In primo pianoMusica

Parallel Lines, il capolavoro dei Blondie tra punk e new wave

I Blondie ai tempi di Parallel Lines

Uno spettro si aggira per l’America di fine anni Settanta. No, non è lo spettro del comunismo, come nel celebre manifesto di Marx ed Engels, è lo spettro dei nuovi movimenti europei, dal punk alla new wave. Una band mescola questi e altri generi, entrando nella leggenda: sono i Blondie di Parallel Lines.

I Blondie nascono nel 1974 (quattro anni prima di Parallel Lines) dall’incontro tra Chris Stein e Deborah Ann Harry. Il primo è un chitarrista affascinato da Velvet Underground e New York Dolls, la seconda una ragazza bionda e irriverente che se la cava col microfono e che cerca fortuna già da una decina d’anni.

Deborah è nata il primo giorno di luglio del 1945, anche se allora il suo nome è Angela Trimble. La madre biologica l’abbandona e lei viene adottata dagli Harry, una coppia di commercianti con cui si trasferisce subito nel New Jersey. Debbie, come la chiamano tutti, vive un’infanzia regolare, con una sola grande peculiarità: si convince di essere la figlia segreta di Marylin Monroe.

La sua fissazione è innocua, ma particolare, dato che trent’anni dopo diventerà un’icona simile a quella di Marylin, solo nell’ambito del rock. Dopo la scuola e qualche fascia come reginetta di bellezza, una dote che non manca di certo a Debbie, inizia a frequentare gli ambienti underground di New York.

Oltre a lavorare come estetista, modella e cameriera, fa però un po’ la coniglietta di Playboy e tenta la carta della musica. Debbie, infatti, già alla fine degli anni Sessanta, è la voce di un gruppo folk dalle venature psichedeliche, i Wind in the Willows. La band non sfonda e lei prosegue i suoi tentativi nello showbiz; nei primi Settanta si accasa con gli Stilettos. Il suo stile e i suoi costumi provocanti e provocatori attirano subito l’attenzione e anticipano certe trovate del punk.

Risale a questo periodo un altro episodio controverso della vita di Debbie; molti anni dopo l’accaduto, la cantante rivela di essere sfuggita per il rotto della cuffia a Ted Bundy, uno dei più celebri e spietati serial killer della storia, che in quel periodo miete vittime tra le giovani ragazze americane. Debbie, all’epoca, non è ancora famosa e rientra proprio nel tipo di preda potenziale del criminale.

Tuttavia, successive ricostruzioni dimostrano che all’epoca Bundy non si trova a New York e che testimonianze del genere sono molto diffuse, generate forse da una sorta di paranoia collettiva.

A New York Debbie conosce Chris Stein, con cui intreccia una lunga relazione sentimentale, che andrà avanti fino al 1989. Non è solo l’amore a nascere dalla conoscenza tra Debbie e Chris, nascono anche – cosa per noi più interessante – i Blondie. La band prende il nome proprio in omaggio alla platinata capigliatura della futura star. Debbie Harry, quando esce il primo lavoro del complesso, ha già trent’anni; un’età, per dire, a cui Janis Joplin non si era nemmeno avvicinata.

Eppure, quando ormai l’obiettivo sembra fuori portata per raggiunti limiti anagrafici, Debbie Harry diventa un personaggio di culto, vera icona sexy e artistica della musica di fine anni Settanta e inizio Ottanta. Il merito è del fascino e della voce di Debbie, certo, ma non solo. Chris Stein è infatti un grande musicista, le cui idee manifestano subito, al di là della patina alternativa, un immenso potenziale commerciale.

La formazione iniziale vede anche Jimmy Destri alle tastiere, Clem Burke alla batteria e Gary Valentine al basso. Dopo il primo lavoro eponimo, esce Plastic Letters, disco che vede Frank Infante al posto di Valentine, dividersi tra basso e seconda chitarra. Col capolavoro Parallel Lines Infante passa stabilmente alla chitarra, lasciando il basso a Nigel Harrison.

La formula è ricca di tante spezie e strizza l’occhio sia al mercato alternativo che a quello più generalista. Il successo arriva subito, specie in Gran Bretagna. Nei Blondie, il rock’n’roll classico convive con l’art rock dei Velvet Underground, con la new wave raffinata dei Talking Heads e con le pulsioni punk dei Ramones. Non basta, le influenze spaziano dalla discomusic fino al reggae, allora generi imperanti in classifica.

Siamo al 1978, l’anno della definitiva esplosione della band. Ai Blondie, si è capito, non manca nulla per sfondare, tranne forse un atteggiamento più professionale che li spinga nella giusta direzione. Manca, in pratica, un produttore d’esperienza che indichi la via.
La figura, nonostante qualche dissapore iniziale, viene individuata in Mike Chapman, che in UK non fa che sfornare hit con nomi come Suzi Quatro e Sweet.

Parallel Lines esce a settembre del 1978 con una copertina che diventa presto iconica. Lo scatto di Edo Bertoglio ritrae i membri della band in completo nero alla Blues Brothers e volto sorridente, contrapposti a Debbie, che domina l’immagine, stando un mezzo passo avanti. Vestitino bianco, tacchi e braccia sui fianchi, Debbie sfoggia un cipiglio che la fa apparire un tantino presuntuosa. La band, compatta, rifiuta quell’immagine che, tuttavia, viene utilizzata comunque.

L’album si apre col suono di un telefono che preannuncia Hanging on the Telephone. La voce di Debbie, un momento delicata e quasi adolescenziale, quello dopo bassa e aggressiva, irrompe subito. Il brano riassume benissimo il suono dei Blondie, ma in realtà è una cover del gruppo californiano dei Nerves. La mistura di pop orecchiabile e rock aggressivo colpisce il bersaglio in appena due minuti.

Il brano successivo è annunciato da un riff di quelli che si piantano in testa per non uscire più. Il pezzo è One way or another e il riff è farina del sacco di Nigel Harrison, il nuovo bassista. La prestazione di Debbie Harry alla voce è sfrontata, sopra le righe e – a tratti – sguaiata. In una parola: leggendaria. Il brano parla di uno stalker che perseguita la bionda cantante, una storia vera che dà vita a una delle canzoni più famose della band, ancora oggi utilizzata spesso in pubblicità.

La successiva Picture This attira al complesso gli strali dei benpensanti Usa, sempre particolarmente attivi se c’è da condannare moralmente qualche comportamento sessuale. Meno se si parla di violenza o armi, di solito. La censura non perdona il rovesciamento della situazione, in cui è una donna a guardare un uomo come oggetto del desiderio. Risultato: le radio si rifiutano di trasmetterla.

Il pezzo permette di tirare un po’ il fiato, pur non essendo lento, e ricorda le tipiche girl band degli anni Sessanta, specie nello scatenato ritornello.

Fade Away and Radiate è un brano che mostra il lato più sperimentale della band. Il testo parla del fascino delle star cinematografiche scomparse e la voce della Harry è qui particolarmente ispirata. Il pezzo è impreziosito dall’assolo di chitarra di Robert Fripp dei King Crimson. Il musicista, in quegli anni, si esibisce più volte in concerto coi Blondie, a testimonianza di una passione per new wave e punk molto precedente ai suoi siparietti social con la moglie Toyah Wilcox.

La parte di chitarra di Fripp, per quanto breve, è eccezionale e trasporta la canzone verso lidi psichedelici e onirici; il tutto prima di una inusitata coda quasi reggae. Una curiosità: i versi dusty frames that still arrive/ die in 1955, riferiti a James Dean, sono considerati i più belli del rock’n’roll dal critico Rob Sheffield.

La successiva Pretty Baby è dedicata all’allora giovanissima star del cinema Brooke Shields, a testimonianza dell’amore di Debbie per i film. Il pezzo è pop e fresco, con la Harry che recita i versi centrali in modo molto sensuale e credibile.

La parte centrale del disco è dominata da tre potenziali hit, che però non escono come singoli. La robusta I know but i don’t know, a cui molta new wave successiva deve più di un’idea. Per fare un nome dei nostri giorni, sicuramente i Parquet Courts. Seguono 11:59, energica e gradevolmente melodica, dal suono che anticipa gli anni Ottanta, e Will Anything Happen, vorticosa cavalcata rock dal ritornello killer.

Si passa a un altro cavallo di battaglia, Sunday Girl, ballata dall’andamento spectoriano irresistibile. La leggenda narra che Stein la scriva per consolare Debbie, disperata per la scomparsa del gatto. Il brano vanta una melodia e una compattezza irripetibili.

Il tempo della dissolvenza e partono le note della leggendaria Heart of Glass.

Come sempre per i capolavori, la storia della canzone è particolare.
Il pezzo era stato scritto nel 1975, senza l’arrangiamento da discomusic; quando Chapman chiede ai ragazzi un pezzo per completare la scaletta, i Blondie ripescano il vecchio scarto. E allora che succede la magia, quella che permette a ogni tassello di trovare il posto giusto.

Basandosi su I Feel Love di Donna Summer e Giorgio Moroder, ma anche sul lavoro dei Kraftwerk, i ragazzi rivedono completamente la veste del brano. Chapman, da par suo, regala a Destri una Roland Rhythm Machine acquistata in Giappone. Harrison si inventa una parte di basso rotolante in pieno stile funky-disco e i chitarristi ci danno dentro nel rendere spaziale il suono.

La voce cantilenante e ipnotica di Debbie Harry, unita a un videoclip che ne mette in risalto l’incredibile presenza scenica, fa il resto. Heart of Glass è un successo mondiale, ma non da usa e getta: ancora oggi è una canzone tra le più celebri dell’intero canzoniere rock. L’unico che storce il naso è Clem Burke, il batterista; la sua anima da rockettaro senza compromessi proprio non ci sta a suonare un pezzo del genere, ma alla fine Clem se ne fa una ragione. Nessuno l’ha mai sentito pentirsi.

La conclusione è tutta in discesa.
I’m Gonna Love You Too e Just Go Away sono due bei brani, robusti e melodici, ma scontano l’impossibilità di farsi ricordare dopo il colpo del K.O. di Heart of Glass.

Parallel Lines è un grande successo da subito; l’album vende benissimo e si guadagna il plauso quasi unanime della critica, da chi lo ritiene il miglior disco degli ultimi cinque anni a chi tira in ballo addirittura ispirazioni divine. Come sempre accade, c’è il risvolto della medaglia: il successo difficilmente viene perdonato.

I vecchi sodali punk non digeriscono le vendite milionarie di Parallel Lines e i suoi troppi cambi di atmosfere; in breve, gli amici di un tempo accusano i Blondie di essersi venduti al sistema. Inutile dire che, a oltre quarant’anni dall’uscita di Parallel Lines, i fatti hanno dato ragione a Debbie Harry, Chris Stein e soci.

— Onda Musicale

Tags: Kraftwerk, Janis Joplin
Sponsorizzato
Leggi anche
“Giunone” è il nuovo singolo dell’artista lecchese MALAVEDO
Van Dyne, il nuovo singolo è “Vorrei”