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Un disco per il week end: “Aqualung” dei Jethro Tull

Siamo nell’Inghilterra del 1971 ed il nome dei Jethro Tull, guidati dall’eccentrico polistrumentista Ian Anderson, è ben noto nella scena musicale britannica grazie ad album come “This Was”, “Stand Up” e “Benefit”.

Giunti al loro quarto album, tra i più importanti dischi del prog oltre che della band, i Tull pubblicano una sorta di “involontario concept” in cui protagonista è uno sfortunato senzatetto alle prese con la società e la religione. Involontario perché l’intento non era assolutamente quello, ma ci sono comunque molte persone che lo considerano tale. Detto questo passiamo ad analizzare le tracce presenti nella versione originale.

Aqualung: tra i pezzi più famosi del disco e dell’intera discografia della band inglese, sorretto magistralmente dal memorabile riff di Martin Barre e dalla batteria di Clive Bunker, narra la triste storia di un senzatetto pervertito chiamato per l’appunto Aqualung.

Trasandato, sporco e con cattive intenzioni Aqualung trascina il suo corpo e la sua esistenza in una società sempre più frenetica ed insensibile all’interno della quale riversa tutte le sue frustrazioni, miserie e paure come dimostrano gli stacchi acustici ed elettrici del brano. Pare che l’ispirazione per il protagonista della canzone provenisse da un vicino di casa di Anderson mentre altri sostengono che sia stato ispirato da una fotografia che ritraeva un clochard su un marciapiede di Londra. Un’altra curiosità riguarda anche il fantastico assolo di chitarra, sempre ad opera di Barre.

Sembra infatti che Jimmy Page dei Led Zeppelin fosse passato nello studio in cui i Jethro Tull stavano registrando per un saluto e quattro chiacchiere proprio mentre Barre era in sala intento ad incidere l’assolo. La concentrazione era tale che il chitarrista non si accorse minimamente di Page e continuò a suonare completamente distaccato dall’ambiente circostante.

Cross – Eyed Mary: prima canzone del disco in cui si sente il caratteristico flauto di Anderson preannunciato da una voce che grida “Maryyy”. L’iniziale atmosfera fiabesca diventa poi più dura ed elettrica grazie alla voce del carismatico leader e la chitarra di Barre impreziosite dalle tastiere di Evan.

Gli intarsi sonori descrivono poi un’altra storia di miseria, quella di Mary la strabica appunto, che si prostituisce solo ed esclusivamente per i poveri come, o più, di lei. Tra i potenziali clienti riappare infatti Aqualung. Da ricordare che la canzone è stata poi rifatta anche dagli Iron Maiden circa una decina di anni dopo.

Cheap Day Return: breve e malinconico pezzo acustico, meno di un minuto e mezzo, in cui Anderson descrive la visita al padre malato dopo che lo ha raggiunto in treno. Il titolo è tutto un programma perché, tradotto, vuol dire letteralmente “biglietto scontato per ritorno in giornata”.

Mother Goose: altro brano acustico, questa volta impreziosito dal suono del flauto, e delicato in cui la voce di Anderson, qui più delicata, compone un collage di strane figure inserite in altrettanto bizzarre situazioni.

Wond’ring Aloud: altro breve pezzo acustico, di poco inferiore ai due minuti, in cui si parla della purezza e semplicità dell’amore chiedendosi però se durerà. Fantastico poi il lavoro di Evan in sottofondo con giri di piano e di archi.

Up To Me: delle risate in sottofondo accompagnano il giro di pianoforte e flauto intervallato da brevissimi interventi di chitarra elettrica. Come in “Mother Goose” anche qui ritornano immagini apparentemente sconnesse, ma si tratta di una curiosa narrazione della vita tipica della classe lavoratrice inglese.

My God: è la canzone più lunga dell’album con i suoi sette minuti e passa nei quali si critica aspramente la Chiesa Anglicana e le sue contraddizioni dettate dall’avidità e dall’ipocrisia dell’uomo. Il luno assolo di flauto poi, con tanto di cori “quasi gregoriani”, è uno spettacolo da non perdere!

Hymn 43: una sorta di gospel in stile Jethro Tull dove la band si scaglia ancora contro la religione, nello specifico contro chi “predica bene e razzola male”, per un altro ritratto satirico della società. Valido all’epoca come oggi.

Slipstream: altro breve pezzo acustico e sognante in cui, con versi che rimandano alla religione, Anderson parla del ciclo vitale che accomuna tutta l’umanità. Nascere, crescere e morire, il tutto compresso in poco più di un minuto.

Locomotive Breath: al pari di “Aqualung”, “Cross – Eyed Mary” ed altri brani visti fino ad ora anche questo è un must che la band, al pari di Ian Anderson nelle vesti di solista, ha sempre proposto dal vivo. Raffinati giri pianistici di stampo jazz firmati da John Evan accompagnati dalla blueseggiante chitarra di Martin Barre fanno da apripista per un’atmosfera più elettrica in cui si narra ancora della vita. Questa volta è paragonata ad un treno, da qui il titolo, che continua a procedere per la sua via senza fermarsi mai. Alzate il volume al massimo!

Wind Up: brano finale dalle atmosfere nostalgiche e cantautoriali, almeno per la prima parte della canzone, in cui Anderson ricorda la sua gioventù quando era obbligato ad andare in chiesa e a pregare. Ritorna dunque il tema della fede piegata alla pigrizia dell’uomo e la strumentalizzazione di Dio definito come “non il tipo che dovete caricare a molla la domenica”.

Giudizio sintetico

Capolavoro della band e tassello fondamentale del progressive rock. Da avere!

Copertina: un’immagine di Aqualung in piedi ad un angolo di strada con un ghigno perfido in volto mentre sul retro lo si vede accasciato sul marciapiede con un cane accanto

Etichetta: Chrysalis

Lineup: Ian Anderson (voce, flauto e chitarra), Martin Barre (chitarre), Jeffrey Hammond (basso, flauto e voce), John Evan (pianoforte, organo e mellotron) e Clive Bunker (batteria e percussioni)

— Onda Musicale

Tags: Ian Anderson
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