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Toto: la nostra recensione di “Through The Looking Glass”

Ma che fanno i Toto, si mettono in concorrenza con le cover band che girano per i locali per allietare il pubblico tra una chiacchiera e una birra?

Senza nulla togliere a quei gruppi che hanno scelto di proporre pezzi più o meno famosi come mezzo per lavorare

Un intero CD (11 pezzi) di cover, suonato da un gruppo (i Toto) che da più di venti anni nel bene e nel male è presente nel business discografico mondiale, è quantomeno interessante indagare. La cosa più intrigante è che possiamo usare questo CD come una specie di cartina tornasole per le nostre analisi, infatti, un po’ come è successo nel jazz con Herbie Hancock con il suo (non brillante) “The New Standard”, possiamo misurare la temperatura del genere e del gruppo (o solista) in fatto di linguaggio proprio, sintesi e creatività nell’arrangiamento.

La scelta dei brani

I brani scelti dal quintetto vanno dall’iniziale “Could You Be Loved” di Bob Marley, “Bodhisattva” degli Steely Dan e “While My Guitar Gentle Weeps” dei Beatles, passando proprio attraverso “Maiden Voyage” di Hancock e “Living For The City” di Steve Wonder, per arrivare a “Sunshine Of Your Love” dei Cream e finire con “It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry” di Bob Dylan.

Le scelte fatte per il repertorio, dimostrano quanto i Toto bramino essere trasversali affrontando pezzi rock, quasi fusion, canzoni d’autore, reggae, tradizionali, funk-soul e jazzy. Il problema è che i Toto (Steve Lukather, Mike Porcaro, David Paich, Simon Phillips e Bobby Kimball) non appongono il loro timbro di riconoscimento per la rilettura di questi brani; ma forse non lo hanno mai avuto.

In ogni caso hanno reso questi pezzi banali e piatti, preferendo l’impatto ad effetto della chitarra hard di Lukather a scapito della profondità di queste canzoni

Gli autori e i musicisti originali avevano raccontato delle storie attraverso timbri, chiaroscuri, stati d’animo, ma i Toto hanno (per scelta o incapacità) suonato queste canzoni, nel migliore dei casi, come se fossero un gruppo di live cover da locali ballerecci. In questo CD tutto è esteriore e grossolano. Non c’è nessun intimo afflato che permetta un’esplorazione che tenga conto delle dinamiche interne dei brani; solo così, attraverso un’interpretazione autorevole, i Toto avrebbero reso veramente un omaggio agli autori.

Per rendere l’idea analizziamo brevemente due dei pezzi più riusciti del lavoro: “Living for the city” vede al posto degli accordi del piano elettrico i bicordi possenti della chitarra distorta, le voci sono armonizzate alla buona, a fronte di quelle raffinate dell’originale, la batteria propulsiva e dialogante di Wonder è stata sostituita da uno scontato loop di percussioni e da quella rigida di Phillips. Inoltre, l’intermezzo presente nell’originale che, attraverso suoni, voci e rumori ci trasportava in mezzo alla megalopoli descritta dal testo, in quest’arrangiamento è stato in pratica abrogato.

Ancora loop per “Maiden Voyage”, segue il tema della chitarra (al posto di quello armonizzato di sax e tromba), poi la batteria (tampinata in maniera ovvia dal basso) prende un ritmo pop-rock; non c’è niente che ricordi le dinamiche dell’originale, il dialogo continuo tra Tony Williams e Ron Carter, l’assolo virtuoso di Freddie Hubbard e quello d’estrema eleganza e classe di Hancock. L’assolo al piano di Paich è patetico, con beceri riferimenti allo stile di Hancock (i trilli d’ottava).

L’unica “trovata” è l’abile inserimento di un altro tema di Hancock (“Butterfly”) nello svolgimento del pezzo

Trough The Looking Glass” è un fiasco, ma non solo dei Toto, probabilmente ci aiuta a comprendere l’importanza effimera di un certo tipo di rock. Ravvisata la superficialità, forse i Toto hanno sì guardato attraverso una lente, ma al contrario, rimpicciolendo invece di ingrandire ciò che osservavano! Lukather si scaglia verso MTV e simili simulacri, ma questo disco sembra fatto proprio per essi: speriamo che almeno i Toto si siano divertiti!

— Onda Musicale

Tags: Toto, Mike Porcaro
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