blues, Yardbirds
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