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Un disco per il week end: “Rubber Soul” (Lato A) dei Beatles

Il 1965 sta per finire, ma la prima settimana di dicembre sembra preannunciare una visita in anticipo da parte di Babbo Natale e dei suoi doni. I Beatles, infatti, danno alle stampe quello che può essere considerato il vero e proprio “album del cambiamento”, ovvero, Rubber Soul.

Famoso per la foto di copertina allungata, un errore involontario che però piacque alla band anche perché in relazione agli acidi ed alla psichedelia, l’album dimostra una maturazione incredibile dei Beatles dopo l’enorme successo di Help!. L’album infatti segna il passaggio da canzoni più accessibili e “pop” fino ad altre più psichedeliche ed elaborate dal punto di vista della lavorazione in studio, il successivo Revolvertestimonierà tale passaggio, con il buon George Martin.

Detto questo diamo un’occhiata alle tracce del Lato A di questo incredibile album:

Drive My Car: come i “cugini” Rolling Stones, anche per i Fab Four il blues non è certo un genere musicale indifferente e questa canzone ne è la prova. Il ritmo, l’intreccio tra le chitarre di Harrison e McCartney ed il pianoforte di Lennon, assieme al campanaccio suonato da Starr, richiamano il caro vecchio blues che ha contagiato anche il Regno Unito facendo nascere band come, giusto per dirne una, i Cream con Eric Clapton.

Il testo è poi ricco di allusioni sessuali verso una giovane ragazza che vuole essere una star, il prezzo? Degli anelli di diamanti come aveva suggerito McCartney in difficoltà col testo. A “soccorrerlo” ci pensa Lennon bocciando il suo testo e sostenendo che tali anelli erano già stati usati in altri brani come “Can’t Buy Me Love”ed “I Feel Fine”.

Norwegian Wood (This Bird Has Flown): il sitar di Harrison, non occorre certo addentrarsi nel rapporto tra i Beatles, l’India e Ravi Shankar, si unisce allo strumming acustico ed alla voce di Lennon che racconta un curioso episodio personale “opportunamente” mascherato.

Cosa che fece infuriare non poco la moglie di allora, Cynthia Powell, anche se McCartney ha asserito che il legno norvegese era quello del fratello della sua ragazza, Jane Asher. Ragazza che, ricordiamo, ha ispirato la composizione di I’ve Just Seen a Facee All My Loving.

Ad ogni modo, la storia narra dell’incontro con una bella ragazza che, dopo un po’, invita il protagonista del brano a casa sua dove hanno parlato fino alle due. Lei gli indica di sedersi, ma non ci sono sedie e quindi i due stanno sul tappeto.

Alla fine lei va a dormire dicendo che domani deve lavorare e lui, che invece era libero, finisce a dormire nella vasca da bagno. Al suo risveglio la ragazza non c’è più, “l’uccello aveva preso il volo”, e lui accende un fuoco per scaldarsi anche se McCartney dichiarò che fu un incendio per vendetta.

You Won’t See Me: praticamente la risposta, un po’ acida, che la Asher diede a Macca. La ragazza era in tour e McCartney non riusciva mai a trovarla al telefono, come recitano le parole “When I call you up your line’s engaged”, perciò decide di distrarsi strimpellando la chitarra.

Grazie a questo, e all’influenza della Motown, McCartney compone questa triste canzone di sfogo sui tasti del pianoforte accompagnato dall’hammond di Mel Evans. Lennon ed Harrison sono più defilati suonando, rispettivamente, la chitarra ed il tamburello cantando i cori assieme a Starr dietro la sua Ludwig.

Nowhere Man: un’armonia vocale, stile Byrds e/o Beach Boys, apre le danze per gli scanzonati accordi di chitarra. “L’uomo inesistente” della canzone altri non è che lo stesso Lennon che la canta.

L’artista, infatti, era parecchio in crisi perché non aveva ancora scritto una canzone per l’imminente album, oltre che per il matrimonio con la Powell e l’uso di droghe, rischiando di non rispettare la scadenza.

Dopo una notte insonne si butta sul letto e comincia a pensare a sé stesso come un “uomo inesistente” senza “punti di vista” o doti particolari. La canzone si è praticamente scritta da sola. Malinconica, ma anche corale e trascinante contiene anche un paio di giochi sugli armonici artificiali delle sei corde di Harrison e Lennon.

Think for Yourself: inizialmente intitolata “Won’t Be There With You”, anche questa canzone presenta un certo grado di risentimento nato dalla penna di un ispiratissimo Harrison come testimonia la strofa “Do what you want to do/And go where you’re going to/Think for yourself/’Cause I won’t be there with you”. Il testo parla di uno sfogo contro una donna che ha mentito all’amato, ma la cosa più interessante di questo brano è la doppia linea di basso, una classica ed una fuzz che rendeva il tutto più elettrico e cupo. Non troppo amata dai fan e mai eseguita dal vivo dai Fab Four, di questa canzone neanche Harrison ricorda esattamente quale fu la scintilla ispiratrice, ma di sicuro non fu l’amata Pattie Boyd.

The Word: si tratta di un vero e proprio simbolo della cultura hippie dell’epoca. La parola del titolo è infatti “amore” e, anche per quanto riguarda l’origine, il brano è decisamente da “figli dei fiori”. Pare infatti che Lennon e McCartney stessero fumando della marijuana assieme quando cominciarono a scribacchiare e disegnare su di un foglio. Il risultato fu questo brano arricchito dall’assolo di armonium suonato da George Martin.

Michelle: l’intreccio di chitarre acustiche di Lennon e McCartney, un po’ come fecero poi in “Yesterday”, apre le danze per uno dei pezzi d’amore più celebri dei Beatles che, per poche parole, abbandonano la lingua d’Albione per abbracciare quella francese. Un classico intramontabile che non ha certo bisogno di presentazioni.

 

A presto con la seconda parte (Lato B)

— Onda Musicale

Tags: George Harrison, Rubber Soul, Ravi Shankar, Pattie Boyd, Cynthia Powell, The Rolling Stones, Ringo Starr, Yesterday
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