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I Pooh nel loro tempo migliore: un viaggio tra rock sinfonico e progressivo

Pooh

“Erano anni in cui il nostro mestiere era tutto da inventare, non c’erano punti di riferimento e anche le attrezzature si evolvevano per sperimentazione.” afferma Stefano D’Orazio commentando l’album.

Un po’ del nostro tempo migliore si presenta come un LP troppo difficile per il pubblico dei Pooh, abituato a canzoni pop di rapida presa. Gli arrangiamenti complessi portano ad una strumentazione tipica del Rock Progressivo, affidata a Roby Facchinetti, che arricchisce il proprio “angolo tastiere” con mellotron, clavinet, minimoog, clavicembalo e celesta. L’utilizzo massiccio dell’orchestra, di lunghi pezzi strumentali non favorisce certamente il passaggio radiofonico, che riguarderà solo Mediterraneo e Eleonora, mia madre in versione ridotta. Ma quando i Pooh avevano deciso di capovolgere quei capisaldi che li avevano resi ricchi e famosi, sapevano perfettamente fosse una grande sfida, ma densa di singolare valore musicale. Infatti da molti è considerato l’apice del rock sinfonico. Forse è la musica che le nuove generazioni non conoscono, ma contemporaneamente è motivo d’orgoglio dei veri intenditori, coloro che sanno perfettamente che i Pooh non sono “solo quelli di Piccola Katy.

L’album si apre sulle note di Preludio esattamente come i preludi delle grandi opere liriche, proprio a sottolineare il diverso spessore associato a una nuova maturità artistica. L’influsso di Puccini è evidente per Facchinetti attraverso le note del flauto adagiate su archi gentili che colorano il brano e la melodia che bene esprime l’essenza della cultura italiana. Provate a immaginarla accompagnata dalle immagini dei sogni che vorreste realizzare e sono nel cassetto ormai da tempo, un po’ sbiaditi…

Non è forse la colonna sonora perfetta? La quintessenza della band appare perfettamente in Credo, brano denso di dolce sollievo, leggerezza ma dotato di notevole forza espressiva. 

È cantando questo pezzo che ho iniziato a sentirmi davvero un cantante. Fino a quel momento, un po’ per timidezza, un po’ perché in effetti ritenevo più gratificante suonare il piano o le tastiere, davo scarso rilievo alla voce. Da quel momento in poi invece ho cominciato a ritenere questo “strumento” importante quanto una chitarra o un pianoforte.“ si confida Roby. 

Una storia che fa ridere si apre con un cantato di Battaglia accompagnato solo dall’eco della sua voce. Evoca da subito un’atmosfera molto intima e riflessiva: descrive infatti la fine di un rapporto tra due uomini a causa della donna che si innamora del migliore amico di lui. Colpo di scena nel riscatto finale “Via di qui / per favore, via / aprirò / le finestre e poi/se mi viene / io ne riderò”.

Poi, all’improvviso, uno dei momenti salienti dell’album: Oceano.

È lo sguardo dell’uomo verso l’immensità: un uomo solitario che naviga lontano da casa e assapora il significato autentico della vastità del mare e dei suoi orizzonti infiniti. Il clavicembalo appare per la prima volta regalando un’essenza di libertà. Le voci intense di Facchinetti e Battaglia distese su commoventi melodie classicheggianti dispiegano stati d’animo mutevoli, tra sorprendenti uptempo dal retrogusto liricoe straordinari virtuosismi di Dodi Battaglia. Sognante l’arpeggio completamente acustico dal sapore ricercato di Fantasia, in cuil’allegra e leggera melodia fa da sottofondo ad un testo amarissimo: racconta di una ragazza che cerca di evadere nei suoi sogni. Poi però apre gli occhi e riscopre la sua triste realtà.

Il lato B dell’LP inizia con Mediterraneo, un altro strumentale dal profumo d’origano in cui il tema viene reiterato all’infinito – ricordando il tipico stile barocco. Si susseguono vari strumenti: lo xilofono di D’Orazio, mentre Dodi Battaglia suona una chitarra acustica 12-corde, la steel guitar e il mandolino.

È nato come brano strumentale composto da me e Roby” racconta Dodi “Per comporre la prima parte usai la prima dodici corde che mi sono comprato. Quando scoppiò il successo di Tanta voglia di lei, la nostra casa discografica guadagnò tanti soldi che decise di farci un regalo: ci dissero di andare in un negozio di strumenti musicali e di comprarcene uno a testa. Quella che acquistai, poi l’avrei utilizzata per incidere Pensiero e Mediterraneo. In quel periodo imperversava la musica strumentale di Mike Oldfield e Mediterraneo è figlia di Tubular Bells: con i suoi crescendo, ritengo che sia un pezzo pregevole.” 

Il tutto egregiamente accompagnato e supportato dall’Orchestra Sinfonica della RAI di Milano composta da 44 elementi. Fu proprio la Rai nel 1975 a commissionare lo special – omonimo dell’album – girato tra Sperlonga e Roma sotto la regia di Carlo Tuzii e la sceneggiatura di Carla Vistarini.  Eleonora mia madre è un ritratto del decadentismo dal gusto retrò che oltre a stregare tutti i componenti del gruppo compreso il produttore Lucariello, probabilmente sarebbe piaciuto anche ai grandi della fine del XIX secolo – Oscar Wilde per esempio.

Memoria di tempi tranquilli e sprecati, colati fra le dita come uova per fare la torta, pettinati lentamente su spiagge di secchielli e fotoromanzi, ripiegati negli armadi stagione per stagione, sempre più in fondo” per utilizzare le parole di Valerio Negrini, che stavolta non è paroliere. Infatti, è il primo testo prodotto dal batterista Stefano D’Orazio.

Stefano ha scritto davvero un testo straordinario: dopo averlo letto, capii che poteva diventare importante per noi come autore, una validissima alternativa a Valerio” racconta in un intervista Roby Facchinetti. Il brano narra di una ragazza madre che pur di avere suo figlio rinuncia sia alla giovinezza che alla sua vita, scegliendo di crescerlo da sola e dedicandogli tutta se stessa. Stupendo l’interscambio della ballata triste e classica con la parte cantata, che risulta quasi ossessivo ma allo stesso tempo delicato. Non sembra anche a voi di vedere Eleonora che apre un vecchio baule in soffitta e tirando fuori un abito sgualcito di quando era giovane fa cadere un carillon che si apre e inizia a suonare? Dolcemente, con l’abito appoggiato addosso, comincia a oscillare cullata dalle nostalgiche note del valzer che si fanno sempre più veloci e intense, in sintonia con i suoi movimenti. La musica sfuma pian piano e quando finisce, lei si ferma di colpo: guardandosi allo specchio riesce a mettere a fuoco soltanto le sue rughe.

L’ottava traccia, 1966, allude senz’altro all’esordio discografico del gruppo. Qui ritroviamo il clavicembalo in un solo verso la fine del brano, che si inserisce perfettamente nella cornice degli altri strumenti, come il moog o il mellotron e sublimi assoli di chitarra. Fermi alla stazione, attendiamo l’Orient Express per andare lontano, fino all’Asia, perché  “C’è in quella terra una luce in più” che illuminerà dolcemente i nostri sogni romantici ad occhi aperti. Per rimanere in tema onirico, a conclusione dell’album la sorprendente suite Il tempo, una donna, la città. 

Quando lessi per la prima volta il testo scritto da Valerio, gli domandai se era impazzito: per me erano parole assolutamente incomprensibili. Lui mi spiegò che era il racconto di un sogno. Questa è la suite più lunga e complessa che io abbia mai scritto, ci sono ben 9 temi diversi e racchiude tutte le sfaccettature dei Pooh: strumentali, acustiche, corali, vocali, sinfoniche. Per me ogni volta che nasce una canzone è come se si compisse un piccolo miracolo. Tutto parte dall’istintività, poi piano piano si materializza qualcosa” racconta Facchinetti che supera se stesso per la composizione sublime.

Continue variazioni stilistiche e strumentali si alternano tra momenti acustici profondamente intimi, imponenti melodie leggendarie e la massima espressività della chitarra elettrica quando su0na le stesse note cantate da Red Canzian. Così, i dieci minuti scorrono velocissimi trasportandoci nell’incanto del sogno raccontato. Le note creano una connessione con un tempo surreale in cui Negrini incontra la madre, in un crescendo di atmosfere e di attese nasce la speranza di incontrarla di nuovo, magari un domani. Un brano epico cantato a tre voci in cui il testo enigmatico è pura poesia e ricorda la potenza espressiva della suite dell’album precedente, Parsifal.

La chiusura finale lascia aperte infinite ipotesi legate al tempo del risveglionello spazio della coda strumentale di oltre due minuti, in cui un coro si unisce all’ensemble orchestrale 

L’aria si chiude al silenzio e poi / S’alza la polvere intorno a noi / Io chiudo gli occhi li riapro e…”

  Maria Laura Toncli 

— Onda Musicale

Tags: Pooh
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