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“Parsifal”, l’album più prog dei Pooh

Parsifal dei Pooh

Avventurarsi nella storia dei Pooh significa farlo nella storia di cinquant’anni di musica italiana, passando dalle cantine beat di metà anni Sessanta agli aneliti del rock progressivo, dai suoni artificiosi degli anni ’80 fino alle scorribande sanremesi, per arrivare purtroppo alla prematura scomparsa di Stefano D’Orazio, storico batterista della band. (leggi l’articolo)

Noi ci limitiamo quindi a ripercorrere la loro pagina più complessa e autoriale, che prende il nome di “Parsifal”, e ha fatto nascere infinite discussioni tra gli amanti del rock progressivo più ortodosso e i fan dello storico complesso; i primi faticano ad annoverare il disco nel genere, per una serie di motivi spesso più ideologici che non musicali, i secondi che lo affiancano invece ai capolavori di quella florida stagione.

Nel 1973 i Pooh si erano già stabilizzati nella loro formazione più longeva: Roby Facchinetti alle tastiere, Dodi Battaglia alla chitarra, Red Canzian al basso e Stefano D’Orazio alla batteria; come canonico per molte band del post Beatles, tutti e quattro erano bravi cantanti, in grado di alternarsi alle parti soliste e all’occasione armonizzare in cori di buona qualità.

Può forse stupire, però, il fatto che nessuno dei quattro facesse parte della formazione originale, nata nei primi anni Sessanta a Bologna col nome di Jaguars, dall’incontro di Valerio Negrini, batterista, e Mauro Bertoli, chitarrista autodidatta; a completare il primo organico c’erano il cantante Vittorio Costa, Giancarlo Cantelli al basso e il tastierista Bruno Barraco. Il primo contratto con la Vedette, rimasta orfana dell’Equipe 84, prelude a una serie di cambiamenti: entrano in formazione Roby Facchinetti alle tastiere e Riccardo Fogli al basso.

Inoltre, scoperta l’esistenza di una band precedente che sfoggia lo stesso moniker, i ragazzi cambiano la ragione sociale in Pooh, forse in onore alla passione per Winnie the Pooh di Aliki Andris, segretaria di Armando Sciascia, patron della Vedette.

Così assestati, nel 1966 i Pooh esordiscono con “Per quelli come noi”, il loro primo album. La band inizia così la sua carriera discografica, che prosegue dapprincipio tra alti e bassi; l’album “Contrasto”, che contiene l’omonimo pezzo strumentale, prototipo di “Parsifal”, viene pubblicato senza il consenso del gruppo e porta alla separazione dalla Vedette. L’immediato ritiro dal mercato ne fa un pezzo ricercatissimo dai collezionisti, con quotazioni prossime ai duemila euro.

Negrini, nonostante i primi successi, preferisce abbandonare per rimanere solo come compositore, sostituito da Stefano D’Orazio, mentre Riccardo Fogli lascia poco dopo, tentato dalle sirene della carriera solista e non senza qualche polemica; al suo posto viene ingaggiato – alla vigilia di “Parsifal” – Red Canzian: nasce la formazione che calcherà i palchi per oltre quarant’anni.

La musica dei Pooh, al contrario dei canoni del rock progressivo, non ha in sé alcun elemento di conflittualità, né di avanguardia, venendo classificato dai puristi come pop melodico da classifica, tuttavia i musicisti sono universalmente riconosciuti come strumentisti di primordine. Facchinetti è abile nella composizione, ha un timbro vocale molto riconoscibile ed è un ottimo tastierista, anche quando è alle prese con sintetizzatori e Moog; Battaglia è a tutt’oggi riconosciuto come uno dei migliori chitarristi italiani, famoso nel mondo tanto che la Fender gli ha dedicato una speciale Stratocaster signature che porta il suo nome; il suo tocco fluido lo ha fatto paragonare a David Gilmour e la sua versatilità gli ha sempre permesso di passare in scioltezza dal rock al pop, fino alla fusion.

Canzian e D’Orazio, invece, arrivano proprio dal prog.

Il buon Red era infatti il chitarrista e il cervello dei Capsicum Red, discreta band prog con all’attivo l’album “Appunti per un’idea fissa”; reclutato dai Pooh si adatta a suonare il basso, tanto da farne lo strumento della sua vita musicale. D’Orazio è forse il meno tecnico come strumentista, ma proviene comunque da Il Punto, estemporanea band prog titolare di un solo album.

Quando, nel 1973, i Pooh danno alle stampe “Parsifal”, sono al loro sesto album e vogliono forse staccarsi di dosso l’etichetta di band melodica con un pubblico disimpegnato politicamente, quando non di adolescenti pronti a strepitare ai loro concerti.

Parsifal” si presenta da subito come un lavoro che vuole fare da spartiacque tra la prima parte di carriera e la maturazione; per quanto non manchino gli episodi fortemente melodici e alcuni testi d’amore estremamente tradizionali, emerge senza dubbio una maggiore omogeneità di fondo di tutta la tracklist. La produzione è di Giancarlo Lucariello, che fa le cose in grande, affiancando ai quattro ragazzi la maestosa orchestra di quaranta elementi diretta dal Maestro Giancarlo Monaldi; il disco viene inciso presso gli storici studi di registrazione Idea Recording, nel quartiere Città di Studi di Milano, in via Moretto da Brescia: il meglio, all’epoca.

La copertina è ricavata da una locandina originale dell’opera “Parsifal” di Wagner tenuta al teatro La Scala, così come i costumi che Dodi, Roby, Red e Stefano sfoggiano nella foto del retrocopertina.

Le atmosfere musicali occhieggiano al coevo prog, ma soprattutto al rock sinfonico di band come Moody Blues e Procol Harum; il paragone coi Genesis è invece più stiracchiato.

Le nove canzoni si dividono in otto pezzi di pop sinfonico, raffinato ma piuttosto tradizionale, dove emergono per durata “Infiniti Noi” e l’iniziale “L’anno, il posto, l’ora”, e la suite che dà il titolo al lavoro, un’articolata composizione sinfonica di circa dieci minuti.

“Parsifal” si apre con “L’anno, il posto, l’ora” e ci si trova subito immersi in un clima più maturo; il testo narra gli ultimi minuti di vita di un pilota mentre il suo velivolo sta precipitando. Su un bordone di sintetizzatore si staglia presto un delicato arpeggio di chitarra, poi Battaglia, Facchinetti e Canzian si dividono le strofe con i lori caratteristici timbri per arrivare al ritornello cantato in coro; le atmosfere cambiano e – sulle liriche che rievocano un bozzetto familiare – si fanno più sognanti, con l’orchestrazione sullo sfondo. Il brano riprende poi la struttura iniziale e si conclude in crescendo: un pezzo distante dal prog, ma dove è racchiusa la summa dei migliori Pooh, a base di romanticismo, melodie cristalline e perfetta pertinenza strumentale.

Si prosegue con “Solo cari ricordi”, pezzo ad alto rischio glicemico per un testo che narra in modo piuttosto canonico di un amore finito e di una melodia che riesce quasi miracolosamente a rimanere in equilibrio tra orecchiabilità e capacità di non stancare. Il pezzo si contraddistingue nel finale con un assolo al fulmicotone di Battaglia: se a qualcuno non fosse chiara la grande statura musicale del chitarrista, la sua parte in questo brano è esemplare. Peccato che l’assolo vada presto sfumando.

“Io e te per altri giorni” è di nuovo un episodio in perfetto stile Pooh, melodia fin troppo facile, testo romantico e perfetta esecuzione strumentale; di nuovo in grande evidenza il bell’arrangiamento sinfonico. Le successive “La Locanda” e “Lei e lei” scorrono via senza lasciare particolari impressioni, portando con pochi scossoni allo scollinamento del vinile.

La seconda parte si apre con “Come si fa”, leggermente più sostenuta e sempre sorretta dalla tipica melodia a marchio Pooh. “Infiniti Noi” è uno dei due singoli dell’album, una ballata d’amore retta all’inizio solo su piano e voce, per poi fare spazio alla parte più sinfonica; l’epica melodia pare anticipare col suo crescendo la celebre “Uomini Soli”.
La parte centrale è a totale appannaggio dell’orchestra, mentre nel finale entrano anche la batteria e gli altri strumenti.
 

“Dialoghi” non aggiunge nulla di particolare e spiana la strada al climax del disco, quella “Parsifal” che segna forse la vetta più alta del canzoniere dei Pooh.

Il brano che dà il nome all’album è una suite divisa in due movimenti, il primo cantato e il secondo strumentale che, pur non rispondendo completamente alle tipiche strutture del progressive, può esservi annoverato a buon diritto. Le liriche epiche narrano di Parsifal, l’eroe dell’omonima opera wagneriana e la musica segue di pari passo la vicenda.

L’avvio è delicato, con la voce che si staglia sul pianoforte, con una linea melodica che ricorda, in versione soft, la bellissima “Cemento armato” de Le Orme, per poi lasciare il passo all’ingresso della batteria e degli altri strumenti dopo un minuto e mezzo.
Attorno ai due minuti parte il primo assolo di chitarra, una trentina di secondi che introducono un’altra parte cantata, basata su una nuova melodia. Una breve parte di chitarra lascia spazio al momento orchestrale, dai toni epici e quasi morriconiani.

Il pianoforte di Facchinetti porta il brano nell’ultima fase, dove viene ripresa la melodia di “Contrasto”, pezzo del controverso album di qualche anno prima, rivista in chiave sinfonica fino all’esplosione dell’ultimo assolo di Battaglia; è forse l’assolo per eccellenza di Dodi, con un suono saturo ma pulito e linee melodiche che ricordano il Santana più espressivo e certe cavalcate che saranno tipiche di Gary Moore. La giusta celebrazione di un grande musicista che conduce in porto il pezzo più ambizioso della sua band, dando fondo a tutto il suo repertorio.

“Parsifal” ottiene il successo di pubblico, ma viene snobbato dal movimento prog e dalla controcultura, che continua a ostentare indifferenza verso un gruppo che viene ritenuto lontano dalle idee avanguardistiche professate. I Pooh ci riproveranno col successivo “Un po’ del nostro tempo migliore”, album ancora più classicheggiante che ripropone una lunga suite in chiusura; secondo alcuni è qualitativamente superiore anche a “Parsifal”, di certo non ne raggiunte lo status di cult nella discografia.

Ma dopo il ’75 il prog è ormai ai titoli di coda e i Pooh tornano a quello che sanno fare meglio, il pop da classifica che li vedrà protagonisti, tra alti e bassi qualitativi ma sempre con successo, fino ai giorni nostri.
Le ultime cartucce sperimentali le sparano nel singolo del 1978 “Fantastic Fly/Odissey”, commissionato dalla Rai come colonna sonora della miniserie “Racconti fantastici”, ispirata a Edgar Allan Poe; sono i tempi delle OST dei Goblin per Dario Argento, quelle di “Profondo Rosso” e “Suspiria”, e i Pooh si divertono a suonare cupi e gotici quanto basta, con risultati ottimi.

Ma è poco più di un divertissement, e da allora la band tornerà nei canoni del proprio genere, con irripetibile successo.

  Andrea La Rovere – Onda Musicale

— Onda Musicale

Tags: Pooh, Pop, Prog Rock, Roby Facchinetti, Red Canzian, Stefano D'Orazio, Dodi Battaglia
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