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I manager del mondo del rock: gioie e (a volte) dolori

Il rapporto tra i musicisti e i loro manager è fondamentale per arrivare lontano, sulla vetta del rock.

I Beatles sarebbero stati ugualmente famosi, senza Brian Epstein? E se Paul McGuinness non avesse lavorato con gli U2, Bono & Co. avrebbero avuto il successo che hanno raggiunto? Questa è la storia di quattro manager che, nel bene e nel male, hanno saputo far guadagnare ai loro clienti una vera vita da star e un sacco di milioni. Sempre che non glieli rubassero prima…

Don Arden

Il primo è Don Arden, manager di alcuni dei più importanti top player tra i ’50 e i ’70. La lista prevede: Jerry Lee Lewis, Little Richard, Small Faces, Black Sabbath e Electric Light Orchestra. Niente male, insomma.

È conosciuto per i modi piuttosto aggressivi e al limite del legale (superandolo, talvolta) con cui chiudeva i propri affari, guadagnandosi il soprannome di “Al Capone del pop”.

Inizia la sua carriera “con il botto“, ingaggiando Gene Vincent, mostro sacro del rock’n’roll. Il botto con cui inizia, però, non è solo per il nome importante, ma per una disavventura che vede protagonisti l’alcolismo di Vincent e un coltello tirato contro Arden. Ovviamente la loro relazione finisce qui.

Ma non il lavoro di Don Arden, che prosegue, nel 1965, con gli Small Faces e con un’altra controversia. Nel 1966, Arden e una squadra di uomini poco raccomandabili si presentano presso l’ufficio dell’impresario Robert Stigwood per “dargli una lezione“, dopo che questi aveva osato discutere di un cambiamento di gestione con gli Small Faces. Arden avrebbe minacciato di buttare Stigwood fuori dalla finestra se avesse interferito di nuovo con i suoi affari.

Colonnello Tom Parker

Forse è il più famoso di tutti. Ovviamente lo si associa ad Elvis Presley, ma la sua fama è più che altro dovuta ai modi poco umani e molto venali con cui lavorava per il suo assistito.

È l’inizio del 1955 e per la prima volta Andreas Cornelis (aka Tom Parker) sente parlare di Elvis, quindi pensa bene di comprarne il contratto di management, sicuro di poterci guadagnare un sacco di soldi. La storia ci insegna di quanto sia stato bravo a farlo, ma alcune delle sue scelte sono state realizzate con il pensiero al solo denaro, come, per esempio, il cambio epocale di Elvis da star del rock’n’roll a beniamino puritano per i bianchi tradizionalisti. Senza minimamente porsi la questione di quanto Elvis sia stato fondamentale per un’intera generazione di giovani che stavano, grazie a lui, scoprendo di avere un’identità.

Non accontentandosi, fa fare a “The King” un provino con la Universal. A provino superato, Elvis firma un contratto per sette film. Le colonne sonore sono vicine alla pacchianaggine più totale, sebbene Elvis fosse ancora “il Re” indiscusso. Anzi, forse grazie a questi film la sua fama è addirittura cresciuta fino all’immortalità, come se ne avesse avuto bisogno.

Dopo il servizio militare, il cambiamento di Elvis da rocker a crooner è lapalissiano, e c’è sempre lo zampino del colonnello che vede il guadagno facile quando sente i tradizionalisti bianchi lamentarsi del rock’n’roll. Tanto per capirci, Sinatra (che detestava il rock fin dal profondo del suo caldissimo cuore), fa un duetto con Elvis all’Ed Sullivan Show.

Peter Grant

Su Peter Grant scorrono aneddoti a fiumi. Anche perché quando sei il manager dei Led Zeppelin, qualcosa deve accaderti per forza. Dalla stazza di un armadio, Peter Grant ha saputo fare dell’arroganza la sua arma più forte. È stato descritto come uno dei più scaltri e spietati manager della storia del rock.

Era un uomo abile e persuasivo, e riuscì a far firmare ai Led Zeppelin un contratto di ben cinque anni con la Atlantic. Senza che la casa di produzione avesse mai sentito una sola nota della band. Con lui Jimmy Page e gli altri sono riusciti a diventare la più grande rock band di tutti i tempi (o una delle…): tutto quello che toccava diventava oro.

Ma non è tutto rose e fiori. Una delle storie che gli stanno intorno parla di uno squalo e di una ragazza. Secondo Mark Blake, biografo di Peter Grant, la storia andò così.

La vicenda è ambientata presso l’Edgewater Hotel di Seattle. Sembra che alcuni componenti degli Zeppelin e Grant fossero alle prese con un piccolo squalo tenuto dentro una vasca da bagno dell’albergo. E già le cose sono strane così. Succede poi che una delle decine di groupie che seguiva la band (Jackie è il suo nome) fosse entrata nella stanza con i ragazzi. All’epoca era decisamente normale cosdì come erano normalissime molte delle cose che ora ci farebbero accapponare la pelle. Come usare lo squalo (ovviamente morto, tra l’altro) come sex toy con la ragazza. Alcool e droghe scorrevano a fiumi ma sembra che la ragazza fosse anche consenziente. E sembra che a farlo sia stato proprio Grant.

Non è chiaro se le cose fossero andate davvero così perché le testimonianze sono molte e tutte diverse. Però è indubbio che la situazione sia quella tipica di una band come i Led Zeppelin.

Tony Defries

Il suo comportamento nei confronti del suo assistito David Bowie, è stato a dir poco deplorevole. Tony sostituisce, nel 1970, Ken Pitt alla gestione di Bowie, modificando radicalmente il modo di lavorare. La sua società investe un sacco di soldi nei primi due anni, facendo fare grandi profitti all’azienda di Defries. Ciò che lo rendeva così fiducioso era la sua incrollabile sicurezza nel fatto che David sarebbe stato una celebrità. E non aveva certo sbagliato.

Per ritardi nella pubblicazione di “The Man Who Sold the World”, Tony rescinde il contratto con la Mercury Records e lo firma con la RCA, ottenendo i diritti (per lui e il cantante) sulle pubblicazioni e sulle incisioni. Mai vista prima una cosa del genere.

Tony, che aveva lavorato con Allen Klein (discutissimo ultimo manager dei Beatles) ed era un fan sfegatato del Colonnello Parker, però l’aveva pensata bene. Soprattutto per pagare i suoi mille vizi.

I suoi introiti erano di molto superiori a quelli di Bowie, il quale fu particolarmente superficiale al momento della firma sul contratto. Pare che l’azienda messa su da Tony non fosse al 50% di Bowie, così come egli credeva, ma al 100% di Defries; il contratto prevedeva il 50% degli introiti a Tony e il 50%, al lordo di TUTTE le tasse, a David.

Chiaramente, appena scoperto, nel 1974, Bowie lo licenzia subito. Le trattative per la risoluzione del contratto furono lunghe e difficili e Bowie fu costretto a riconoscere a Defries il 50% dei diritti degli album realizzati da Hunky Dory. Solo nel 1997 Defries perse ogni diritto sul catalogo di Bowie, cioè quando David gli comprò le quote che gli mancavano.

Insomma, il commercialista che nessuno di noi vorrebbe mai avere.

— Onda Musicale

Tags: Elvis Presley, Led Zeppelin, David Bowie, Allen Klein
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