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Chitarre rock: lo stile di George Harrison

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George Harrison

George Harrison (1943–2001), spesso ricordato come il “Beatle silenzioso”, è stato uno dei chitarristi, compositori e cantautori più influenti del XX secolo.

Membro dei Beatles, George Harrison ha lasciato un’impronta molto profonda nella musica popolare non solo come parte della band più famosa al mondo, ma anche come artista solista, con album come All Things Must Pass (1970) che hanno ridefinito il concetto di rock spirituale. Il suo stile musicale, caratterizzato da un’eleganza melodica, un’esplorazione spirituale e una sperimentazione sonora, è un mosaico che unisce rock, pop, folk, musica indiana e influenze blues.

Radici e influenze: un crocevia di suoni nel suo stile musicale

Lo stile musicale di George Harrison è il risultato di un’educazione musicale e culturale eclettica, radicata nella Liverpool degli anni ‘50 e arricchita da un’apertura verso suoni globali. Cresciuto in una famiglia operaia, George Harrison scoprì la musica attraverso il rock’n’roll americano degli anni ‘50, con artisti come Buddy Holly, Carl Perkins ed Elvis Presley che ispirarono il suo amore per la chitarra e le melodie accattivanti. Il rockabilly di Perkins, in particolare, influenzò il suo approccio iniziale alla chitarra, con fraseggi chiari e ritmici che si sentono in brani come “All My Loving” dei Beatles.

Negli anni ‘60 l’incontro con la musica classica indiana

In particolare l’incontro con il maestro del sitar Ravi Shankar trasformò profondamente il suo stile. George Harrison si immerse nello studio del sitar e della filosofia hindu, introducendo elementi di musica indiana nel rock occidentale, come in “Norwegian Wood” (1965) e “Within You Without You” (1967). Anche il folk, il blues e la musica psichedelica giocarono un ruolo chiave, con influenze da Bob Dylan, Eric Clapton (suo grande amico) e il movimento psichedelico di fine anni ‘60.

Questa combinazione di rock’n’roll, musica indiana, folk e spiritualità creò un suono unico, che si sviluppò ulteriormente nella sua carriera solista, dove George Harrison esplorò temi di trascendenza e introspezione, spesso con un approccio minimalista ma profondamente emotivo.

Melodia, spiritualità e semplicità raffinata

Il suono di George Harrison è caratterizzato da un equilibrio tra semplicità e profondità, con melodie memorabili, armonie delicate e un tocco spirituale che permea sia i suoi contributi ai Beatles sia la sua produzione solista. Ecco le componenti principali del suo stile:

  • Rock e pop melodico: nei Beatles, Harrison contribuì con brani come “Something” e “Here Comes the Sun”, caratterizzati da melodie fluide e strutture armonicamente ricche. Il suo stile compositivo privilegiava l’eleganza e l’accessibilità, ma con una sensibilità che aggiungeva profondità emotiva.
  • Musica indiana: Harrison fu uno dei primi musicisti occidentali a integrare la musica indiana nel rock. Brani come “Love You To” e “Within You Without You” utilizzano strumenti come sitar, tabla e tambura, combinati con scale raga e ritmi ciclici, creando un’atmosfera meditativa e ipnotica.
  • Folk e country: influenzato da Bob Dylan e The Band, George Harrison sviluppò un amore per il folk e il country, evidente in brani come “If I Needed Someone” e nel suo lavoro solista in All Things Must Pass, dove il suono acustico si mescola a un’energia spirituale.
  • Blues e slide guitar: negli anni ‘70 affinò la sua tecnica di slide guitar, ispirata da musicisti come Ry Cooder e Duane Allman. La sua slide, usata in brani come “My Sweet Lord” e “Give Me Love (Give Me Peace on Earth)”, è caratterizzata da un suono fluido e cantabile, con un’espressività che riflette il suo interesse per la spiritualità.
  • Psichedelia e sperimentazione: durante il periodo psichedelico dei Beatles (Revolver, Sgt. Pepper’s), Harrison sperimentò con effetti sonori, nastri al contrario e strutture non convenzionali, come in “Tomorrow Never Knows”.

Il suo suono era caratterizzato da un’eleganza sobria, con un uso magistrale di accordi semplici ma potenti, melodie che catturavano l’ascoltatore e un’attenzione ai dettagli che rifletteva la sua crescita come compositore.

La sua tecnica chitarristica: un mix di eleganza e narrazione

Come chitarrista, George Harrison non era un virtuoso nel senso tecnico di Jimi Hendrix o Eric Clapton, ma il suo stile era caratterizzato da una precisione melodica e un’abilità narrativa che rendevano i suoi assoli e accompagnamenti indimenticabili.

Ecco le caratteristiche principali:

  • Tono e strumentazione: Harrison utilizzava principalmente chitarre Gretsch, Rickenbacker e Fender Stratocaster durante l’era dei Beatles, spesso con amplificatori Vox o Fender. Il suo tono era caldo e pulito, con un uso moderato di effetti come il riverbero e, successivamente, il pedale wah-wah e il Leslie speaker per la slide guitar. Nella sua carriera solista, prediligeva la Fender Telecaster e la Gibson Les Paul per un suono più corposo.
  • Assoli e fraseggio: gli assoli di Harrison erano concisi e melodici, progettati per servire la canzone piuttosto che mostrare virtuosismo. Brani come “Something” e “Let It Be” mostrano la sua capacità di creare linee melodiche che completano il testo, con fraseggi che combinano scale pentatoniche, arpeggi e bending delicati. Il suo vibrato era sottile ma espressivo, e il suo tocco era sempre al servizio dell’emozione.
  • Slide guitar: dopo i Beatles, George Harrison sviluppò una tecnica di slide guitar che divenne una firma del suo suono solista. In brani come “My Sweet Lord” e “Isn’t It a Pity”, la slide aggiunge un carattere etereo e spirituale, con lunghe note cantabili che evocano un senso di trascendenza.
  • Accompagnamento: come chitarrista ritmico era un maestro nel creare trame di accordi che arricchivano le canzoni senza sovrastarle. Il suo uso di arpeggi in “Here Comes the Sun” o di riff semplici ma efficaci in “Taxman” dimostra la sua abilità nel bilanciare semplicità e complessità.
  • Composizione e arrangiamento: Harrison era un compositore meticoloso, capace di scrivere brani che spaziavano dalla semplicità pop di “I Need You” alla complessità armonica di “While My Guitar Gently Weeps”. Nei suoi lavori solisti, utilizzava arrangiamenti lussureggianti, spesso con la collaborazione di produttori come Phil Spector, per creare un suono epico ma intimo.

La voce di George Harrison era morbida, calda e leggermente nasale, con un timbro che trasmetteva sincerità e vulnerabilità

Sebbene non fosse il cantante principale dei Beatles (di questo ne soffrì parecchio), il suo ruolo vocale crebbe con il tempo, culminando in capolavori come “Something” e “Here Comes the Sun”. Nei suoi lavori solisti, come All Things Must Pass e Living in the Material World (1973), la sua voce divenne un veicolo per i suoi testi spirituali, spesso accompagnata da armonie corali che amplificavano l’atmosfera contemplativa.

Sul palco era meno carismatico di Lennon o McCartney, ma la sua presenza era magnetica nella sua riservatezza. Durante il Concert for Bangladesh (1971), il primo grande concerto di beneficenza della storia, George Harrison dimostrò la sua capacità di riunire artisti come Bob Dylan, Eric Clapton e Ravi Shankar, dirigendo l’evento con umiltà ma autorevolezza.

Figura chiave negli anni ‘60, un periodo di grande fermento culturale

Come Beatle, contribuì a ridefinire la musica popolare, portando i Beatles da un suono pop a un’esplorazione più matura e sperimentale. La sua introduzione della musica indiana nel rock aprì nuove possibilità per il genere, influenzando artisti come The Byrds e Jefferson Airplane. La sua sensibilità spirituale, ispirata alla filosofia hindu e alla meditazione trascendentale, lo rese una figura di riferimento per il movimento hippie e per chi cercava un significato più profondo nella musica.

Nella sua carriera solista George Harrison usò la musica per esplorare temi di spiritualità, amore universale e critica sociale

All Things Must Pass è considerato uno dei migliori album solisti di un ex-Beatle, con brani come “My Sweet Lord” che combinano spiritualità e pop in modo accessibile ma profondo. Il Concert for Bangladesh segnò un precedente per i concerti di beneficenza, ispirando eventi come Live Aid.

Harrison influenzò una vasta gamma di artisti, da Tom Petty (con cui collaborò nei Traveling Wilburys) a Jeff Lynne, fino a band moderne come Tame Impala, che ne ammirano la fusione di melodia e sperimentazione. La sua dedizione alla spiritualità e alla musica come mezzo di espressione personale lo rese un modello per i musicisti che cercano autenticità.

La carriera musicale di Harrison si è evoluta in modo significativo

Negli anni ‘60 con i Beatles, passò da contributi minori come “Don’t Bother Me” a capolavori come “While My Guitar Gently Weeps” e “Something”. Dopo lo scioglimento dei Beatles, All Things Must Pass (1970) rappresentò il culmine della sua creatività, con un suono epico e spirituale. Negli anni ‘70 e ‘80, album come Living in the Material World e Cloud Nine (1987) mostrarono una continua esplorazione di temi spirituali, ma anche un ritorno a un rock più diretto e pop.

I suoi testi spaziavano dalla spiritualità (“My Sweet Lord”, “Hear Me Lord”) alla critica sociale (“Piggies”, “Bangla Desh”) e all’introspezione personale (“Isn’t It a Pity”). George Harrison usava l’umorismo in modo sottile, come nei Traveling Wilburys, ma il suo approccio era generalmente più contemplativo rispetto alla satira pungente (e politica) di John Lennon o alla narrazione pop di Paul McCartney.

La sua (prematura) scomparsa

La morte di George Harrison nel 2001 (a causa di un cancro ai polmoni sviluppato dopo uno al cervello), segnò la fine di una carriera straordinaria, ma la sua influenza rimane viva. La sua discografia, sia con i Beatles sia come solista, è studiata e celebrata per la sua profondità e versatilità. Album come All Things Must Pass e Cloud Nine sono considerati classici, mentre il suo lavoro con i Traveling Wilburys ha mostrato la sua capacità di collaborare con leggende come Bob Dylan, Roy Orbison e Tom Petty.

Numeroi i premi e i riconoscimenti prestigiosi

George Harrison ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui l’inserimento nella Rock and Roll Hall of Fame come solista (2004) e come membro dei Beatles (1988). La sua eredità è quella di un musicista che ha unito melodia, spiritualità e sperimentazione, dimostrando che il rock poteva essere un veicolo per l’espressione di idee profonde. La sua introduzione della musica indiana nel pop occidentale e il suo impegno umanitario attraverso il Concert for Bangladesh lo rendono una figura di grande riferimento culturale.

— Onda Musicale

Tags: Eric Clapton/Jimi Hendrix/Bob Dylan/Jefferson Airplane
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