Che triste fine, quella di The Lion and the Cobra. Il primo album di un’artista che di impronte ne aveva ancora – e tante – da lasciare, a una sola era di distanza dalla sua traccia più rappresentativa. Nonostante il potenziale all’inizio, oggi se ne parla poco: ma c’è qualcosa da riscoprire?
Si può capire molto di un artista – uno autentico, s’intende – dal suo debutto
Da quello di Sinead o’Connor, pubblicato nel 1987, si riceve un quadro di personalità destinato a rimanere, seppur con l’evoluzione determinata dalla crescita e da un’esperienza di vita molto traumatica, sempre coerente con sé stesso. The Lion and the Cobra presenta il primo bozzetto di una donna giovane, tormentata e con la testa in tumulto, ma senza che quelle caratteristiche la privino del suo mordente.
Testa rapata, abbigliamento semplice, occhiaie enfatizzate e una bocca spalancata in un urlo sempiterno
Un grido di liberazione che però non prende mai forma in una musica aggressiva. Troppo semplice, così: O’Connor tocca e tenta il rock, ma si mantiene distaccata dalle influenze più hard e abrasive. Il timbro di The Lion and the Cobra punta maggiormente sul drammatico, con influenze che vanno dall’elettronica alla musica world. La visione di Sinead è questa: così deve essere.
La testa rasata, prima impressione visuale della nostra eroina, è da sempre simbolo di ribellione in ambito musicale. Già se ne servì nel 1969 Isaac Hayes, il cui capo rapato sulla copertina di Hot Buttered Soul era una riconquista della sua identità e della sua bellezza come uomo nero. E come per Hayes, anche quella di Sinead O’Connor viene censurata e ingentilita per il pubblico americano. Con un pubblico come questo nessuna sorpresa che la faccia da padrone la tematica dell’indipendenza, che O’Connor analizza nello specifico angolo dello showbiz musicale. Alla fine dell’album, addirittura, si presenta col nome maschile di Joe – casualmente lo stesso usato da Lady Gaga per il suo alter ego maschile, Joe Calderone.
Nemmeno all’epoca si sa bene cosa fare di “The Lion and the Cobra” e di Sinead O’Connor
C’è chi tenta di etichettarla, paragonandola a una Kate Bush più punk, ma non funziona. Se Bush aveva raccontato i suoi amori e timori da giovane donna con un forte piglio teatrale, O’Connor si mette a nudo in tutti i sensi. Kate Bush arreda il ballo ormonale con un costume da eroina romantica: Sinead O’Connor canta “mettimi le mani addosso” sopra una martellante base new age. Lo vuole, lo chiede, lo manifesta: “io ti desidero/dammelo”. Un desiderio concreto, tridimensionale e universale.
Orgogliosamente irlandese
Come Enya, con la quale collabora in Never Get Old, Sinead O’Connor veste la sua discendenza irlandese come una medaglia d’onore. E come l’artista che la ospita, anche la regina del folclore celtico mette in mostra due anime: cita una trascrizione del Vangelo, testo cristiano, ma rigorosamente in gaelico. Se c’è un dio nel suo mondo è e deve essere lei: e riesce effettivamente a caricare il suo debutto (synthpop giovanile) di un piglio appropriatamente marziale. Con immagini che rimandano alla guerra di Troia (Troy), alle scritture epiche (Jerusalem), ma anche a ideali marziali più moderni (Drink Before the War), qui decostruiti e riportati all’osso.
“Quindi smettetela di parlare di guerra/perché sapete che abbiamo già sentito tutto quanto/perché non andate là fuori/e non fate qualcosa di utile?”
Il cobra e il leone
Si potrebbe dire che gli animali del titolo, il cobra e il leone, rappresentano i due lati del carattere di Sinead o’Connor che vengono messi in mostra con The Lion and the Cobra. Il leone è quello più apertamente critico, quello che traspare alla sola immagine della copertina: la voglia di urlare ed essere lasciata in pace. Il cobra emerge più lentamente, pian piano che il carattere di Sinead si dispiega nell’album: le permette di essere fragile, ma mai di prosternarsi ai piedi del mondo chiedendo pietà. Può scegliere persino il suo nome, e non sarà l’ultima volta che lo farà: che potrebbe mai dirle nulla?