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Marc Bolan e i T. Rex, con “Electric Warrior” nasce il glam-rock

I T. Rex di Marc Bolan

All’alba degli anni Settanta, nel settembre del 1971, esce Electric Warrior dei T. Rex. L’album è uno dei più emblematici del decennio e prototipo del nascente glam-rock, eppure oggi non è tra i più celebrati.

I T. Rex sono la creatura del genio volubile e multiforme di Marc Bolan. La band si chiama in origine Tyrannosauros Rex e cambia moniker proprio alla vigilia di Electric Warrior; il progetto è quello di alleggerire toni e immagine, irrorando il folk fino ad allora professato da un robusto filo di elettricità.

Marc Bolan – al secolo Mark Feld – all’epoca non ha ancora 23 anni ma è come se avesse già vissuto tante vite. Di origini russo-irlandesi, il piccolo Mark si innamora da ragazzino del rock di Elvis Presley e Buddy Holly e della figura di dandy di Beau Brummel.
Da adolescente si appassiona al movimento Mod, soprattutto per i ricercati canoni estetici, per poi rimanere folgorato dalla rivoluzione folk di Bob Dylan.

Come si capirà, il ragazzo ha tante idee, spesso confuse; una sola è quella che guida i suoi cambiamenti: Mark vuole diventare una star. Inizia a suonare la chitarra, incontrando molte difficoltà, tanto che non sarà mai un axeman provetto. Comincia a cercare fortuna come cantante e finisce per un periodo a Parigi; nella capitale francese ha come coinquilino per un periodo un fantomatico e sgangherato prestigiatore.

Fantasioso per natura, Mark racconta il periodo infarcendolo di quelli che – si spera – sono abbellimenti inventati. Come quando il Magician cucina carne umana e sacrifica gatti per i suoi numeri. Altra passione che rasenta il fanatismo è quella per i mondi di Tolkien, quello de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli. All’epoca i romanzi sono stati riscoperti dopo decenni dagli hippie, che vedono in quel mondo incontaminato una terra ideale.

Curioso che oggi Tolkien sia spesso finito per essere ostaggio di certa cultura destrorsa che se ne è appropriata in modo – scusate il gioco di parole – maldestro.

Fino al 1967 Mark colleziona qualche timida illusione con Emi e Decca, e una serie infinita di delusioni; presto il ragazzo si convince di essere un perdente e si chiude a casa dei suoi, cercando di scrivere un’imponente opera fantasy, fin troppo visionaria anche per il genere. L’incontro con Simon Napier-Bell, manager degli Yardbirds, cambia il corso degli eventi.

Napier-Bell è stanco della sua band principale, si invaghisce – non è chiaro se solo in senso artistico – del giovane Mark e lo mette sotto contratto. Il manager lo convince a entrare in un’altra band che gestisce, i John’s Children. Il gruppo è una sorta di versione minore degli Who, altrettanto distruttivi ma meno capaci tecnicamente. Mark non è convinto, pensa che per diventare una star debba continuare come solista.

Inoltre, i John’s Children un cantante già ce l’hanno – Andy Ellison – e lui entra in organico come chitarrista. Col complesso, però, Mark mette a punto i primi successi come compositore. Una lite – per via di alcuni arrangiamenti – mette fine al rapporto con Napier-Bell e con i John’s Children. Mark, che nel frattempo è diventato Marc Bolan, è pronto per formare una band tutta sua.

I Tyrannosauros Rex, finalmente, si rivelano il cavallo vincente di Bolan.
Con una sorta di folk psichedelico popolato di creature magiche, la band ottiene un buon successo; il carattere di Bolan e la sua ansia di diventare una superstar, però, fanno da motore di nuovo a una serie di cambi di formazione e direzione. Nel 1970 il complesso abbrevia il moniker in T. Rex ed esce con un album che fa da apripista a Electric Warrior.

Bolan intanto è passato dall’immagine di folletto sognante a quella di star sbrilluccicante di pailettes: nasce il glam-rock. Marc sarà sempre la figura archetipica del genere, meno intellettuale dell’amico e rivale David Bowie e meno algido di Brian Ferry.

Electric Warrior completa la trasformazione del sound dei T. Rex, preceduto dal singolo killer Get It On. Il brano, fortemente elettrificato, è l’ideale punto di contatto tra origini blues e rock’n’roll e quello che allora viene sentito come pop.

Registrato tra Londra, Los Angeles e New York, l’album si prende la testa delle classifiche di singoli e album e proietta finalmente Bolan laddove ha sempre voluto arrivare. Nell’Olimpo delle grandi rockstar.

Il disco sprizza elettricità da qualsiasi lato lo si osservi; dalla copertina opera della Hipgnosis – con la sagoma stilizzata di Marc che suona davanti a un enorme amplificatore; dal titolo, con quel guerriero elettrico a cui non è necessario aggiungere nulla. Ma anche nella produzione di Tony Visconti e nella verve di Marc alla chitarra.

La formazione vede Bolan a voce e chitarre, Mickey Finn alle percussioni, Will Legend alla batteria e Steve Currie al basso. Completano l’organico una serie di quotati turnisti.

L’apertura di Mambo Sun chiarisce bene le coordinate. Un sound morbido e compatto, elettrico e sinuoso, con la voce di Marc carezzevole e sensuale. Tra un “Ah” e un “Oh”, il cantante ammicca, seducendo l’ascoltatore, prima di lanciarsi in un breve assolo di chitarra. La tecnica non è certo quella dei coevi Page e Clapton, ma il suono saturo e levigato convince della sua semplicità.

Il brano sfuma e lascia spazio a Cosmic Dancer, uno dei pezzi iconici dei T. Rex, riuscitissima ballata che pare uscita dal canzoniere di Bowie. Stavolta Marc imbraccia la chitarra acustica in una progressione di accordi sentita mille volte ma che manda subito al tappeto le resistenze di chi ascolta. La voce – qui davvero bellissima – del cantante e l’azzeccato e misurato contributo degli archi fanno il resto.

Cosmic Dancer è un instant classic, un brano che conquista al primo ascolto. Al punto che sarà utilizzato per spot e film (Billy Elliot e Sex Education) e coverizzato da Morrissey e tanti altri. In una parola, un capolavoro pop.

Si va avanti con un altro pezzo killer, Jeepster. Siamo a metà tra country, rock’n’roll e qualcosa che all’epoca non ha nome. Pare di sentire contemporaneamente Eddie Cochran e David Bowie, a testimonianza dell’abilità di Bolan di maneggiare e fondere generi diversi.

Monolith è un pezzo più lento che strizza l’occhio al soul, con Marc che si concede una parte di chitarra con tanto di wah-wah. Il pezzo forte della casa rimane però la voce confidenziale di Bolan, abbinata a una capacità innata di cucire melodie senza tempo su uno scheletro rock’n’roll. La chitarra è piacevolmente artigianale.

Il primo lato del vinile si chiude con Lean Woman Blues.
Siamo quasi all’ossimoro, con un cantante che avrebbe tutto per mantenersi lontano dal blues e che invece suona qui un classico 12 battute con grande credibilità. Siamo nel campo del blues bianco sghembo e folkeggiante del primo Dylan elettrico, grande amore di Marc. Un paio di minuti e parte anche un bell’assolo, breve ma incisivo, a dimostrazione della versatilità del folletto londinese.

Il secondo assolo pare quasi citare nel suono e in qualche artigianale lick Eric Clapton.

La seconda facciata si apre col pezzo più iconico dei T. Rex, Get It On.
Il brano è un successo epocale, con la sua struttura tra rock’n’roll classico e atteggiamento glam e sussurrato di Bolan, ma nasconde una serie di aneddoti. Marc Bolan racconta di essersi ispirato – rubando con destrezza il riff – a Little Queenie di Chuck Berry, anche se i cori paiono citare pure Suzie Q dei Creedence.

Al pianoforte suona Rick Wakeman, il grande – futuro – tastierista degli Yes. Marc e Rick si incontrano per caso in Oxford Street e Wakeman confessa le sue difficoltà economiche. Marc lo porta con sé in studio e di fronte alle proteste di Visconti, che non vuole un pianista in quel pezzo, si impone dicendo che va aggiunto un glissando.

Il brano è inoltre la causa dei dissapori tra Marc e John Peel, suo grande sostenitore ma che rimane piuttosto freddo riguardo alla nuova via elettrica della band.

Planet Queen è un altro numero semi-acustico sullo stile di Cosmic Dancer, riuscito ma non altrettanto. Girl è una ballata romantica per chitarra e voce in cui la somiglianza con certe cose di David Bowie è davvero inquietante. A doppiare la bellissima voce di Bolan solo un flicorno suonato da Burt Collins.

The Motivator è un pezzo sulla falsariga di Get It On, un po’ in tono minore. Life’s a Gas è un’altra bellissima ballata, miracolosa via di mezzo tra Bowie e John Lennon, con le consuete intuizioni melodiche di Bolan. Piacevole e fantasiosa la breve parte di chitarra.

A chiudere Electric Warrior arriva Rip Off, inusitato ma gradevole esperimento ai limiti dell’hard rock, stemperato dal sassofono di Ian McDonald. Bolan sfoggia la sua voce più roca e grintosa, dando vita a una versione da rock duro molto credibile. Una chiusura che all’epoca non manca di destabilizzare i fan della prima ora di Bolan e soci.

Electric Warrior è un trionfo e sancisce lo status di prima grandezza della band nel rock britannico. Seguono buoni dischi e qualche polemica con la casa discografica, a testimonianza che l’estro di Marc Bolan non è sopito. Marc ambisce però a sfondare negli Stati Uniti, impresa che però non gli riuscirà.

Il fallimento è decretato dagli eccessi a cui Bolan – fino al successo sempre contrario ad alcol e droghe, a cui poi si abbandona – e dai compromessi richiesti dal mercato americano. Ma, soprattutto, a offuscare qualsiasi sogno, il 16 settembre del 1977, arriva la morte a nemmeno trent’anni, per un incidente stradale.

Marc Bolan, che non ha nemmeno la patente, è passeggero nella Mini Minor guidata da Gloria Jones, moglie e cantante della versione originale di Tainted Love. Anni prima, Napier-Bell, mettendolo ironicamente in guardia sui pericoli della vita da rockstar, lo aveva ammonito di non fare la stessa fine di James Dean. Marc Bolan aveva replicato che era troppo basso per una Porsche, e che avrebbe preferito morire in una Mini.

— Onda Musicale

Tags: Chuck Berry, Hipgnosis, Rick Wakeman
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