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Da “Ti amo” a “Bella Ciao”: perché la canzone italiana è diventata il Centro di Gravità Permanente de La Casa di Carta

Tra mezzo secolo, quando chiederanno ad un settantenne il nome della serie televisiva più amata da ragazzo, non avrà esitazione e dirà “La Casa di Carta”. La ricorderà per sempre. Perché quanto vide in gioventù era la sua “prima volta”: mai era esistita una saga su una multinazionale di ladri così idealisti e romantici

Una serie televisiva amata da milioni di persone di 190 nazioni del mondo che hanno iniziato a seguirla dal 2 maggio 2017. È quella sera che venne mandata in onda la prima puntata in Spagna. Una saga che continua ad essere scaricata ogni giorno da nuovi utenti, incuriositi dal passaparola e del tutto inconsapevoli di quanto li aspetta: alla Casa di Carta non si può resistere, ti prende e ti porta via. Anche loro stanno per innamorarsi della banda vestita di rosso con l’enigmatica maschera di Salvador Dalí al posto di un antiestetico passamontagna. Una serie a basso budget divenuta l’icona-bis della stella nascente dei nostri anni Venti: Netflix.

Location inconsuete

Madrid non è una città da grandi ambientazioni cinematografiche, non certo quanto Parigi, Londra o New York. Eppure, anche Madrid è diventata virale grazie alla Casa de Papel. Considerate la Fábrica Nacional de Moneda y Timbre, la zecca nazionale spagnola: ogni giorno, tante persone vengono a visitare questo edificio che fino a qualche anno fa lasciava indifferente gli stessi madrileni. I fans vengono per scattare foto e farsi selfie, pur sapendo bene che questa non è neanche la vera zecca. L’edificio utilizzato nella serie è infatti quello del Consejo Superior de Investigaciones Científicas, il Consiglio superiore della ricerca scientifica, molto simile nelle strutture architettoniche alla Zecca di Stato ma molto più dotato di spazi esterni da adibire alle riprese.

Coincidenze indesiderate

Mentre scriviamo ci scorrono negli occhi le immagini delle varie stagioni. Memorabili le prime due, la terza ha consolidato la serialità planetaria, mentre la quarta è atterrata nelle nostre vite in un momento storico che difficilmente dimenticheremo presto: il Coronavirus. È la sera del 3 aprile 2020. Da circa tre settimane gli italiani vivono chiusi nel loro lockdown. In pochissimi possono uscire di casa. Lo fanno esclusivamente per lavorare o per fare la spesa. Ogni sera, la tv mostra la rituale conta dei morti e aggiorna il numero dei nuovi positivi. È il nostro bollettino di guerra quotidiano. L’Italia è la Nazione più colpita del mondo.

Come in un film di fantascienza, Bergamo è diventata l’epicentro di questa catastrofe mondiale. È in questo contesto che iniziamo a seguire le nuove peripezie della banda, che nel frattempo ha alzato il tiro, sferrando l’attacco direttamente alle riserve aurifere spagnole. I telegiornali diffondono h24 le immagini delle nostre città deserte. I cieli si colorano della primavera che avanza e di un sole che risplende beffardo. Dobbiamo restarcene chiusi in casa per provare a sfuggire a questo virus implacabile.

Siamo “chiusi dentro” proprio come Tokyo e Rio, Helsinki e Nairobi, Denver e Stoccolma

Anche noi ci sentiamo braccati come la banda. Loro debbono vedersela con Cesar Gandía, l’implacabile capo della sicurezza al comando delle guardie del corpo del Governatore della Banca di Spagna. L’immedesimazione scatta automatica, è un atto involontario provocato dalla situazione contingente. Siamo “chiusi dentro” e del tutto consapevoli che il mondo ci sta studiando come si fa con un malato grave. Perfino Bella Ciao, la canzone inserita nella colonna sonora fin dalla prima serie, ha assunto un significato meno “divisivo“: in Italia si comincia infatti a parlare di resilienza. È con questo termine che i politici e i media descrivono la “capacità di resistere insita nell’animo degli italiani”.

Da resilienza a resistenza il passo è breve

Scorrono le varie puntate ed ecco apparire Firenze, ritratta dal regista nella sua quotidiana bellezza. Vederla piena di turisti, ci fa toccare con mano il senso della perdita della libertà di muoverci negli spazi aperti. Nell’osservare la scena del matrimonio di Berlino in un chiostro benedettino, restiamo sorpresi nell’udire due canzoni italiane che hanno sempre fatto parte della nostra vita: Ti Amo e Centro di gravità permanente. È una sorpresa inattesa che ci regala una gioia che fa male più della malinconia.

Perché la produzione ha scelto di spostarsi in Italia? Perché queste due canzoni italiane?

In quel frangente la scelta delle canzoni ci sembra un omaggio al nostro Paese e forse – anche a noi stessi. Ma è la suggestione di un attimo. Infatti, la quarta stagione è stata girata nell’estate del 2019 e dunque in tempi non sospetti. Più verosimilmente, Álex Pina – l’ideatore della saga, all’uscita delle canzoni era un adolescente come tanti. Avrà imparato a conoscerle cantate nella sua lingua. Negli anni Settanta ed Ottanta, per il mercato iberico la CGD e la EMI avevano operato alcune modifiche ai titoli: Ti amo era rimasta Ti amo, mentre Centro di gravità permanente era diventata Centro de gravedad, il grande successo che venne anche incluso nell’antologica Ecos de danzas sufi, la raccolta che fece esplodere la popolarità di Franco Battiato nei paesi di lingua spagnola.

Come hanno fatto queste canzoni a colpire nel profondo l’immaginario collettivo di altre culture? Quanto a noi, siamo sicuri di conoscerle a fondo?

Cominciamo da Ti amo. Chiudete gli occhi e ripensate all’estate del ’77. Le radio la passavano centinaia di volte al giorno.

il video originale dell’estate 1977

La cantavamo a memoria senza preoccuparci delle parole, distratti da quella musica che profumava d’estate. Potremmo definirla una canzone dal testo inesplorato. Nella serie, Berlino ne fa una dedica d’amore alla futura sposa. Ad un ascolto attento, quella che sembra una canzonetta leggera da dedicare alla persona amata, tanto leggera non è.

Ti amo presenta una struttura armonica decisamente scolastica: consiste in una serie di quattro accordi, do maggiore, la minore, re minore, sol maggiore, ripetuta per tutto il tempo. Proprio la circolarità semplice di questo giro di Do, rende Ti Amo un pezzo ipnotico. La musica e i tanti “ti amo” ci distraggono, impedendoci di afferrare il messaggio della canzone. Per poter comprendere il significato occorre eliminare i vari ti amo presenti nel testo. La canzone racconta la storia di un uomo che dice ti amo a due donne diverse. È il 1º maggio, la Festa del Lavoro: un lavoratore, che probabilmente presta servizio lontano da casa deve farvi rientro. Prima di partire saluta l’amante, dichiarandole una passione vera ma destinata a spegnersi presto. Tornato a casa si accorgerà di quanto la moglie gli sia mancata e pentito, le chiede di lasciarlo entrare.

Berlino (Pedro Alonso) canta Ti Amo durante il suo matrimonio
Questo è il testo di Ti amo, privato dei ti amo “superflui”

All’amante – Un soldo in aria, se viene testa vuol dire che basta, lasciamoci. In fondo, io sono un uomo che non ha freddo nel cuore. Nel letto comando io ma tremo davanti al tuo seno. Ti odio. È una farfalla che muore sbattendo le ali. L’amore che a letto si fa, prendimi l’altra metà, oggi ritorno da lei.

Alla mogliePrimo Maggio: io chiedo perdono, ricordi chi sono? Su coraggio, apri la porta a un guerriero di carta igienica. Dammi il tuo vino leggero che hai fatto quando non c’ero. E le lenzuola di lino. Dammi il sonno di un bambino. Che fa? Sogna cavalli e si gira. E un po’ di lavoro. Fammi abbracciare una donna che stira cantando. E poi, fatti un po’ prendere in giro prima di fare l’amore. Vesti la rabbia di pace e sottane. Sulla Luce, io chiedo perdono.

Qualcuno ha voluto leggervi una confessione reale. Quella del cantante verso la sua donna

Noi non lo sappiamo, come non sappiamo se la prossima volta che ascolterete Ti amo vi piacerà di più o di meno. Per noi, rimarrà una delle hit più rappresentative della canzone italiana del secondo Novecento.

Quanto a Centro di Gravità Permanente, o Centro de Gravedad, stiamo parlando di una delle canzoni italiane più innovative e “colte” degli ultimi cinquant’anni
Centro De Gravedad · Franco Battiato

Esce nel 1981 ma esplode nel 1982, nel momento in cui la nostra Nazionale di calcio sta provando a farsi largo nel Mundial di Spagna ’82.  Centro di gravità permanente nasce dal senso di smarrimento provato da Battiato in molte fasi della sua giovinezza. Il centro di gravità evocato nel titolo è il luogo dell’intimità (il sé reale), nel quale il cantautore siciliano spera di trovare stabilità rimanendo un osservatore neutrale rispetto a quanto intende descrivere. Questa esperienza ascetica gli permetterà di incontrare personaggi sapienti: la vecchia bretone con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù, i capitani coraggiosi, i furbi contrabbandieri macedoni. E soprattutto, i gesuiti euclidei, vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming. Quest’ultima frase è una delle citazioni più raffinate regalateci da Battiato nella sua lunga carriera artistica.

Mentre in Italia ci appassionavamo ai ruggiti degli azzurri contro l’Argentina di Maradona e il Brasile di Zico, Franco Battiato introduceva al mainstream canzonettaro personaggi del calibro di Matteo Ricci. Il riferimento era infatti diretto al gesuita italiano euclideo (seguace cioè degli insegnamenti razionali del matematico Euclide) Matteo Ricci, vissuto nel XVI secolo e missionario in Oriente. Ricci era solito camuffarsi da monaco buddista per ingraziarsi la corte dell’Impero Orientale, al fine di evangelizzare la Cina dal suo interno evitando di dare nell’occhio. La strofa di Battiato era a doppia valenza: una critica – neanche troppo sfumata – era diretta all’ordine della Compagnia di Gesù (e dunque alla Chiesa Cattolica) che nei secoli ha provato a prevalere sulle altre dottrine.

Nella quarta stagione de La Casa di Carta non si contano le coincidenze, sembra un continuo déjà-vu’

Spagna, Italia, di nuovo Spagna. La mimica e lo sguardo di Berlino sono un misto di ambiguità e di malinconia mentre canta le due canzoni durante la festa per il suo matrimonio. Nello splendore di un chiostro fiorentino, insieme a dei monaci che provano ad eseguire gli stessi cori che caratterizzavano molte canzoni di Franco Battiato.

Arriviamo a Bella Ciao: una canzone che, quando eseguita nel nostro paese, non manca mai di accendere polemiche

Riteniamo sia utile approfondire la conoscenza del brano e fare luce su fatti e dati reali. Bella ciao era cantata dalla Brigata Maiella, che operava in Abruzzo. Al Nord Italia la canzone è arrivata solo negli ultimi mesi prima della Liberazione. La Brigata Maiella era una formazione partigiana abruzzese, la formazione era dichiaratamente repubblicana e non dipendeva direttamente da nessuno dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale.

Bella Ciao non è dunque una canzone dei partigiani comunisti ma è una canzone della Resistenza, di tutta la Resistenza. È la stessa ANPI (l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) a dichiararlo: Bella ciao è divenuta l’inno della Resistenza soltanto intorno al 1964, cioè quasi vent’anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale.

Bella ciao porta dentro di sé una forza dirompente, che ha sedotto e convinto anche Álex Pina. Nonostante sia una canzone legata alle nostre questioni interne, per la carica emotiva che è in grado di generare, viene adottata in molte parti del mondo come canto di speranza, di resistenza e di lotta per le libertà.

La Casa di Carta ha modificato il nostro modo di considerare una serie televisiva

È un cult, un marchio di fabbrica che ha travalicato i confini televisivi per aggredire altri settori commerciali: magliette, maschere di carnevale, felpe, cappelli, occhiali da sole, quaderni, diari, zainetti, perfino yogurt e uova di cioccolata, sono alcuni dei campi di applicazione di un merchandising che sembra aver scoperto un nuovo filone aurifero.       

Cosa dobbiamo attenderci dalle future serie, non solo da quelle targate Netflix?

Il successo globale verrà studiato dai produttori di tutto il mondo, che cercheranno di realizzare opere folgoranti come La Casa de Papel. Lo conferma uno studio dell’autorevolissima Parrot Analytics: i tradizionali film prodotti dal Grande Cinema dovranno fare i conti con i nuovi fruitori, perché le regole del gioco nell’entertainment sono profondamente cambiate negli ultimi cinque anni.

Netflix, presente in più di centonovanta Paesi e dotato di un algoritmo di una potenza spaventosa, sarà l’indiscusso leader di questo nuovo scenario. Oggi già consente agli abbonati di passare da una serie egiziana di genere horror come Paranormal, ad un dramma medievale “made in Korea” come Kingdom, semplicemente usando il telecomando.

E visto che abbiamo accennato ad una produzione made in Korea, sappiate che tra qualche giorno partirà il remake de La Casa di Carta in versione coreana.

La Casa di Carta – Corea

Non vogliamo sbottonarci ma ci sentiamo di fare una considerazione: vi ricordate Parasite, Il film coreano vincitore di quattro Oscar nel 2020? Ricorderete certamente che In ginocchio da te era stato inserito nella colonna sonora. Chi avrebbe mai immaginato che in un film così distante dalla cultura italiana, avremmo incontrato una delle canzoni più popolari di Gianni Morandi? Solo in pochi sapevano che il “Gianni nazionale” aveva affascinato Bong Joon Ho, il regista del film, fin dall’adolescenza. Non lo sapeva nemmeno il diretto interessato, cioè Morandi stesso.

Le canzoni italiane possiedono sonorità molto più incisive di quelle inglesi. All’estero, vengono percepite come “il Bel canto” e si sposano bene con qualsiasi tipo di cinema, conferendo all’opera una dimensione psicologica più forte

Non ci rimane che attendere qualche giorno: il 24 giugno, la data fissata per la partenza de La Casa di Carta – Corea, per scoprire se anche dalle parti di Seul hanno deciso di puntare sulla canzone italiana. E magari scoprire, perché no? – che il remake coreano sarà più appassionante della versione originale.  

— Onda Musicale

Tags: Franco Battiato, Gianni Morandi, Umberto Tozzi
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