Musica

Jim Morrison a 50 anni dalla morte

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Il 3 luglio 1971 moriva a Parigi dentro una vasca da bagno un certo James Douglas Morrison – questo il  nome completo col quale avrebbe voluto farsi conoscere, in qualità di poeta, colui che invece era diventato (suo malgrado) ben più famoso come JIM MORRISON, leader e cantante dei Doors.

Oggi, a cinquant’anni di distanza da quel tragico evento, gli eredi hanno  deciso di celebrarne ancora una volta il mito attraverso la pubblicazione di un nuovo libro – The Collected Works of Jim Morrison – contenente tutti i suoi scritti (canzoni, poesie, diari, riflessioni e appunti sparsi), alcuni dei quali totalmente inediti.

Questa nuova opera omnia di circa 600 pagine dimostra (caso mai ce ne fosse ancora bisogno) come il sogno poetico di Jim non fosse poi così irrealizzabile: al netto delle critiche accademiche e di alcune ingenuità, i lampi della sua “Tempesta Elettrica”  sono ancora capaci di squarciare il cielo di carta (e non solo). Perché sì, siamo Rock Star, ma oltre le gambe avvolte nei pantaloni di pelle c’è di più.

Senza voler scendere troppo a fondo nei meandri della poetica morrisoniana per mancanza di tempo e spazio, ma soprattutto per paura di non saper più come fare a riemergere, abbiamo deciso di rendergli omaggio attraverso dieci frammenti che non hanno la pretesa di essere esaustivi nella descrizione e comprensione della sua figura, ma che possono comunque aiutare a tratteggiarne meglio i contorni sfumati e sfumandoli.

1.L’inizio

Secondo la leggenda la storia dei Doors inizia una calda sera di luglio del 1965 sulla spiaggia di Venice Beach, quando Ray Manzarek (futuro tastierista dei Doors)incontra per caso un suo ex compagno della scuola di cinema che credeva partito per New York in cerca di fortuna e che guarda caso era proprio il nostro Jim Morrison.  In quell’atmosfera da confessione notturna, Jim ammette di non essere mai partito, ma di essere rimasto a Los Angeles a dormire sui tetti e a scrivere versi di canzoni e poesie. Ray a quel punto – incuriosito e stupito – gli chiede di cantargliene una. Jim allora intona quelli che in seguito diventeranno i versi iniziali di Moonlight Drive  e della loro (folle) ”corsa” al chiaro di luna:

Nuotiamo fino alla luna

Arrampichiamoci attraverso la marea

Penetriamo la sera che la città nasconde dormendo

Nuotiamo al largo, amore

È il nostro turno di provare

Parcheggiati accanto all’oceano

Sul nostro viale al chiaro di luna

Proprio come i due amanti della canzone, i due amici decidono che è il loro turno di rischiare e di formare quella che diventerà una delle band più famose della storia del rock.

Il brano contiene già i germi della poesia morrisoniana: il mescolamento della notte con la tematica acquatica fa emergere tutta la sensualità oscura di Morrison, l’unione tra cielo e mare notturno diventa così metafora dell’unione fisica e amorosa tra i due amanti (“scendiamo fino in riva all’oceano/ avviciniamoci / stiamo stretti stretti).

La canzone diventa poi un invito a “uscire” che finisce per farli affondare entrambi: Baby, questa notte annegheremo, andremo giù.

Insomma, prima di diventare un aforisma sbagliato su Facebook Jim Morrison era riuscito – al primo colpo e in pochi versi – a descrivere l’amore come qualcosa di bellissimo e di travolgente a cui non puoi resistere, ma che proprio per questo può anche trascinarti sul fondo e farti affogare.

2. L’Ovest della mente.

Per gli americani l’Ovest non è un semplice punto cardinale, ma un’idea. Questo perché storicamente gli Stati Uniti nacquero come espansione verso ovest, cioè attraverso un continuo spostamento del confine verso occidente. Il mito della frontiera che abbiamo visto in migliaia di film americani è profondamente radicato nella cultura statunitense, in cui l’ovest ha assunto vari significati come la ricerca di una nuova vita, di nuovi spazi, di nuovi sogni e più in generale di un senso di libertà totale. È a questo ovest della mente che si rifà la musica dei Doors di Jim Morrison:

Tutta la faccenda dovrebbe essere come un invito al west. Il tramonto. La Notte. Il Mare. Questa è la fine. Qualunque cosa serva a promuovere questa immagine è utile. Il mondo che proponiamo è un nuovo Far West “ (Jim Morrison).

Non a caso nella loro canzone più famosa – The End – Jim canterà “The west is the best”. Per JM l’ovest è il meglio proprio perché rappresenta una “fine concettuale”.

Questa è la fine di tutto. Proprio qui. […] Non intento noi… intendo la civiltà occidentale. Questo è il suo limite estremo.  Non può andare oltre. Questo è tutto. Siamo alla fine.

La California dei Doors rappresenta le colonne d’Ercole degli Stati Uniti. La spiaggia su cui nascono i Doors è il limite fisico, ma non quello mentale. Solo lì dove l’America finisce si può capire che essa non è tutto, che bisogna tentare di andare oltre. Per questo solo lì Jim poteva scrivere una canzone come Break On Through (to the other side), primo brano dell’album d’esordio dei Doors e vero e proprio invito all’andare più in là, a superare i limiti fisici e mentali per irrompere “dall’altra parte”.

3. Le porte della percezione.

Ma cosa c’era esattamente dall’altra parte secondo Jim? Per capirlo bisogna prima far riferimento al saggio di Aldous Huxley dal quale deriva il nome della band, “Le porte della percezione”, che a sua volta cita un verso di William Blake: “Se le porte della percezione fossero sgombrate / ogni cosa ci apparirebbe com’è, infinita”.

In sintesi, secondo Huxley ci sono persone avvantaggiate che sono dotate per natura di una spiccata immaginazione – o nei casi limite alla Blake, sono veri e propri visionari – e altre persone che invece sono mentalmente imprigionate da loro stesse perché per vivere nel mondo moderno hanno dovuto castrare la propria immaginazione spontanea. Quest’ultime possono riaprire le porte della percezione attraverso l’uso di sostanze stupefacenti e ritornare così a quella sorta di incantamento tipico del bambino di fronte alla realtà. Tramite l’uso di queste sostanze in pratica si (ri)torna allo stupore di fronte al tutto. È questa la teoria alla base degli abusi di droga di Jim Morrison – che poi degenereranno nella sua morte prematura. È bene precisare che, almeno in partenza, dunque, non c’era alcun intento autodistruttivo, come è stato detto invece da più parti: per Jim le droghe erano solo un mezzo per aprire quelle porte, parafrasando in vita quello che i suoi poeti preferiti avevano declamato in versi, vedi ancora Blake con “la strada dell’eccesso conduce al palazzo della saggezza” oppure Rimbaud, secondo il quale il poeta diventa un veggente attraverso “un lungo, immenso, ragionato sregolarsi di tutti i sensi”.

Se le droghe sono il mezzo, in ambito letterario il fine di questa riapertura delle porte è la funzione stessa della poesia: riaprire i gusci delle parole.

4. Critica della società – Dai giorni strani alla gente strana

Per dirla con le parole di Jim “se la mia poesia ha una qualche aspirazione, è quella di liberare la gente dai modi limitati in cui vede e sente”, ma l’apertura delle porte della percezione non mostra necessariamente qualcosa di positivo. Nel caso di Morrison ad esempio spesso queste nuove visioni diventano incubi in cui il protagonista rifugge dalla vita sociale e si rifugia nella solitudine:

Strani giorni ci hanno colti

E attraverso le loro strane ore

Indugiamo da soli

Corpi confusi

Ricordi abusati

Mentre fuggiamo dal giorno

Verso una strana notte di pietra

Grazie a questa nuova percezione però Jim riesce a elevarsi dal resto della società e a smascherarla passando, quindi, dalla sensazione di straniamento cantata in Strange Days  a una considerazione sulla “stranezza” della società civile presente in People Are Strange. Jim nel suo abissale senso di solitudine è diventato un estraneo che dall’esterno può vedere meglio, dentro di sé e dentro gli altri, la società che lo circonda. Tutto ciò si tradurrà in una critica della società che si muove su più fronti, andando sia contro la cultura dominante – vedi The Unknown Soldier ,  apertamente schierata contro la guerra del Vietnam – sia contro la controcultura (di cui era stato inizialmente alfiere) – vedi il categorico rifiuto di partecipare al Festival di Woodstock oppure gli insulti gratuiti lanciati ai suoi stessi fan durante il famoso concerto di Miami in cui li aveva definiti “idioti e “schiavi”.

5. Il processo di Miami e gli atti osceni.

Il famoso concerto di Miami è quello tenutosi al Dinner Key Auditorium la sera del 1° marzo 1969, passato alla storia come il “Miami Incident”,  non tanto per via degli insulti al pubblico di cui sopra, né per la simulazione di una fellatio sul palco, quanto per quello che successe o non successe subito dopo. Non è mai stato chiarito, infatti, se il principale atto osceno per il quale Jim fu arrestato e processato – ovvero quello di aver mostrato i propri genitali al pubblico  – sia avvenuto veramente o meno. Di sicuro a un certo punto Morrison cominciò a spogliarsi invitando gli spettatori a fare altrettanto al grido di:

Spogliamoci tutti, amiamoci tutti. Amate il vostro prossimo. Amatevi tutti perché qui voi non siete venuti per la musica, non siete venuti per il rock and roll vero? Siete venuti per vedere il mio cxxxx”

In pochi istanti la situazione degenerò e l’intervento della polizia pose fine al concerto.

Tra i testi inediti appena pubblicati ci sono proprio gli appunti esilaranti relativi al processo di Miami, di cui ci basta fornire un semplice esempio per capire l’assurdità e l’ironia con cui Jim aveva gestito il tutto:

– «Lei è un esperto di copulazione orale?»

– «Non ho una laurea»

6. Il Teatro del Re Lucertola

Da quanto sappiamo pare che il comportamento di Morrison durante il concerto di Miami sia stato influenzato, oltre che dall’alcol e da una certa ostilità nei confronti del cosiddetto flower power, anche da uno spettacolo di teatro sperimentale che aveva visto la settimana prima a Los Angeles. Il ruolo del teatro nella musica dei Doors nasce in studio con l’incisione di Alabama Song di Kurt Weill e Bertold Brecht, ma esplode letteralmente sul palco durante l’esperienza live. Dal vivo, infatti, i concerti dei Doors prendevano la forma di “testi scenici”  in cui le canzoni venivano completamente trasformate e inframmezzate da letture di poesie, monologhi e altri gesti recitativi compiuti dal cantante in modo talmente coinvolgente da tirarsi dietro tutto il pubblico – il Village Voice conierà in proposito la definizione di Artaud Rock. Il massimo esempio è rappresentato forse da The Celebration Of The Lizard, il cui testo integrale non è mai stato inciso come canzone su un album ufficiale proprio perché concepito come testo teatrale e quindi di difficile trasposizione in studio. Solo un suo frammento fu tramutato poi nel brano conclusivo di Waiting for the Sun intitolato Not To Touch The Earth. Ma è nel testo originale che JM pronuncia la famosa frase – “I am the Lizard King, I can do anything – a cui si deve il soprannome di Re Lucertola.  La pelle del serpente era per Jim una specie di protezione per poter fare qualsiasi cosa, proprio come una maschera di teatro.

7. Dioniso e la tragedia greca del rock

Questi concerti concepiti come eventi teatrali spesso diventavano quasi dei rituali religiosi catartici non solo per il pubblico adorante, ma anche e soprattutto per chi stava sul palco.

Jim infatti conosceva e metteva in pratica la teoria secondo la quale nella tragedia greca la vera catarsi non spetta al pubblico, ma agli attori. E infatti basta osservare attentamente i movimenti del suo corpo che si contorce, si agita  e danza come se fosse posseduto da uno spirito per capire l’intensità di quello che prova mentre si esibisce.

Un’altra teoria interessante abbracciata da Morrison è quella dell’origine dionisiaca della tragedia greca esposta da Nietzsche nel suo Die Geburt der Tragödie e da Aristotele nella sua Poetica. Morrison la mette in relazione con la nascita del rock:

A volte mi piace vedere la storia del rock’n’roll come l’origine della tragedia greca, che iniziò su piccoli spazi all’aperto nelle stagioni cruciali e all’inizio era un gruppo di fedeli che ballavano e cantavano. Poi, un giorno, una persona posseduta emerse dalla folla e cominciò a imitare un dio».

Quel dio è Dioniso, la divinità agreste dell’estasi, del vino, dell’ebbrezza e della liberazione dei sensi. La persona che lo imita invece ovviamente è Jim.

8. Lo sciamanesimo poetico

Jim Morrison è anche conosciuto come lo sciamano del rock. Non a caso ha scritto anche un brano che si intitola proprio Shaman’s Blues, anche se non è quello in realtà il brano più adatto per comprendere bene il senso e l’origine del suo “sciamanesimo”. Il brano giusto in è Peace Frog  in cui a un certo punto JM declama i seguenti versi:

“indiani sparsi sull’autostrada all’alba, sanguinanti fantasmi affollano il guscio fragile della mente del bambino”.

Questi versi che si riversano sulla canzone mentre la stessa parla del fiume di sangue in cui è nata l’America rimandano esplicitamente a un vecchio episodio d’infanzia raccontato più volte da Jim, ma smentito dai genitori.  Stando al racconto di Jim, all’età di 4 anni aveva visto un incidente stradale che aveva coinvolto degli indiani Pueblo durante un viaggio in macchina con la famiglia. Ma questo è il meno: Jim affermerà anche che in quell’occasione lo spirito di quegli indiani morenti era entrato dentro di lui trasformandolo in uno sciamano. Che il racconto sia tratto da una storia vera o meno non ha alcuna importanza poiché si tratta sempre di una raffigurazione simbolica: mentre è in viaggio verso il futuro con la sua famiglia americana JM capisce che l’America delle libertà si fonda sull’uccisione dei nativi e sul loro confinamento nelle riserve, cioè sulla privazione della vita e della libertà altrui. Insomma la libertà dell’America è un bluff.

9. Vedi Parigi e poi muori

Sarà anche per questo  – ma non solo – che a un certo punto Jim scappa via dall’America e va a vivere a Parigi per tentare (di nuovo) la fortuna come scrittore, finendo, invece, per trovare, la morte per overdose.

Per capire l’importanza della sua figura sarebbe forse bastato dire che la sua tomba posta nel cimitero parigino Père-Lachaise costituisce la terza meta turistica più frequentata della capitale francese dopo il Louvre e la Torre Eiffel. 

Se invece vogliamo provare a spiegare la complessità di questa figura multiforme forse dobbiamo ricorrere a un ultimo aneddoto dalla valenza simbolica: sulla sua lapide infatti è incisa una frase in greco KATA TON DAIMONA EAYTOY che può essere interpretata in due modi diversi: Nel segno del suo talento oppure nel segno del suo demone.

Molto probabilmente perché nel suo caso i due segni coincidono.

10. La Fine

The End è l’ultima canzone dell’album d’esordio dei Doors e la prima canzone con cui inizia Apocalypse Now  di Francis Ford Coppola, ma soprattutto è la canzone più famosa dei Doors forse anche perché è quella che in un certo senso riesce a racchiudere tutti i punti di cui abbiamo parlato finora. C’è il teatro, c’è la tragedia greca, c’è l’ovest, il senso della fine, la morte, gli atti osceni e c’è persino l’amore. Sembra difficile immaginarlo ora, ma la canzone inizialmente era nata proprio come una semplice canzone d’amore che parla della fine di una relazione, salvo poi ingigantirsi di versi e musica come un fiume in piena nella dimensione live, finendo per diventare qualcosa di molto più complesso.

Al suo interno si cela il famoso dramma di Edipo di Sofocle riaggiornato qui dalla poetica di Morrison: se nella tragedia greca Edipo uccide il suo stesso padre e sposa la sua stessa madre in maniera del tutto inconsapevole (tanto da arrivare al suicidio una volta scoperta la verità), nella versione di Morrison, l’uccisione del padre (Father, I want to kill you) e il sesso con la madre (Mother, I want to fuck you) sono due atti metaforici dovuti per lasciarsi alle spalle entrambi i genitori ed essere finalmente liberi.

In fondo era quello che il giovane Jim aveva sempre voluto. Una poesia dolorosa in cui essere libero.

Questa è la fine mio unico amico, la fine.

Mi fa male lasciarti libero

— Onda Musicale

Tags: The Doors/Jim Morrison
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