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La storia dietro la copertina di Wish You Were Here dei Pink Floyd

Wish you were here
Ci sono fotografi e foto che trasformano le immagini in un mito. Le immagini, a loro volta, restano per sempre le icone di un momento di grazia, immortalano negli occhi un suono e una band.

È il caso del brano dei Pink Floyd, “Wish you were here”. La copertina dei due uomini che si stringono la mano – e uno dei due è in fiamme – è mitica e ha fatto scuola. Molte le imitazioni nel tempo.

Il concept della copertina Wish You Were Here

Wish You were here è il nono album registrato negli studi di Abbey Road a Londra dai Pink Floyd. Fu pubblicato il 12 settembre 1975 dalla Harvest/Emi. Il successo dell’album fu immediato, merito indubbiamente dei brani e, in questo caso, anche della copertina. In un’epoca in cui ancora non esisteva MTV e ancor meno piattaforme musicali come Spotify o Youtube, le copertine degli album giocavano un ruolo fondamentale nel comunicare i contenuti del lavoro di una band o un musicista e introdurre all’ascolto. Le immagini delle copertine venivano veicolate sulle riviste di settore e dovevano indurre all’acquisto.

Il lavoro grafico per Wish you Were Here fu affidato allo studio di grafica Hipgnosis, all’epoca gestito da Storm Thorgerson e dal fotografo Aubrey “Po” Powell. Il team aveva già curato altre copertine per la band. I due furono invitati dalla casa discografica ad ascoltare l’album per farsi un’idea delle sonorità e dei contenuti.

Come racconta lo stesso Storm Thorgerson nel libro del 1997Mind over matter: The images of Pink Floyd”: «Rimanemmo chiusi in una stanza ordinaria ad ascoltare musica e parlare per ore. Lunghe discussioni con la band, i testi che ripercorrevano il tema dell’assenza, la stessa “Wish You Were Here” era un chiaro riferimento a Syd Barrett e al suo stato mentale alienato che lo ha portato fuori dalla band.

I ragazzi parlavano spesso di come le case discografiche guardassero ai musicisti come a delle macchine per soldi, chiedendo di sfornare una hit dietro l’altra. Tutti i discorsi ci portavano a una parola: assenza. A quel punto pensai: Have a cigar – la terza traccia dell’album – parla della falsità nel business musicale. Perché non pensare all’immagine di due uomini di affari che si stringono la mano, ma uno dei due va a fuoco? Tutti pensarono che fosse una bella idea, ma come realizzarla? Bastava dare fuoco a un uomo!»

Il perché la stretta di mano tra due uomini di affari dovesse riportare alla mente il tema dell’assenza, lo puntualizza sempre Thorgerson: «La stretta di mano è spesso considerato un gesto vuoto, privo di significato o senso. È un gesto scontato. Perché le fiamme? È la visualizzazione iconografica della tendenza delle persone a rimanere emotivamente assenti per paura di “rimanere scottati”» … che nel gergo discografico si utilizza per indicare artisti che hanno collezionato un sonoro insuccesso.

Il tema dell’assenza è sviluppato anche sul retro e sull’involucro dell’ LP. Sul retro compare un rappresentante commerciale senza volto, a cui ci si riferisce come al “Floyd Salesman”: l’assenza dei polsi e delle caviglie indica un involucro vuoto. L’interno dell’LP riporta la foto di un velo ondeggiante in bosco del Norforlk e un nuotatore che si tuffa in un lago senza provocare movimenti dell’acqua.

La location e i retroscena

Il team Hipgnosis decise di allestire il set fotografico presso il parcheggio degli studi Warner Bros a Burbank. Il posto esatto dovrebbe essere l’intersezione tra la Avenue D e la 5th Street alle spalle degli studios Warner. Gli edifici simil-hangar sullo sfondo della foto erano i capannoni dove si allestivano i set cinematografici: il luogo dell’immaginazione, della ricostruzione, dell’essere senza esistere, dove niente è reale e tutto è “assente”. Il numero “20” visibile su uno degli edifici, confermerebbe la correttezza della location.

Il fotografo Aubrey Powell si recò a Los Angeles per assumere due stuntman: Danny Rogers e Ronnie Rondell, l’uomo in fiamme. Powell spiegò cosa dovevano fare e Ronnie Rondell non poté fare a meno di far notare la pericolosità dello scatto.

Nel documentario del 2012 “Pink Floyd: The story of Wish You were here”, Rondell spiega: «All’epoca, facevo molti lavori con il fuoco. Ero uno specialista. Indossavo tute e tutto quello che serve per essere avvolti dalle fiamme rimanendo illesi. Cercai di spiegare, però, che ciò che mi chiedevano era pericoloso.

E’ pericoloso per un uomo rimanere fermo avvolto dalle fiamme per stringere la mano a un altro uomo. Di solito nelle scene con il fuoco, lo stuntman corre per lasciare la scia di fuoco dietro di sé oppure cade, in modo che il fuoco resti al di sopra, a parte il fatto che ci sono le prospettive della macchina da presa che fanno sembrare le fiamme più vicine di quello che sono in realtà. Ero riluttante, perciò, a restare fermo durante gli scatti, con il fuoco addosso. Ma alla fine non è stato difficile né rischioso e il lavoro era ben pagato».

A entrambi i figuranti consegnarono due completi trattati con un ritardante ignifugo, imbevuti di gasolio. Powell scattò 15 fotografie prima di cogliere quella giusta. Il vento era un fattore da non sottovalutare. La direzione in cui soffiava il vento non permetteva a Rondell di posare a destra e stringere la mano a Rogers sulla sinistra. In realtà, Rondell era in posa sulla sinistra e Rogers sulla destra, per cui i due si diedero una stretta di mano “sinistra”. In post produzione, nella camera oscura, il fotografo capovolse l’immagine. È presumibile che utilizzò lo stesso trucco per invertire il numero 20 sull’edificio.

Rondell non ne uscì completamente illeso: all’ultimo scatto, una folata di vento contraria avvolse il viso dello stuntman che immediatamente si buttò a terra, mentre gli assistenti di scena lo cospargevano di schiumogeno e coperte per spegnere le fiamme. Il risultato fu un sopracciglio e i baffi bruciati.

Come ricorda Thorgerson:

Si potrebbe dire, una rasatura liscia».

Di tutta la serie, Powell selezionò due foto per la copertina dell’album: uno scatto con la pellicola da 35 mm con trasparenza utilizzata per la copertina della versione destinata al mercato britannico e l’altra pellicola da 120 mm per versione destinata al mercato statunitense. Le due cover si distinguono perché in una l’uomo in fiamme è chino in avanti verso il basso e l’altra, invece, l’uomo in fiamme è leggermente reclinato verso l’indietro ed è “consumato” da più fiamme, rispetto all’altro scatto. Ma, a dir la verità, a distanza di anni è davvero difficile capire quale foto corrisponde a quale edizione. Inoltre, sono state rese pubbliche anche le altre foto del set.

Come atto finale della commessa, lo studio Hipgnosis di Thorgerson e Powell, conferì l’incarico del “confezionamento” a George Hardie, lo stesso designer responsabile del Prisma disegnato sulla copertina di “The Dark Side of the moon”, sempre dei Pink Floyd. Edotto sul concept della copertina sul tema dominante dell’assenza, pensò bene di avvolgere il tutto in una plastica nera opaca. Sembra che molti – pensando che fosse quella la copertina – aprirono con cautela la confezione per poi sfilare il vinile: forse alcuni non hanno mai visto la copertina reale dell’album “Wish YouWere Here”. Più assente di così!

Il successo di Wish you were here e il declino della Hipgnosis

La band accolse la copertina con entusiasmo. Tutti negli studi di Abbey Roads dal management ai produttori, dai tecnici agli ingegneri accolsero lo svelamento della commessa con un applauso. Come la band, anche la critica e il pubblico accolsero il lavoro con consenso unanime. Ma al successo che seguì per la band, non corrispose quello della Hipgnosis.

Negli anni ’80, Thorgerson e Powell aggiunsero alla compagine societaria Peter Christopherson – noto anche come Sleazy – il quale era più concentrato sulla produzione di film e video. Dopo pochi anni, entrarono in una seria crisi finanziaria dovuta a una generale cattiva gestione delle commesse e a evidenti differenze di opinione tra i soci. La società si sciolse: Thorgerson continuò il lavoro di grafico indipendente sotto l’etichetta StormStudios. Christopherson proseguì la carriera nella musica costituendo prima i “Throbbling Gristle” e poi i “Coil”. Powell, infine, continuò nel settore della filmografia con il nome di Hipgnosis. Christopherson è deceduto il 25 novembre 2010 all’età di 55 anni, mentre Thorgerson è deceduto il 18 aprile 2013 per le complicazioni di un tumore all’età di 69 anni.

La copertina di Wish You Were Here diventa fonte di ispirazione

La leggendaria copertina di Wish you were here ha fatto scuola. Non è corretto parlare di “imitazioni” della cover, ma piuttosto di ispirazione e omaggio di vari artisti per diversi lavori fotografici che hanno ripreso il concept. È vero che la tecnologia oggi, permette di ottenere gli stessi risultati, ma con minori rischi per i protagonisti.

Sulla copertina dell’album dei Radiohead The best of” compare la stilizzazione della cover di Wish You Were Here: il disegno di due uomini che si stringono la mano in uno slargo davanti una fabbrica e uno di due va a fuoco. La band utilizzò lo stesso tema per il CD di “O.K. computer”.

Nel videoclip dei System of a Down, Lonely Day viene omaggiata la copertina dei Pink Floyd.

In occasione della presentazione dell’ultimo album da solista Brother, di Morten Harket, nel 2014, il fotografo Glenn Karlsen Meling omaggia i Pink Floyd con un photoshooting del cantante per la rivista KK, di cui ha realizzato anche il making of

https://www.youtube.com/watch?v=96ij8B7kNpw

Fonti:

“Mind Over Matter: The Images of Pink Floyd,” Thorgerson, Storm and Peter Curzon, Sanctuary Publishing, 1997.wish yibnbnbn

Interview with Storm Thorgerson, “Floydian Slip,” Sept. 30, 1997.

Interview with Aubrey Powell, “Floydian Slip,” Jan. 30, 2015

— Onda Musicale

Tags: Pink Floyd, Wish You Were Here, Storm Thorgerson, Syd Barrett
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