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John Paul Jones, il lato tranquillo dei Led Zeppelin

Nel 1959 uscì un film americano – “Il grande Capitano” – di John Farrow: nulla di epocale se non per il debutto di una giovanissima Mia Farrow, figlia del regista e futura star di Hollywood. Il titolo originale della pellicola era “John Paul Jones”.

John Paul Jones fu un eroe americano, corsaro e poi ammiraglio, padre della Marina a stelle e strisce. A quell’epoca John Baldwin era un adolescente nato a Sidcup, nel Kent, e già se la cavava bene a suonare qualsiasi strumento gli capitasse sottomano; il padre, del resto, era stato un apprezzato pianista. Fu un suo amico, il futuro manager dei Rolling Stone Andrew Loog Oldham, che fece così la prima cosa importante per la storia del rock, a suggerirgli il nome d’arte, dopo aver assistito al cinema alle avventure del grande Capitano: quel giorno nasceva John Paul Jones, bassista e polistrumentista dei Led Zeppelin.

Stavo vagando da un paio di giorni assonnato per casa, dopo diverse collaborazioni non avevo nulla da fare; fino a che mia moglie mi disse: “La smetti di trascinarti per casa? Esci di qui, fai qualcosa, cercati una band!”. Avevo appena saputo che un musicista con cui avevo precedentemente collaborato, Jimmy Page, cercava un bassista…”

Lo stesso John ricorda con queste parole la dinamica piuttosto casuale con cui la sua strada si incrociò a quella della nascitura band di Jimmy Page, futura icona e band più popolare della storia dell’hard rock. John Paul era da anni – dopo gli inizi con The Deltas – uno dei più ricercati turnisti della musica britannica. Aveva già collaborato con nomi come Jeff Beck, Cat Stevens, Rod Stewart, Shirley Bassey, Lulu, Dusty Springfield, Tom Jones e Nico; aveva avuto come compagno di band John McLaughlin, chitarrista fusion entrato nel mito, e i Rolling Stones l’avevano chiamato per arrangiare gli archi di “She’s A Rainbow”, nel loro poco convinto e – fortunatamente – breve periodo psichedelico.

John Paul Jones aveva conosciuto Jimmy Page nel 1968, durante la registrazione di “Truth”, album di Jeff Beck, il chitarrista di cui Jimmy aveva preso il posto negli Yardbirds. Jones aveva suonato l’organo Hammond in “Ol’ Man River” e “You Shook Me”, cimentandosi al basso nel celebre blues “Beck’s Bolero”; nello stesso pezzo, Page suonava la chitarra a dodici corde. I due legarono subito e – quando registrarono il primo disco dei Led Zeppelin – si ricordarono evidentemente di quella “You Shook Me”, un vecchio blues di Willie Dixon e J.B. Lenoir, riproponendola in una versione ancora più potente di quella di Beck, e dal successo infinitamente superiore: il buon Jeff avrebbe covato negli anni un grande risentimento per il presunto “scippo”.

In quel periodo John Paul Jones era soverchiato dagli infiniti impegni come arrangiatore e session man, anche cinquanta o sessanta al mese, tanto da pensare che quella mole di lavoro l’avrebbe prima o poi ucciso. Jimmy Page, anche lui turnista ricercatissimo, ruminava da un po’ di riformare gli Yardbirds – fantasiosamente ribattezzati “New Yardbirds” – per farne una macchina per il successo; quando Chris Dreja maturò la scelta di abbandonare il gruppo per dedicarsi alla fotografia, Jones e Page si ritrovarono per lavorare al disco di Donovan “Hurdy Gurdy Man” e la decisione di comprendere John Paul nel progetto fu quanto di più naturale.

“Stavo lavorando alle sessioni per “Hurdy Gurdy Man” di Donovan e John Paul Jones si stava occupando degli arrangiamenti musicali. Durante una pausa, mi chiese di entrare come bassista nel nuovo gruppo che stavo formando. Aveva una formazione musicale adeguata e idee piuttosto brillanti. Colsi al volo l’occasione di prenderlo” Jimmy Page ricorda con queste parole l’accordo con Jones.

Completato l’organico con Robert Plant e John “Bonzo” Bonham, il volo del dirigibile poteva iniziare, zavorrato solo dal vecchio moniker NewYardbirds che la band avrebbe sfoggiato solo nella ormai leggendaria tournee scandinava di fine ’68.

“Quando entrai a far parte della band per la prima volta, non pensavo che sarebbe durata così a lungo, forse due o tre anni, e poi avrei continuato la mia carriera di turnista e facendo musica per il cinema” ricorda John Paul Jones. Invece il successo, un successo senza precedenti, travolge i neonati Led Zeppelin. I quattro ragazzi si trovano improvvisamente a gestire compensi milionari e uno di stile di vita a base di lusso ed eccessi che non avrebbero mai nemmeno sognato.

In breve tempo emergono i caratteri dei quattro: l’introverso Page si interessa di esoterismo e occultismo, comprando ville maledette e inserendo simboli rituali nelle grafiche dei dischi; Plant sfoggia il suo sfrenato e sfrontato edonismo, prima che un grave incidente stradale lo riporti sulla terra; “Bonzo” è quello che subisce di più il successo, abituato alla vita di campagna e ai pub del paese. Alterna eccessi da rockstar a ritorni allo stile bucolico, ma l’alcol e le droghe lo abbatteranno qualche anno dopo, uccidendo anche i Led Zeppelin.

UNITED KINGDOM – DECEMBER 01: Photo of LED ZEPPELIN posed on a Jaguar car in London in December 1968. Left to right: John Paul Jones, Jimmy Page, Robert Plant and John Bonham.(Photo by Dick Barnatt/Redferns)

John Paul è diverso, più quieto e forse saggio; è già sposato con Maureen, donna con cui è tuttora legato e con cui avrà tre figlie, Tamara, Jacinda e Kiera.

In giro per il mondo si diverte come gli altri, ma sempre senza superare la misura nel drogarsi, nel bere e nel far parlare di sé. Sul palco rimane sempre defilato, a curare perfettamente la sezione ritmica, appostato vicino alla grancassa di Bonham, a presidiare la retroguardia mentre Plant e Page mandano in delirio il pubblico, più avanti sul palco.

Lo scandalo più grande dei tempi coi Led Zeppelin – ben poca cosa in realtà – lo racconta ironicamente in “Royal Orleans”, dalla tracklist di “Presence”: a New Orleans, nel 1973, dopo una serata passata a bere in un locale di Drag Queen, sale in camera con Stephanie, a rollare una canna. I due – storditi dalla sostanza – fanno scattare l’allarme antincendio dell’albergo e vengono trovati dai Vigili del Fuoco assieme, mezzi addormentati.

Ho cercato di stare fuori dalla deriva del percorso della rockstar, principalmente perché avevo bisogno della mia sanità mentale per affrontare quella vita on the road. Quindi, generalmente, andavo fuori dall’hotel e poi uscivo per strada. Andavo a camminare. Non ero riconoscibile come Robert Plant e Jimmy Page. Inoltre, cambiavo il mio aspetto tutto il tempo solo per assicurarmi di non essere così riconoscibile. Una volta avevo letto che i Beatles fecero un intero tour in America senza mai lasciare le loro stanze d’albergo. Pensai: “Non riesco a vedere il senso di viaggiare per il mondo senza vedere nulla”.

Amante della vita tranquilla e della famiglia, John Paul pensa addirittura di lasciare la gallina dalle uova d’oro già nel 1973, dopo quattro anni di tour estenuanti; a convincerlo a continuare è Peter Grant, il famigerato manager della band, ex lottatore e uomo dai modi piuttosto spicci: come l’abbia convinto non si sa, ma John Paul si rivela anche quella volta un ragazzo saggio.

John Paul ama quindi rimanere nell’ombra, non perché costretto come George Harrison nei Beatles, ma più per sua scelta; eppure, sono in molti a ritenere il suo apporto al suono dei Led Zeppelin forse meno appariscente ma altrettanto importante – se non di più – di quello dei compagni. Bassista fenomenale – la solita classifica di “Rolling Stone” lo indica al sesto posto di tutti i tempi – John è un musicista a tutto tondo: grande arrangiatore, con ottima conoscenza tecnica della musica. Si mette in luce in particolare in “Led Zeppelin II” e in “Led Zeppelin IV”; nel primo sfoggia alcune linee di basso entrate nell’immaginario rock, come in “What Is and What Should Never Be”, “The Lemon Song” e “Ramble On”, nel secondo compone il celebre riff di “Black Dog”, suona da par suo il mandolino in “Going To California” e il flauto in “Stairway To Heaven”. Da “Houses Of The Holy” in poi introduce il sintetizzatore, dando un tocco sperimentale e quasi al limite del prog al suono degli album della maturità.

Alle tastiere il suo tocco si distingue particolarmente in “No Quarter”, nel mellotron di “The Rain Song”, nel clavinet di “Trampled Under Foot” e nelle iconiche scale orientali di “Kashmir”, pezzo definito da Plant “la canzone definitiva dei Led Zeppelin” e sempre suonate al mellotron.

Ma non solo, assieme al batterista John Bonham – per molti il migliore di tutto il rock – dà vita a una sezione ritmica irripetibile, che pompa come uno stantuffo e al tempo stesso si distingue, innovando il panorama del rock.

Eravamo entrambi grandi fan della Motown, della Stax e della musica soul in generale, fan di James Brown. Questa è una delle ragioni per cui ho sempre detto che gli Zeppelin erano una delle poche band ad avere “swing”. A quei tempi avevamo davvero un ritmo. La gente veniva ai nostri spettacoli e ballava, il che era fantastico. Vedere tutte quelle donne ballare, è stato davvero fantastico. Non si vedeva una cosa del genere necessariamente in un concerto dei Black Sabbath o altre band hard rock: eravamo diversi. Eravamo una band fantastica. Abbiamo messo a frutto tutte le nostre influenze della black music come chiave per andare oltre il rock.”

Dal 1975 John Paul abbandona il mitico Fender Jazz Bass che aveva sempre utilizzato a favore di strumenti Alembic, progettati e costruiti appositamente per lui; mentre guarda il mondo dall’alto dei successi dei Led Zeppelin, Jones rimane sempre coi piedi ben piantati per terra, tanto da continuare a collaborare con numerosi musicisti. Anche nel 1980, quando “Bonzo” muore in seguito alle sue devastanti dipendenze e i Led Zeppelin decidono di non poter andare avanti, John non perde l’equilibrio: si era appena trasferito nel Devon con la moglie per far crescere in tranquillità le figlie, e riprende a fare quello che aveva sempre desiderato di fare, il musicista e il compositore.

Le collaborazioni da allora sono infinite: colonne sonore, poche e mirate reunion, session con grandi nomi (Paul McCartney, Ben Harper, Foo Fighters) e artisti più di nicchia (Seasick Steve, Diamanda Galas), un paio di dischi solisti e l’avventura col supergruppo Them Crooked Vultures, dove militano Josh Homme e Dave Grohl.

Ancora oggi, fedele al suo travestimento studiato per “sparire”, John Paul appare come un signore distinto di una certa età: magro, coi capelli corti e col tocco magico appena si avvicina a un qualsiasi strumento musicale. A vederlo accanto a Jimmy Page e Robert Plant, le vecchie glorie capellone che portano tutti i segni della vita da rockstar, a molti viene da chiedersi chi sia e cosa ci faccia lì, senza sapere che quel signore distinto è una delle personalità chiave della storia dell’hard rock e forse di tutta la musica del Novecento.

— Onda Musicale

Tags: Hammond, John Paul Jones, Hard rock, Led Zeppelin, Jeff Beck, Robert Plant, John Bonham, Jimmy Page, Yardbirds
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