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Phil Manzanera: “David Gilmour e Robert Wyatt sono artisti immensi”

Nella sua sala di regia presso i Gallery Studios di Londra, costruita in un “tradizionale stile britannico” (con il pavimento flottante e i muri separati l’uno dall’altro), Phil Manzanera, chitarrista cofondatore dei Roxy Music nonché́ produttore (citiamo “The Endless River” dei Pink Floyd, “On an Island” e “Rattle That Lock” di David Gilmour, che segue anche in tour), si dedica alla realizzazione di lavori di carattere vario e originale.

Tra questi, un interessante progetto “tutto italiano” a cui Phil Manzanera, con l’aiuto dei suoi collaboratori, ha conferito una moderna impronta internazionale.

Stiamo parlando della Notte della Taranta 2015, storico festival dedicato alla musica tradizionale salentina, che nell’ultima edizione ha visto Manzanera nei panni di “Maestro Concertatore”, chitarrista, nonché́ produttore dell’album “Viva la Taranta”.

Ci racconti il tuo lavoro e la preparazione che è stata necessaria per la Notte della Taranta 2015?

“Partiamo dall’inizio: sono stato contattato dal team di Brian Eno, che mi ha chiesto se fossi interessato a diventare Maestro Concertatore di questo evento. Io non ne avevo mai sentito parlare, non conoscevo la pizzica e non ero mai stato in Puglia, ma nella mia carriera ho sempre ricercato nuove esperienze musicali, specialmente quando queste mi permettono di lavorare con musici- sti di altri paesi. Quindi ho accettato la sfida. Ho assistito alle prove dell’Orchestra Popolare e, quando ho ascoltato sette tamburelli che suonavano insieme, mi sono detto: “Wow! Questo è ritmo!”. Così mi sono interessato al beat della pizzica, oltre che all’utilizzo di strumenti come la mandola, la chitarra battente e le fisarmoniche. Tutto questo alle mie orecchie suonava moderno, familiare, quasi rock.”

In che modo hai inserito le tue influenze all’interno di questo contesto tradizionale, in parte distante dalle tue precedenti esperienze?

“Io sono cresciuto a Cuba, in Venezuela, in Colombia. Molti Italiani si sono recati in Sud America nel corso del diciannovesimo e del ventesimo secolo e credo che abbiano riportato un po’ delle atmosfere di quei luoghi in Puglia. Quindi anche io ho provato ad arricchire il linguaggio inserendo scuole musicali differenti, aggiungendo un po’ di elettronica… volevo realizzare qualcosa che non fosse mai stato fatto prima. Ho svolto molte ricerche, ho ascoltato tutte le precedenti Notti della Taranta, ho studiato la storia della regione. È stato un grandissimo lavoro, durato nove mesi.”

Ci parli delle persone che ti hanno aiutato a raggiungere il risultato finale?

“Il direttore artistico del festival, Sergio Torsello, che purtroppo nel frattempo è venuto a mancare: un uomo splendido che amava molto la musica rock, i Pink Floyd e i Roxy Music, oltre ad essere esperto e appassionato della musica tradizionale del Salento. Mi ha davvero incoraggiato e ispirato in questo lavoro, in particolare mi ha fatto ascoltare le registrazioni riprese sul campo dall’etnomusicologo Alan Lomax nel 1953 in Puglia. Successivamente ho importato queste registrazioni nel mio computer a Londra, utilizzando GarageBand, ho scelto un ritmo adatto e ho provato a suonarci sopra, improvvisando alla ricerca di idee che miscelassero il ritmo della tradizione con nuovi ritmi. Ho usato loop, tentato le cose più folli per essere creativo, dopodiché́ ho spedito alcuni esempi di questo lavoro a Sergio, a Lecce, e lui mi ha incoraggiato a proseguire con gli esperimenti. A quel punto, mi sono reso conto di aver bisogno di un po’ di aiuto extra: è importante sottolineare come ogni sfida sia sempre un grande lavoro di squadra. Così sono entrato in contatto con i musicisti dell’Orchestra Popolare, come Antonio Amato ed Enza Pagliara, con Mauro Durante del CGS (Canzoniere Grecanico Salentino), con il bravissimo Matteo Saggese, che vive a Londra, arrivando passo dopo passo a realizzare qualcosa di cui fossi vera- mente soddisfatto. Quando mi sono recato alle prove, ho provato a tradurre tutto questo con l’orchestra, composta da musicisti fantastici e molto aperti.”

Hai sempre cercato di miscelare differenti stili musicali nella tua carriera: quali sono le cose più significative che hai avuto modo di scoprire?

“Guarda, la scoperta più importante è che esistono davvero tanti bravi musicisti in ogni par- te del globo, non solo in Inghilterra o in America, come magari crede qualcuno. L’intero mondo si è risvegliato, ci sono culture musicali interessanti e artisti dotati di talento ovunque. Puoi anche cantare in una lingua straniera… non importa più̀, è come per la musica strumentale. Quando è nato il rock’n’roll negli anni Cinquanta e poi sono arrivati gli anni Sessanta e Settanta, la gente era interessata solo al rock e al pop, a nessuno importava cosa succedeva negli altri paesi. Adesso invece mi sembra che tutto sia più̀ “democratico”. Molte persone ascolta- no e apprezzano musica di culture differenti, così possiamo goderci i suoni del Salento, della Grecia o del Mali, la musica portoghese.”

Quanto è importante avere coscienza delle proprie radici e della propria storia?

“Penso sia fondamentale: capire il retaggio, conoscere la cultura, la politica, le arti è qualcosa che dovrebbe essere normale per ogni essere umano. Ci appartiene. È soprattutto importante per i giovani: interessarsi ad esempio a come la musica si sia sviluppata nella propria terra e all’estero. Se questo concetto viene presentato in modi interessanti, lo apprezzeranno, perché́ ha un valore eterno. Parte del mio lavoro è stata far arrivare il ritmo ai giovani, e vedo che questi reagiscono e si interessano a livelli differenti. Se invece la storia vie- ne proposta in modi aridi o noiosi, perderanno interesse. Parliamo delle registrazioni della Notte della Taranta 2015. Quali sono i vari aspetti del lavoro che si cela dietro a un evento di queste dimensioni?

Quando mi avvicino a un progetto, lo faccio da “record producer”: voglio sempre registrare tutto e anche questa volta ho fatto così. Per quanto riguarda la strumentazione, ci siamo messi in contatto con Mauri Maggi, ingegnere del suono che si è occupato di alcuni dei più̀ famosi album dal vivo in Italia. Con lui abbiamo valutato la migliore attrezzatura possibile per registrare il concerto: abbiamo allestito una speciale sala di regia all’interno del monastero, lavorando su 128 canali con il sistema Pro Tools, su Mac, con casse Dynaudio e una console DiGiCo SD7. Si è trattato di un set-up complesso, ma devo dire che tutti i tecnici italiani sono assolutamente di primo livello e, fortunatamente, potevo contare sul mio ingegnere Mike Buddy per realizzare il mix dal vivo e per la televisione. Successivamente le registrazioni sono state portate nel mio stu- dio a Londra, dove abbiamo eseguito il mix su una selezione dei brani, che sarebbe poi uscita nel disco “Viva la Taranta”. La versione completa del concerto, durato quattro ore, dovrebbe invece essere pubblicata prossimamente, in una speciale “book edition”. Diciamo che il primo CD rappresenta un assaggio del sapore e delle atmosfere di quella notte.”

Ci dici qualcosa a proposito della microfonazione dei vari elementi durante il concerto?

“C’erano circa quaranta musicisti sul palco: ottenere un suono chiaro, separato di ognuno di loro è stato uno splendido miracolo. Il palco era molto grande, dovevamo posizionare i musicisti e micro- fonare gli strumenti acustici in modo che non ci fossero rientri da parte degli strumenti più rumorosi. Abbiamo fatto anche uso di radiomicrofoni.”

L’album è stato masterizzato da Andy Jackson: puoi chiarire l’importanza del suo lavoro?

“A mio parere, il mastering aggiunge almeno un 10% alla qualità̀ di un mix. È il controllo finale, nel quale si verifica che ogni cosa sia al giusto livello, con la corretta equalizzazione, un’adeguata compressione e che non ci siano grosse differenze tra un brano e l’altro. Si tratta di una parte importante del processo ancora oggi nell’era digitale. Naturalmente è stato fondamentale per quanto riguarda il vinile, ma lo è tuttora con lo streaming e il download.”

Quale strumentazione usi dal vivo nei tuoi progetti personali?

“Suono la mia storica Gibson Firebird VII rossa, (leggi l’articolo) la Fender Stratocaster, una Telecaster del 1951, una Gibson Les Paul del Custom Shop e altre chitarre. Utilizzo un Eleven Rack controllato da una pedaliera e un amplificatore Fender DeVille. Ho un set-up molto semplice e versatile nei miei progetti, lo stesso che ho usato per la Notte della Taranta. L’ho sviluppato l’ultima volta che ho suonato con i Roxy Music, circa cinque anni fa, per il nostro tour mondiale.”

Facciamo un salto indietro: come lavoravi in studio con i Roxy Music?

“A quei tempi, parliamo degli anni Settanta, registravamo in analogico suonando tutti insieme. Abbiamo avuto un produttore molto famoso, Chris Thomas, che aveva collaborato con George Martin e i Beatles. Abbiamo imparato tanto da lui e, naturalmente, ho lavorato parecchio con Brian Eno dopo che ha lasciato i Roxy. Abbiamo sperimentato molto insieme. È così che ho imparato a produrre musica.”

Hai collaborato con un gran numero di musicisti eccellenti: quali sono quelli che ti hanno impressionato di più?

David Gilmour e Robert Wyatt su tutti, artisti immensi che ho sempre amato e apprezzato. Ho anche prodotto diversi progetti pro- venienti da Sud America e Spagna. C’è un posto speciale nel mio cuore per Enrique Bunbury, che faceva parte degli Héroes del Silencio, e per Fito Páez, musicista argentino. Ce ne sarebbero tanti, come Augusto Enriquez… ho avuto anche la possibilità̀ di suonare in un tour con il vostro Pino Daniele, grande artista e ottimo chitarrista.”

Ci parli dell’ultimo album di David Gilmour “Rattle That Lock”, che hai coprodotto?

“Abbiamo speso buona parte degli ultimi quattro anni su quel disco, sviluppando la musica e decidendo poi, a gennaio 2015, di lavorare solo su dieci tracce, lasciando fuori altri venti brani circa. Avevamo tantissimo materiale. Così, mentre preparavo “la Taranta”, mi occupavo anche del disco di David, insieme a Polly Samson, sua moglie e autrice dei testi. È stato un grosso impegno, ripagato ampiamente da come l’album è stato ascoltato.”

— Onda Musicale

Tags: Pink Floyd, On an island, Roxy Music, Rattle that lock, Polly Samson, Brian Eno, Robert Wyatt
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