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Julian Lennon: il nuovo disco “Jude” è un ritorno al passato

È uscito da circa un mese, in sordina, l’ultimo disco di Julian Lennon, figlio di John e Cynthia Powell. Si intitola Jude ed è vecchio.

Eredità ingombrante

Julian Lennon non è il classico figlio d’arte. Cioè, ovviamente sì, ma almeno se ne sta per i fatti suoi. Ogni tanto tira fuori un disco nuovo (e se ti chiami Lennon, forse un po’ è giusto così) ma mai nulla di eclatante. Anzi, la sua è più una carriera da fotografo dal cognome famoso. Tra l’altro neanche tanto male.

Il primogenito di John Lennon, nato nel 1963, fu particolarmente amato da suo padre, tanto da dedicargli alcune canzoni divenute leggendarie, Lucy in the Sky su tutte, anche se in quel periodo (nel 1963) i Beatles erano costantemente impegnati.

Il giorno dopo la sua nascita, per esempio, avevano un paio di apparizioni televisive per lanciare il nuovo 45 giri From Me to You. Il giorno dopo. Neanche il tempo di guardarlo in faccia, poraccio… Però, appunto, sarà oggetto di gioie infinite. Almeno fino a quando non arriva Yoko Ono.

A quel punto la sua vita cambia drasticamente e, all’età di 5 anni, si ritrova con un padre part-time e un’altra canzone, questa volta scritta dallo zio Paul, dedicata alla sua triste situazione. Quella Hey Jude (che avrebbe dovuto essere Hey Jules) che viene omaggiata in questo disco.

Jude

Di fatto il nuovo lavoro di Julian Lennon non è malaccio. Voglio dire, lui non è famoso per essere un bravo musicista né un grande songwriter (di questo disco, non uno dei brani è a sua firma) quindi è giusto non aspettarsi troppo.

Ma, ascoltandolo un paio di volte, sono rimasto sorpreso da quanto suonasse vecchio. Intendo dire che mi è sembrato di ascoltare un disco di Robbie Williams uscito una ventina di anni fa (e qui faccio outing: Sing When you’re Winning mi era piaciuto molto).

Bei suoni acustici, belle melodie, begli arrangiamenti, ma credo avrebbe avuto un po’ di fortuna in più se fosse uscito nel 2001. E poi i testi risultano un po’ adolescenziali per un uomo che ha quasi sessant’anni. Per carità, l’amore è sempre giusto ad ogni età. Ma mi aspettavo testi un po’ più, come dire, saggi.

Molto carina Every Little Moment, la numero tre della lista, che tratta l’argomento “guerra” (non può mancare il verso “War is Over”) sia intesa come quella fra i popoli, sia intesa quella interiore. Invece la successiva Not One Night termina con una non scontata citazione da With a Little Help From My Friend.

Le collaborazioni

Come dicevo, nessuno dei brani presenti nel disco è stato scritto da Julian Lennon. Tra i suoi collaboratori più stretti, il primo è indubbiamente Mark Spiro.

Classe 1957, ha collaborato da sempre con il primogenito di John Lennon ma non solo. Suoi i contributi ai dischi di Steve Perry (Journey), Terri Nunn (Berlin) e Jane Wiedlin (Go-Go’s). Ma soprattutto troviamo Guy Anthony Chambers, cioè la mente dietro il miglior Robbie Williams (infatti).

Chitarrista, pianista, cantante e produttore, Guy Chambers, oltre ad aver lavorato in quasi tutti i dischi di Robbie Williams, ha prestato le sue competenze per personaggi di altissimo profilo, tra cui Tom Jones e Carol King. E poi ancora Peter Vettese, che fra le varie cose è stato anche il tastierista dei Jethro Tull negli anni ’90.

Insomma, un cast eccezionale per un disco non così bello. Dei musicisti non si sa nulla, o per lo meno non sono riuscito a trovare informazioni. Anche il sito ufficiale non aiuta, rimandando solo alle immagini delle copertine e ai link per comprare i dischi.

Le mie conclusioni

A discapito di tutto, Jude è un disco che si fa ascoltare senza troppe pretese. Mi riporta alla mia adolescenza, e questo non è male perché in quegli anni uscirono molti bei lavori discografici, dal sound piacevolmente interessante. Però, francamente, mi aspettavo qualcosina in più, almeno nel sound.

Per me è un 7 per l’impegno.

— Onda Musicale

Tags: John Lennon, The Beatles, Paul McCartney, Yoko Ono, Hey Jude
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