Pubblichiamo alcuni passaggi di una bella intervista a David Gilmour rilasciata nel 2016 a Panorama, il periodico di attualità, economia e politica del Gruppo Mondadori.
Il chitarrista britannico David Gilmour si apre e mostra la sua visione della vita e del panorama musicale mondiale contemporaneo e anche quello che lo ha visto protagonista in una delle band più amate in tutto il mondo: i Pink Floyd.
Reduce da due memorabili concerti in Italia, svoltisi a Verona e Firenze, preludio all’uscita del suo nuovo disco come solista, il chitarrista di Cambridge, subentrato nei Pink Floyd al posto di Syd Barret nel 1968, racconta il privilegio del suo modo di vivere scrivendo canzoni. Che lo sappia fare bene, per chi avesse qualche dubbio, lo dimostra il fatto che l’ultimo disco Rattle that Lock, uscito il 18 settembre, è in testa a tutte le classifiche di vendita, dimostrandosi davvero un bellissimo lavoro discografico.
Mia moglie (Polly Samson) sostiene che a questo punto potrei comunicare anche senza parole, solo con le note della chitarra.”
Polly, giornalista e scrittrice, è co-autrice dei testi del disco, dopo avere collaborato con David anche alla stesura del penultimo disco On an Island, oltre che agli ultimi due dei Pink Floyd.
Dopo una pausa durata nove anni, David Gilmour ha realizzato un autentico capolavoro, destinato a rimanere per sempre nell’olimpo della musica senza tempo:
La prossima volta ne lascerò passare dieci, è una promessa. Il mio antidoto alla velocità disumana di questo tempo è avere rispetto per quel che conta davvero nella vita. Un SMS può attendere, un sorriso a chi vuoi bene, no.”
E Gilmour, con la sua geniale semplicità, riesce quasi a disarmare il proprio interlocutore quando gli chiede che effetto gli fa essere una leggenda vivente della musica contemporanea:
La più assoluta autodeterminazione: vivo assecondando i miei desideri. Quelli artistici prendono forma in in luogo chiamato Astoria, una casa galleggiante del 1911 sul Tamigi. L’ho acquistata e trasformata in studio di registrazione. Se mi viene un’idea anche nel cuore della notte ci vado, accendo le luci e mi perdo nella bellezza del suono. La canzone è il mezzo espressivo più libero e autentico del mondo. Posso ispirarmi a un quadro, a una donna, a un colore, a un fatto di cronaca. Siamo soli: io e la mia fantasia. Nessun capufficio, nessun orario, nessuna burocrazia. Credo sia il privilegio più grande.”
Ascoltare David Gilmour, prima con i Pink Floyd e dopo come solista, fa sempre un grande effetto. Lo sa bene chi lo ha apprezzato nella più grande progressive band di tutti i tempi, ma anche chi ha ascoltato, anche solo per una volta, i suoi due album come solista, risalenti a quando suonava ancora con i Pink Floyd. Nel 1978 ha realizzato David Gilmour, disco omonimo e nel 1984 About face. Curioso pensare che dopo solo un anno Roger Waters avrebbe abbandonato la formazione.
Scrivere di David Gimour senza menzionare Richard Wright sarebbe profondamente ingiusto. Il tastierista dei Pink Floyd, scomparso nel 2008, non solo è stato uno dei fondatori dellla band, ma anche l’autore di alcune delle melodie più amate e apprezzate della formazione britannica. Ascoltando Us and Them o The Great Gig in the Sky si percepisce tutta la sua sensibilità e abilità musicale. Senza dubbio Wright ha contribuito, e non poco, a creare quel sound tipico e carattristico dei Pink Floyd.
David Gilmour, in occasione della prematura scomparsa dell’amico, il 15 settembre 2008 ha dichiarato:
Nessuno può sostituire Richard Wright. È stato il mio partner musicale e amico. Nelle discussioni su chi o cosa fossero i Pink Floyd, il contributo enorme di Rick negli ultimi periodi con Roger Waters è stato spesso trascurato. Era un tipo così gentile, modesto e riservato ma la sua voce profonda e il suo modo di suonare erano vitali, magiche componenti del nostro riconoscibile sound. Non ho mai suonato con nessuno come lui. L’armonia delle nostre voci e la nostra telepatia musicale sono sbocciate nel 1971 in Echoes. A mio giudizio tutti i più grandi momenti dei Pink Floyd sono quelli in cui lui è a pieno regime. Dopo tutto, senza Us and Them e The Great Gig in the Sky, entrambe composte da lui, cosa sarebbe stato The Dark Side of the Moon? Senza il suo tocco pacato l’album Wish You Were Here non avrebbe funzionato molto. Nei nostri anni di mezzo, per vari motivi lui ha perso la sua strada per qualche tempo, ma nei primi anni Novanta, con The Division Bell, la sua vitalità, brillantezza e humor sono ritornati e la reazione del pubblico alle sue apparizioni nel mio tour del 2006 è stata tremendamente incoraggiante, ed è un segno della sua modestia che quelle standing ovations siano giunte a lui come una grande sorpresa (sebbene non al resto di noi). Come Rick, non trovo facile esprimere i miei sentimenti con le parole, ma lo amavo e mi mancherà enormemente.”
Facile capire quale fosse il legame fra i due amici e musicisti. E lo è ancora di più ascoltando le parole di Gilmour:
Il fatto che non avessimo bisogno di parlare. Il nostro mezzo di comunicazione in studio era la telepatia. Pensavamo alle stesse note senza mai dircelo, una magia. Ci siamo un po’ persi di vista quando Roger Waters decise di estrometterlo da The Wall. Acqua passata… Quel che mi è molto chiaro e che con nessun musicista al mondo ritroverò quell’armonia. Ho provato a suonare con altri tastieristi, ma non c’è niente da fare: Richard è insostituibile.”
Nel suo ultimo disco David Gilmour ha utilizzato il Liberty Choir, un coro composto da detenuti nella prigione britannica di Wandsworth.
Provi a immaginarmi in una stanza grigia di cinque metri intento a cantare il Gloria di Vivaldi con un gruppo di carcerati protagonisti di un progetto di riabilitazione sociale. Non avrei mai pensato di tornare in quella prigione. Lì è stato rinchiuso per mesi mio figlio, Charlie, condannato per gli scontri in piazza a Londra durante le proteste per l’aumento delle tasse universitarie. Vederlo dietro le sbarre è stato uno choc. Ma non l’ho giudicato: era detenuto per aver detto no a un’ingiustizia, per avere sostenuto che l’accesso allo studio non può essere un’esclusiva di chi ha più soldi.”
Il disco Rattle that Lock, come detto, sta scalando tutte le classifiche modiali a dimostrazione che si tratta di una lavoro davvero molto ben fatto. E non potrebbe essere diversamente da parte di un uomo e da un musicista che ha fatto della cura dei particolari e dei dettagli un autentico punto di forza. Ma non provate a chiedergli in quale formazione musicale avrebbe voluto suonare se non avesse fatto parte dei Pink Floyd.
Potrebbe rispondervi, come ha fatto nell’intervista, i Beatles, ai quali si è ispirato agli albori della sua gloriosa carriera.
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