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Un disco per il week end: “I Luf cantano Guccini” de I Luf

Come il disco I Nomadi interpretano Guccini del 1974, quarto album per la band all’epoca guidata da Augusto Daolio, anche in questo disco il gruppo folk rock lombardo dei Luf ha deciso di omaggiare il cantautore modenese Francesco Guccini.

Dopo gli anni di gavetta e sui palchi del Nord Italia assieme al cantautore Davide Van De Sfroos, i Luf decidono di continuare per la loro strada portando il loro folk rock. Chitarre acustiche ed elettriche si fondono a banjo, mandolini e cornamusa assieme al dialetto della loro Val Camonica.

Ma ora non perdiamoci in chiacchiere e diamo un’occhiata ai riarrangiamenti de “I Luf cantano Guccini”, quattordicesimo album del gruppo folk rock lombardo:

Bologna: un bel giro di banjo secco seguito dai violini e dalla trascinante forza della band che trasforma la canzone dedicata alla mitica Bologna in una veloce ballata folk con qualche leggera venatura western. D’altronde ricorderete la versione live del Maestrone nel doppio disco dal vivo Fra la via Emilia e il West.

Dio è morto: la chitarra è decisamente più morbida come la voce di Canossi che accompagna una delle canzoni più celebri di Guccini, rifatta sia dai Nomadi che da Fiorella Mannoia, fino a circa metà canzoni quando esce tutto il lato più brigante e lupo dei Luf.

Un interessante gioco di momenti di riflessione intima e delicata contrapposti ad un canto di protesta sociale e culturale, ad una speranza appena nata, ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi.

Il vecchio e il bambino: accantonate momentaneamente i laconici synth della versione originale e lasciate che sia la fisarmonica a prendervi per mano come in una strana sagra di paese.

Se prima la chitarra e la voce di Canossi vi sono sembrate morbide qui vi ricorderanno decisamente il Guccio più pensieroso e malinconico. I flauti ed i mandolini finali poi descrivono perfettamente le ultime parole del bambino, il gioioso futuro, all’anziano, lo stanco passato, prima dell’ultima accelerata strumentale per un crescendo fantastico!

Canzone per un’amica: una delle canzoni più conosciute, ed al tempo stesso, delicate perché composta per un’amica che purtroppo non c’è più. Gli arpeggi di banjo, il violino e la batteria qui la fanno da padrone e fanno ricordare a chiunque come sia stato conoscere una persona così. Chi ha orecchie per intendere intenda, soprattutto nella parte finale con il grido di Canossi.

Auschwitz: la morte purtroppo il più delle volte è causata da altri uomini in un vortice infinito di distruzione. Qui la celebre accusa gucciniana viene rivisitata in una versione a metà tra i cori di montagna ed i pezzi più politici dei Modena City Ramblers per un risultato che lascia piacevolmente sorpresi.

Vedi cara: banjo e batteria a tutto spiano per un altro tema tipico del Guccio, le donne e tutti i problemi ad esse connessi. Non per niente “è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già”.

Incontro: una delle mie canzoni preferite di sempre di Guccini presente nell’album Radici di cui vi ho già parlato qui. Lasciate che il violino e la chitarra vi cullino per questa malinconica canzone che vi farà ricordare più di un momento che credevate di aver dimenticato.

Eskimo: tra western e festa di paese, una delle più famose canzoni dedicate alla moglie di Guccini viene completamente trasformata. Davvero curiosa!

Canzone per Silvia: voce delicata accompagnata da laconici accordi, ma poi bando alla tristezza e via con l’adrenalina tipica dei Luf assieme alla loro ironia e critica feroce.

Le cinque anatre: l’atmosfera sonora sembra far tornare indietro al tempo del neorealismo italiano con soluzioni sonore tipiche dei Ratti della Sabina sempre più incalzanti man mano che passano i secondi.

L’avvelenata: in effetti è una canzone sentita un po’ in tutte le salse ed era immancabile in questo album. Inevitabile, ma che merita più di un ascolto!

 

Giudizio sintetico: un album che non si sente tanto spesso e che farà piacere sia ai fan di Francesco Guccini che a quelli dei Luf. Ascoltare per credere!

Copertina: il lupo, simbolo del combo lombardo, su sfondo sotto il gigantesco titolo in bianco

Etichetta: PSP

Line up: Dario Canossi(chitarra e voce), Sergio “Jeio” Pontoriero (banjo, djambè, darbuka, cembalo, shaker e voce), Sammy Radaelli (batteria), Alessandro Apinti (violino), Cesare Comito (chitarra acustica, e voce), Matteo Luraghi (basso e voce), Stefano Civetta (fisarmonica e voce), e Pier Zuin (highland bagpipe, gralla dulce in sol, flauto traverso irlandese in re, tin whistle in re, bodhran).

Tra i collaboratori Ranieri "Ragno" Fumagalli (baghet in “Canzone per un amica”, flauto in “Bologna”, cornamusa in “Dio è morto”, cornamusa in “Canzone per un amica”, flauto ne "L’avvelenata”), Lorenzo Cazzaniga (chitarre, dobro) e Alberto Patrucco

 

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Tags: Augusto Daolio, Vanni Versini, Fiorella Mannoia, Francesco Guccini, Nomadi, Modena City Ramblers, Davide van de Sfroos
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