In primo pianoMusica

Ritchie Blackmore, storia di una leggenda della chitarra rock

Ritchie Blackmore negli anni 70

Ritchie Blackmore è oggi un signore che ha superato la settantina e che gira il mondo suonando musica folk. Con lui Candice Night, una bionda cantante che pare uscita da qualche film fantasy. Sembra quasi incredibile pensare che si tratti dello stesso Ritchie Blackmore che incendiava i palchi degli anni Settanta col granitico hard rock dei Deep Purple.

Nato a Weston-super-Mare, nel Somerset, il 14 aprile del 1945, Ritchie Blackmore è uno dei tanti figli della Seconda Guerra Mondiale destinati a cambiare la storia della musica. Inizia a suonare la chitarra a undici anni, passando tre anni dopo all’elettrica. A tredici suona già in una band, la prima di una serie quasi infinita, specie prima di fondare i Deep Purple.

Quando la famiglia si trasferisce a Heston, i Blackmore hanno come vicino di casa Big Jim Sullivan, un bravissimo chitarrista di studio. Ritchie perfeziona il suo background stilistico e tecnico con Big Jim; anche se gli inizi sono stentati e all’insegna dello skiffle, allora diffusissimo, il giovane Blackmore ha talento e stoffa da vendere.

Nella sua prima band, i 2 I’s Junior Skiffle Group, i chitarristi abbondano. Sembra paradossale, ma Ritchie è ritenuto il meno capace e lo mettono a suonare il washboard. È solo questione di tempo e Ritchie Blackmore farà ricredere tutti. Assimilato il rock’n’roll di Scotty Moore e James Burton, ma anche il jazz di Django Reinhardt e Wes Montgomery, Ritchie inizia a sintetizzare un proprio stile particolare.

Siamo negli anni Sessanta della rutilante Swingin’ London e della creatività al potere, e Blackmore passa la prima metà a cambiare un numero imprecisato di gruppi.

Mike Dee & the Jaywalkers, poi Screaming Lord Sutch & the Savages al posto di Bernie Watson, il primo chitarrista di John Mayall; gli Outlaws e Neil Christian & The Crusaders. Sono tutte band da cui Ritchie fa dentro e fuori in modo vorticoso, a testimonianza forse già di un carattere discontinuo e bizzoso.

Vive mille esperienze, tour ad Amburgo e in Italia, ma non pare trovare mai il gruppo giusto. Per un po’ rimane in Italia dove, tra contratti saltati e serate improvvisate, a un certo punto si trova a suonare nella backing band di Riki Maiocchi, ex dei Camaleonti. L’esperienza italiana rimane ancora oggi nebulosa; chi dice che suonò solo una volta, chi per qualche mese. Ritchie ricorda tre settimane.

La band con cui suona in Italia diventerà un apprezzato gruppo prog, The Trip; Ritchie, però è già ripartito di corsa per l’Inghilterra. Deve occuparsi del divorzio dalla prima moglie. Siamo all’inverno del 1967 e finalmente l’ingranaggio che porterà alla nascita dei Deep Purple si mette in movimento; Chris Curtis, ex batterista dei Searchers, una delle tante band con cui ha collaborato, lo vuole per il suo nuovo progetto, i Roundabout.

Peccato che Curtis abbia gravi problemi psichici, tanto da dover abbandonare la musica. Il progetto Roundabout va però avanti; col tastierista Jon Lord, Ritchie si mette alla ricerca di nuovi musicisti ed è fatta. Cambiato il nome in Deep Purple – da una canzone che la nonna amava – nasce finalmente la band che gli cambierà la vita.

La prima formazione, oltre a Blackmore e Lord, vede Rod Evans alla voce, Ian Paice alla batteria e Nick Simper al basso. La musica inizialmente prende direzioni un po’ confuse; il pop progressivo dei Vanilla Fudge, la psichedelia e il nascente prog dei King Crimson sono tra le ispirazioni.

Anche le sonorità dei Beatles fanno però capolino. Il risultato è un primo album, Shades of Deep Purple, pieno di intuizioni e potenzialità ma ben lontano dalla futura cifra stilistica. Trainato dal singolo Hush, il lavoro vende bene negli Stati Uniti, che diventano inizialmente patria d’adozione del complesso.

Gli album successivi, approntati in fretta per accontentare il pubblico americano, sono di qualità altalenante; vanno però affinandosi i duetti tra la chitarra di Blackmore e l’organo di Jon Lord. Tutti e due appassionati di musica classica, mostrano grande affiatamento e iniziano a mettere a punto dei veri e propri duelli strumentali, futuro marchio di fabbrica dei Deep Purple.

Lo stile chitarristico di Ritchie Blackmore si differenzia molto dai Guitar Hero coevi. La tecnica è cristallina, la velocità anticipa quella dell’heavy metal, genere molto influenzato dal chitarrismo di Blackmore. Le divagazioni classicheggianti, l’uso smodato della leva del vibrato, la presenza scenica e la ridotta dipendenza dalle scale blues allora imperanti sono le caratteristiche distintive del musicista.

La svolta arriva però con l’entrata in organico del cantante Ian Gillan e del bassista Roger Glover; i due provengono dagli Episode Six e sostituiscono Evans e Simper. La voce di Rod non aveva mai convinto del tutto Blackmore, troppo incline al soul per il rock duro verso cui vorrebbe portare la band. Gillan, tuttavia, ha un carattere istrionico e carismatico che presto andrà a cozzare con quello dispotico di Ritchie.

Il risultato iniziale è comunque esplosivo. In Rock codifica le regole dell’hard rock, come e più degli album contemporanei di Led Zeppelin e Black Sabbath, ancora debitori al rock blues. La vocalità tirata allo spasimo e la presenza scenica dirompente di Gillan, abbinate ai feroci duelli chitarra-organo di Blackmore e Lord, rivoluzionano il mondo del rock.

Dopo Fireball, sperimentale e meno convincente, la band piazza due tra i dischi più importanti della storia del rock: il granitico Machine Head e Made in Japan, per molti il miglior live di sempre. A questo punto il gruppo è all’apice del successo, ma le tensioni dovute agli infiniti tour e alla forzata convivenza si fanno insopportabili.

Le liti tra Blackmore e Gillan sono all’ordine del giorno, per i motivi più futili. La corda si spezza e Gillan se ne va, trascinandosi dietro anche Glover. Il cantante – a proposito del periodo – dirà che se solo la band avesse avuto la possibilità di respirare un po’ di più, lo scisma si sarebbe potuto scongiurare.

Quando tutto pare perduto e i Deep Purple paiono condannati allo scioglimento, il colpo di scena; l’arrivo di non uno, ma ben due cantanti al posto di Gillan, risolleva le sorti della creatura di Blackmore.

David Coverdale è un giovane vocalist dalla lunga criniera, una voce ruggente e la presenza scenica del frontman; Glenn Hughes un abile bassista che sfoggia anche un’ugola d’oro.

Burn e Stormbringer sono due ottimi lavori, eppure Blackmore, che pensava di aver ripreso il controllo totale del gruppo, è deluso. La virata verso il funk, imposta dai nuovi arrivi e da un mercato che inizia a perdere qualche colpo, è la goccia che fa traboccare il vaso. Ritchie – confermando una volta di più un carattere non proprio accomodante – pianta tutto e se ne va. La sua nuova creatura sono i Rainbow, una band di hard rock con influenze fantasy nei testi e classicheggianti nella musica. La formazione è presa di peso dagli Elf e Ronnie James Dio è il carismatico cantante; tanto carismatico che presto inizierà a fargli ombra.

I Rainbow, come i cugini Deep Purple, cambiano un’infinità di formazioni, sempre con Ritchie Blackmore nelle vesti di gran burattinaio. La sua tecnica, fatta di shredding e virtuosismi vari, riluce, eppure Ritchie non trova pace. Dieci anni dopo la diaspora, i Deep Purple tornano insieme. Ad appianare le liti tra Gillan e Blackmore arriva un corposo assegno della casa discografica.

Anche stavolta però i caratteri dei due prendono il sopravvento; la nuova collaborazione dura quattro anni, prima Gillan lascia, poi rientra e allora è Blackmore a fare di nuovo le valigie.

Riforma i Rainbow ma dura poco: l’arrivo nella sua vita di Candice Night pare finalmente portare quell’equilibrio che era sempre mancato.

Con un ricercato – si fa per dire – gioco di parole, i due formano i Blackmore’s Night, una band che rivoluziona lo stile del chitarrista. Un folk fiabesco, non certo complesso ma di grande impatto, con Ritchie Blackmore impegnato più con strumenti medievali che con la fedele Stratocaster. Eppure, il successo è grande e stabile, tanto che la formazione va avanti da ormai una ventina d’anni; un vero record per Ritchie.

Certo, i fan dei Deep Purple, di Highway Star e delle sue paurose evoluzioni alla chitarra elettrica, storcono un po’ il naso. Ritchie Blackmore, però, nella sua fuga d’amore medievale, pare aver finalmente trovato quella serenità invano inseguita per una vita.

Meglio così.

— Onda Musicale

Tags: Deep Purple, Ritchie Blackmore, Hard rock
Sponsorizzato
Leggi anche
Paul McCartney: il 14 maggio uscirà la ristampa di ”Ram”, suo secondo disco solista
Rising Time Label presenta Antheo