I Traveling Wilburys sono stati una superband formata da alcuni dei musicisti che hanno fatto grande la storia della musica rock tra i ’50 e i ’70. Vediamo insieme come si è evoluta la loro parabola.
La risalita di Harrison
Quando George Harrison, stanco dell’establishment musicale degli anni ’80, ha voluto riprendere a fare dischi, era già il 1987. “Somewhere in England” (che racchiude il brano omaggio alla scomparsa dell’amico John Lennon, “All Those Years Ago”) e “Gone Troppo” non hanno avuto il successo che si sperava. Agli inizi del nuovo decennio, George aveva deciso di dedicarsi ad altro: cinema, macchine. Le sue più grandi passioni.
Ma dal cappello a cilindro di Jeff Lynne esce fuori un disco che permette al Beatle malinconico di essere nuovamente sulla cresta dell’onda.
Jeff Lyne, che ha prodotto “Cloud Nine” di Harrison, uscito nel 1987, aveva sciolto la Electric Light Orchestra un anno prima, e si era dedicato alla produzione discografica, cosa che lo porterà ad avere non poche soddisfazioni. E così, lavorando su uno dei singoli del nuovo disco di Harrison, “This is Love”, i grandi capi dietro alla scrivania della major chiedono al duo in sala di registrazione di pensare ad una bonus track per il mercato europeo.
George, che è in vena artistica, scalda le mani e le corde vocali, accorda lo strumento e scrive una canzone tanto semplice quanto d’impatto, “Handle with Care”. Ma non si chiamava ancora così. In effetti non aveva alcun nome. Ma aveva una buona melodia e un bel ritmo. “Scherzi?!?”, dicono i colletti bianchi della Warner, “questa non può mica essere relegata a bonus track!”.
E così Jeff e George pensano ad un modo per portare il brano dentro ad un disco.
Quando hai buoni amici
Alan Clayson, in “The Bealtes Box” (2004), descrive così la vicenda:
Jeff aveva interrotto la lavorazione di “Mystery Girl” (di Roy Orbison, n.d.r.) per sovrintendere a un ultimo e insignificante dettaglio del suo impegno precedente con Harrison […]. I due discussero del progetto a pranzo, a L.A., al cospetto di Roy Orbison. George era al settimo cielo quando Roy si offrì di duettare con lui sul brano. Non valeva la pena di prenotare uno studio costoso, perciò George chiamò Bob Dylan a Santa Monica”
In meno di dieci/quindici minuti Jeff Lynne, George Harrison, Roy Orbison e Bob Dylan si mettono d’accordo per vedersi per registrare un brano di cui esiste solo un giro di accordi e una melodia.
Nel garage di Dylan si trova anche un altro amico, Tom Petty, già reduce da alcuni tour con il menestrello del rock. Tom, Jeff e George si conoscevano già per aver lavorato insieme alla produzione dell’ultimo disco di Del Shannon.
Il gruppetto di amici, a casa di Bob Dylan, si ritrova così a bere qualcosa sul suo divano e George, che aveva una certa confidenza col padrone di casa, la butta lì: “perché non scrivi tu il testo?”.
Cinque fratelli che sotterrano
Il nome “Wilbury”, per chi non lo sapesse, nasce da un modo di dire che Harrison usava spesso durante le registrazioni di “Cloud Nine”, soprattutto quando veniva registrato qualcosa che non gli piaceva. “We’ll bury ‘em in the mix”, ovvero “lo cancelleremo in fase di mixaggio”, si accorcia in “Willbury”. E “Willbury” è evidentemente una parola bellissima. Soprattutto come cognome.
D’altrone “Traveling Wilburys vol.1” nasce più per gioco che per altro. Diciamoci la verità: Bob Dylan, Tom Petty, Jeff Lyne, George Harrison e Roy Orbison (che, per chi non lo conoscesse, è l’autore di “Pretty Woman”, tra le altre) non avevano certo il bisogno di fare cassa. Magari per qualcuno di loro (leggi Harrison e Orbison) era il momento di tirare nuovamente su la carriera, ma niente di più.
Quindi i cinque moschettieri decidono di diventare fratelli. I fratelli Wilburys, appunto. Il vero nome di ognuno non comparirà fino a quando non uscirà il primo videoclip (la “Handle with Care” di cui si è già parlato) dove li si vedrà chiaramente in volto.
Quindi non una operazione di marketing, ma un gioco.
Altri tempi
Non c’era niente di niente che facesse pensare che un disco come “Volume 1” potesse entrare nelle classifiche. Era come il prototipo di aereo dei fratelli Wright (di nuovo dei fratelli) alle prese con le acrobazie delle Frecce Tricolori. Eppure il primo disco dei Traveling Wilburys fu un successo vero.
Forse è perché i tempi per registrare erano veramente risicati (Dylan sarebbe partito da lì a poco per il Never Ending Tour del 1988), o forse perché fu quello il modo per i cinque fratelli Wilbury di esorcizzare le loro paure sul crescente e continuo cambiamento che il mondo dell’arte musicale pop stava subendo da qualche anno a questa parte. Quel disco fu un gigantesco dito medio alzato contro tutto.
Dopo aver terminato di lavorare al primo disco ognuno tornò ai suoi progetti, ma la fratellanza sarebbe rimasta. George suonò la chitarra ad un concerto di Roy, e aiutò nella realizzazione dei dischi da solisti di Jeff e Tom. Bob scrisse una canzone per il nuovo disco di Roy, ma Orbison morì di attacco cardiaco prima di completare l’album, nel dicembre del 1988.
Nell’aprile del 1990 i quattro fratelli superstiti decisero di ritrovarsi a Bel Air per registrare quello che sarebbe dovuto essere “Volume 2”, ma che invece viene spiritosamente intitolato “Volume 3”. Ma senza Roy non è lo stesso e, ovviamente, la parabola dei Traveling Wilburys finisce qui.