I Placebo hanno appena rilasciato una cover di Shout (Tears For Fears). Non è la prima canzone pescata dall’era della musica New Wave.
L’album Covers (2003) contiene dieci brani tra cui buona parte proveniente dagli anni Ottanta: Bigmouth Strikes Again (The Smiths), Running Up That Hill (Kate Bush), Jackie (Sinead O’Connor), Where Is My Mind (The Pixies).
Shout (Tears For Fears, 1984)
Shout è contenuta nell’album Songs from the Big Chair. Nell’estate 1985 si è posizionata in prima posizione nella Billboard Hot 100, diventando un classico insieme a Everybody Wants to Rule the World.
Viene da chiedersi come mai tutto questo rumore attorno a una canzone così semplice, per niente complicata o cervellotica. La sua composizione prevede synth, una drum machine, un breve assolo di chitarra e versi ripetuti un numero di volte esagerato perfino per quel periodo. Eppure, questa struttura ripetitiva e il suo significato la rendono interessante e attuale ancora oggi. Shout («grido») è una canzone di protesta, che vuole spingere a riflettere sulla situazione politico-sociale dell’epoca: la Guerra Fredda.
Parla della necessità di pensare prima di agire:
Riguarda la protesta in quanto incoraggia le persone a non fare cose senza metterle in discussione. La gente agisce senza pensare perché è così che vanno le cose nella società, quindi è una canzone generale, sul modo in cui il pubblico accetta qualsiasi vecchio dolore che gli viene gettato.”
La cover dei Placebo
Non dovrebbe stupirci che Molko e Olsdal abbiano preferito un sound molto più cupo dell’originale, come per la loro famosissima versione di Running Up That Hill (Kate Bush). La cover procede in modo piuttosto omogeneo fino a metà canzone, quando più voci si accavallano e si mescolano perfettamente al synth, alla batteria e alla chitarra elettrica, dando vita a una climax di suoni e pathos. Avvicinandoci al finale le dinamiche cambiano, il forte si trasforma in piano e ci prepariamo a sentire gli ultimi versi.
Shout, shout, let it all out
These are the things I can do without
Come on, I’m talking to you, come on”
Quest’ultimo grido è pronunciato a cappella, quasi fosse un urlo in un comizio: «Ascoltatemi, sì, sto parlando con voi, chiunque sia su questa frequenza. Non vedete che le cose stanno precipitando? Avanti!».
La dichiarazione di Brian Molko

A metà degli anni ’80, quando ero adolescente, Shout dei Tears for Fears fu una parte del mio risveglio politico. Oggi mi rendo conto che potrebbe riguardare qualunque cosa irriti o frustri le persone. Per me è un incoraggiamento all’autoespressione, a esprimere la propria verità. Mentre guardavo la generazione di mio figlio diventare più politicizzata, e il mondo continuare a sgretolarsi intorno a noi, volevo offrire a lui e ai suoi coetanei un inno di protesta, dal momento che sembra proprio che siano loro ad avere ancora la capacità di salvarci da noi stessi. L’essenza di Shout è la sua semplicità, è davvero naturale farsi coinvolgere. Questo grido di protesta contro l’apatia fornirà, si spera, un contesto per coloro che vogliono esprimere la loro rabbia. O semplicemente offrire qualche tipo di catarsi. Sicuramente per me fa entrambe le cose.”

Le somiglianze di temi con l’ultimo album dei Placebo Never Let Me Go
La loro Shout è del tutto in linea con Never Let Me Go, uscito il 25 marzo, album che ha in copertina una spiaggia con ciottoli colorati, ispirata alla spiaggia californiana usata come discarica e poi ripulita negli anni Sessanta: il vetro, levigato dalle onde dell’oceano, ha creato il caleidoscopio di colori che Molko ha voluto sulla copertina dell’album. Così nasce Never Let Me Go, unendo un sound sperimentale a temi come il disastro ambientale, la disillusione nei confronti dell’umanità e l’insofferenza verso il capitalismo. I Placebo sentono il bisogno di esprimere la loro rabbia e lo fanno egregiamente, senza dimenticare però di diffondere un pizzico di speranza.