In primo pianoMusica

The Cure: le origini e l’inconsapevole nascita del Goth Rock

La fine degli anni ’70 fu un periodo estremamente ispirato, oltre a consolidare il Rock nelle sue varie sfaccettature spalancò le porte ad una nuova corrente musicale che pian piano si faceva avanti.

Furono questi gli inizi della New Wave, un genere che ebbe la capacità di canalizzare tante influenze , si staccava dai tradizionalismi del Punk, del Blues e del Rock’N Roll, abbracciava la cultura POP  lasciandosi ispirare dalla musica Disco e dalla musica elettronica, che poi invase  tutti gli anni ’80. I The Cure sono una realtà post punk Britannica nata nel 1976 in piena esplosione New Wave e si pone al centro di questa corrente come caposaldo. Nel corso degli anni ha avuto parecchi cambi di line up ma vide come nesso costante il suo fondatore Robert Smith, originario di Blackpool.

I primi passi risalgono ai tempi del liceo, con i “Malice“, insieme a lui Marc Ceccagno (Chitarre), Michael Dempsey (basso), Graham (batteria) e suo fratello alle voci. Ben presto Ceccagno e Graham lasciarono la band e per il primo live, che fu un set acustico suonato alla Worth Abbey  di Crawley il 18 dicembre del ’76, Smith riuscì a portare con se un amico d’infanzia Laurence Tolhurst e Porl Thompson. Subito dopo questo set riuscirono ad esibirsi  nella loro scuola ma l’evento fu un totale disastro che li  spinse  a cambiare moniker  che nel 1977 diventò “Easy Cure“, e fu in questi primi anni che Smith prese postazione davanti al microfono.

Il primo contratto arriva nel 1977

Il 18 Maggio del 1977 firmano il primo contratto con l’etichetta indipendente tedesca Hansa Records che nell’aprile di quello stesso anno bandì un concorso per nuovi talenti, il rapporto con l’etichetta fu di breve durata e si interruppe durante la realizzazione del primo demo. Durante le registrazioni Porl Thompson lasciò la band perché insodisfatto della linea minimalista che stava infuocando le composizioni, è da qui in poi che il progetto cambiò nuovamente il nome in THE CURE, quello che oggi tutto il mondo conosce. Un nome così identificativo ed evocativo che lascia percepire solo pronunciandolo un senso di estasi, lo stesso Smith dichiarò:

Avevo sempre pensato che Easy Cure suonasse un po’ Hippy, troppo statunitense….Ogni gruppo che ci piaceva aveva il “ THE “ davanti, ma The Easy Cure suonava troppo stupido, così lo abbiamo cambiato semplicemente in “ The Cure“.

La primissima pubblicazione risale al Dicembre del ’78 per la piccola etichetta SMALL WONDER con il singolo “Killing an Arab“ tratto da “Lo straniero“ di Albert Camus,  nonostante la purezza  il brano ebbe varie critiche e fu circondato spesso e volentieri da polemiche, anche nel tempo, che Robert Smith ha sempre cercato di sgonfiare dichiarando di essere lontano da connotazioni razziali o violente. L’album d’esordio viene realizzato nel ’79 per una sotto etichetta della Polydor creata quasi appositamente per loro, la Fiction Record, l’album “Three imaginary boys“ rispecchia tutta la grinta e l’arroganza degli esordi che sono legati al Punk e alle miriadi di influenze regalate da Bowie.

Già dagli inizi la musica aveva un carattere introspettivo  e questa caratteristica accompagnerà notevolmente anche i lavori successivi

A Giugno dello stesso anno viene pubblicato il singolo “Boys don’t cry“ che insieme a “Lullaby” e “Close to me“ sarà uno dei brani di maggior successo della band. Oltre ad attirare seguito per i brillanti lavori discografici, iniziarono ad intensificarsi gli shows. Inizialmente furono di supporto a  band del calibro di Generation X, The Police, Joy Division, ma il rapporto più intenso e duraturo si ebbe con  i Siouxsie and the Banshees in cui lo stesso Robert Smith suonò la chitarra durante parte del tour “JOIN HANDS“ e fu proprio questa esperienza ad influenzarlo nei lavori successivi, lo sviluppo di temi più cupi, sperimentare nuove linee ma soprattutto capire come le chitarre potessero adottare effetti più coinvolgenti furono un viaggio incredibile che servì a proiettare  Smith e  i Cure nel panorama del Gothic Rock ma soprattutto diventare un vero e proprio mito.

LA FASE GOTICA E L’EREDITA’ DEI JOY DIVISION

Con l’ingresso di Gallup e del tastierista Matthieu Hartley i toni diventano ancora più malinconici, e “Seventeen Seconds“,  pubblicato nel 1980, rispecchiava a pieno  questo velo cupo. L’intensità dell’album ma soprattutto il singolo “A Forest“  (accompagnato dal suo video) furono un grande successo. Dopo un intenso tour nell’ 81 venne pubblicato il terzo album “Faith”, concentrato sull’analisi della fede, i toni restano sempre cupi e tristi forse ancor di più, a proposito di questo album Smith dichiara:

“Di solito, andavo a scrivere canzoni in Chiesa. Riflettevo sulla morte

e guardavo le persone…alla fine, erano tutte là per cercare l’eternità….”

La prima canzone dell’album “The Holy Hour“ fu dedicata a Ian Curtis dei Joy Division, che si era da poco suicidato e con cui qualche mese prima condivisero il palco in Tour. Per Smith fu davvero toccante e devastante questo avvenimento considerando anche l’influenza che gli stessi Joy Division ebbero per lui e la band,  da quel momento in poi considerati eredi del testamento musicale dei Joy Division, l’album “Pornography“ pubblicato nel 1982 non fece altro che sottolineare tutto questo. Ebbero  l’onore e il compito di portare avanti una scena musicale, quella del Gothic Rock, che fu inarrestabile in Europa e soprattutto in UK nell’intero decennio degli anni ’80. Pornography fu un album intriso di rabbia e disperazione che portò Robert Smith sull’orlo di un esaurimento nervoso, il titolo prende spunto da un analisi fatta sul termine:

abbiamo avuto una discussione su cosa fosse la pornografia e sono stato sorpreso nell’apprendere che ognuno aveva un’idea diversa…Non è il soggetto che è pornografico ma l’interpretazione che ne dai…”

Proprio queste caratteristiche così intime portarono Smith in questo periodo a truccarsi, accentuando il suo look, un modo per enfatizzare la malinconia che trasudava nelle composizioni, ma anche  per separare il suo “io” privato da quello pubblico. Fu anche il tempo del massiccio uso di  droghe che portò inevitabilmente screzi che con la fine del tour promozionale dell’album culminò in un periodo di pausa un po’ per tutti, lo stesso Robert Smith dichiarò di essere  annoiato della “sua stessa creatura“.

Gli anni del POP

Tornati in studio si abbandonò  quel clima triste e malinconico anche grazie al produttore Chris Parry. L’impronta ricercata era pù leggera e allegra, si contano in questo periodo grandi singoli come “Let’s go to Bed“ e  “The Walk“ che riuscì a rientrare nella Top 20 britannica, questo fu anche il periodo della parentesi THE GLOVE, progetto parallelo di Robert Smith, con l’album “Blue Sunshine“. Il periodo poteva considerarsi brillante, servì a riaccendere la scintilla all’interno della band, seguiranno nuovi lavori come “The Lovecats“ ispirato dal film Gli Aristogatti, il long playing “Japanese Whispares” e l’album “The Top“ (1984) ritenuto da tutti il lavoro più eclettico. Il successo commerciale lo si ebbe con “The head on the door“ (1985), da quest’album vennero estratti due singoli incredibili “Close to me“ e “Inbetween Days“ ma la vera consacrazione a livello globale si ebbe nel 1987 con la pubblicazione dell’LP “Kiss me kiss me kiss me”, il successo fu a dir poco planetario, questo capolavoro portò i Cure direttamente nell’ Olimpo musicale, grande impatto sul pubblico già a partire dalla copertina che ritraeva le labbra di Smith in primo piano con rossetto rosso sgargiante.

Le Radici non mentono mai – DISINTEGRATION e il ritorno al dark

Con “Dinsintegration“ (1989) c’è il ritorno assoluto alle sonorità dark. Ottavo album in studio e di grande impatto, secondo Rolling Stone nella lista dei 500 migliori album di tutti i tempi. L’album fu registrato negli Hookend Recording Studio di Checkendon con la co-produzione di David Allen. Anche questa perla si basa sui sogni visionari di Robert Smith, sicuramente con l’aiuto di allucinogeni che ancora facevano parte della quotidianità artistica,ad ogni modo tutta la dimensione che c’era intorno  rese l’album un capolavoro. Ormai trentenne Smith voleva ricercare un mood più maturo e innovativo, e ci riuscì facendo combaciare alla perfezione sound dark rock , pop, e psichedelia britannica.

Le prime sessioni del disco imbrigliavano molto della depressione di Smith, nata proprio per la paura di invecchiare, rimuginava sul fatto che molti degli artisti più grandi avessero scritto capolavori prima di aver compiuto trent’anni, queste idee lo portarono  a scrivere in maniera solitaria, infatti gran parte dell’album fu presentato alla band a casa di Boris Williams nell’estate dell’88. Il materiale piacque tantissimo e fu così che iniziarono a lavorarci su. Tra i temi molto sentiti in questo album c’è anche il suicidio, più vote contemplato dallo stesso Smith , il fatto di voler scrivere qualcosa di “deprimente” rifletteva lo stato psicologico che viveva in quegli anni. Secondo le etichette dei Cure il disco sarebbe stato un flop colossale proprio a causa di questi toni così decadenti ma in realtà ebbe l’effetto opposto, l’impatto con il pubblico fu molto positivo. Il disco in verità presenta anche canzoni orecchiabili e popolari, lo shock fu più per le case discografiche che per gli altri, la stessa “Lovesong”, che lui ha dedicato alla moglie come regalo di nozze, in effetti viaggia su toni più ottimisti e pacati. L’intero lavoro è un bilanciamento tra pop orecchiabile e parti meno fruibili e atmosferiche.

Disintegration è composto da 12 brani, un percorso melodico e suadente, all’interno della tracklist furono scelti 3 dei singoli più emblematici dei Cure, il primo “Lullaby“ che è da considerare la canzone di maggior successo, rappresentazione in musica degli incubi di Smith, nonostante la sua caratteristica dolce, ricorda  quelle ninna nanne terrificanti, proprio quelle che il padre era solito cantargli quando non riusciva a dormire. Poi venne pubblicata la su citata “Lovesong” che raggiunse la seconda posizione della classifica Billboard ed infine “Pictures of you“ a distanza di un anno dall’uscita dell’album. Il critico musica Michael Azerrad diede all’album 3 stelle mezzo su 5 affermando:

Anche se Disintegration non definisce nessun canone per la band, perfeziona alla grande quello che i Cure sanno fare meglio. Nonostante il titolo Disintegration è coeso in maniera magnifica, creando e sostenendo un sentimento di malinconia introspettiva.”

Oltrepassando la potenza commerciale e l’indiscussa bellezza dei singoli, la tracklist di Disintegration è una completa armonia, 1 ora e 12 minuti di puro genio partendo dalla sinfonica PlainSong  passando per Closedown e Last Dance brano escluso dalla versione LP, degne di nota per il carattere marcatamente rock senza abbandonare quelle striature dark sono Fascination street e Prayers for Rain, il percorso musicale di questo capolavoro è come un leggero movimento tra reale e astratto basta soffermarsi su  The same deep water as you e la monumentale title track Disintegration. Chiudono questo cerchio la commovente Homesick  con i suoi fraseggi incrociati di piano e chitarra e Untitled che quasi ci lascia andare via con note che sembrano un dolce “arrivederci“.

L’ARRIVO DEGLI ANNI ’90 E L’UTIMA DECADE DEI CURE

Gli anni ’90 ci regalano altri lavori incredibili sicuramente “Wish“ del ’92. Ancora una volta il cambio di rotta ci porta ad esplorare nuovi temi e nuove sensazioni, stavolta più ottimistiche e rassicuranti, qualcosa che spiazza totalmente l’ascoltatore, anche da questo album sono stati estrapolati singoli determinanti tra cui la romantica “Trust“, brano eseguito con due tastiere sovrapposte. Moltissime partecipazioni sono legate agli anni ’90 tra cui la colonna sonora del film “Il Corvo“ con l’inedita “Burn“ fino ad arrivare al flop di “Wild Mood Swings” pubblicato nel 1996. I  disagi provocati dai continui cambi di line up e i nuovi orientamenti con ritmi e melodie latine crearono un forte malcontento nei confronti dei vecchi fan .

Questo disco non ebbe una grossa risonanza, si staccava completamente da tutto quello che era stato fino ad ora il mondo Cure, questo malessere si percepiva nell’aria, lo stesso Smith lo sentiva e raccontava nei live che seguirono la promozione dell’album. Di questa decade  degno di nota è sicuramente il concerto celebrativo del cinquantesimo compleanno dell’ ex Ziggy Stardust al Madison Square Garden di New York, fu proprio David Bowie a presentare Smith così:

Ecco un amico, un ragazzo dall’Inghilterra, da una delle band inglesi più eccentriche, sono stato un suo grande fan per anni,lui è Robert Smith dai The Cure.”

Dopo il fallimentare “Will Mood SwingsRobert Smith non volle arrendersi, cercò lo spirito giusto per alimentare la sua creatività che esplose nel 2000 con “Bloodflowers“, un album che aprì l’ultima decade della band, ricco di inclinazioni  soft-acustici. In seguito, nel  2004, verrà pubblicato l’omonimo “The Cure“ e nel 2008, chiude la prolifera discografia dei Cure, il tredicesimo album in studio “4:13 Dream“.

Il percorso artistico di questa band magnifica è incredibilmente variegato, sembra di stare su un’altalena  sospesa nel vuoto

I Cure vengono spesso raccontati come precursori del Dark e appartenenti al genere Goth Rock, per le tematiche e per l’immagine decadente che traspare nella musica e ancor di più nei loro video toccanti, ma Robert Smith ha sempre specificato di sentirsi lontano da questo genere, ritiene non categorizzabile il sound dei Cure, di fatto l’impatto che ebbe sulla cultura di  massa fu significativo vent’anni fa  e continua ad esserlo. Il loro modo di essere, il loro mondo fatto di rossetti rossi sbavati e trucco nero marcato  ha influenzato le generazioni musicali future e non solo.

(scritto da Sossio Aversana)

— Onda Musicale

Tags: David Bowie, The Cure, Robert Smith
Sponsorizzato
Leggi anche
“MICHELANGELO” è il primo progetto discografico full lenght di MICHELANGELO
Francesco Monte prepara il debutto live con vista Eurovision