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Franco Battiato e gli anni ’70, un pioniere del rock progressivo

Franco Battiato nei primi anni 70

La perdita di Franco Battiato è sicuramente un trauma per tutto il mondo della musica. La figura dell’artista siciliano – prima del ritiro dalle scene – era stata ormai ben assimilata dal mainstream e dal grande pubblica; si tratta della figura di un cantautore, certo, ma anche di un vero e proprio intellettuale.

La fama della maturità, però, ha spesso messo in secondo piano gli inizi di Battiato, all’insegna della provocazione e dell’avanguardia più pura. Come Bob Dylan al di là dell’oceano, Franco Battiato è sempre fuggito dal successo facile e a tutti i costi; spesso, come il premio Nobel di Duluth, ha intrapreso grandi cambiamenti proprio quando sembrava aver trovato la formula giusta del successo.

Franco Battiato era nato il 23 marzo del 1945 a Ionia, cittadina che proprio quell’anno avrebbe cambiato nome; oggi si chiama Riposto. Battiato si sposta presto a Roma, poi a Milano.

Milano allora era una città di nebbia, e mi sono trovato benissimo. Mettevo a frutto la mia poca conoscenza della chitarra in un cabaret, il Club 64, dove c’erano Paolo Poli, Enzo Jannacci, Lino Toffolo, Renato Pozzetto e Bruno Lauzi. Io aprivo lo spettacolo con due o tre canzoni siciliane: musica pseudo-barocca, finto-etnica. Nel pubblico c’era Giorgio Gaber che mi disse: Vienimi a trovare. Il giorno dopo andai. Diventammo amici.

Franco Battiato

Per gli appassionati cultori del Battiato fine intellettuale e cesellatore di citazioni filosofiche, gli inizi sono difficili da immaginare. La sua vicenda discografica inizia nel 1967. In Italia siamo in pieno beat, negli USA già si vive la Summer of love. Con Giorgio Gaber alla produzione Franco Battiato viene inizialmente proposto come cantautore di protesta. La Torre, Le Reazioni, Il Mondo va così e Triste come me sono i singoli di debutto.

Nel 1968, mentre esplodono le contestazioni giovanili, Battiato passa alla Philips e si vota al pop romantico. È l’amore gli dà un primo, effimero successo: vende 100mila copie.

La musica di questo periodo può sembrare datata, ma quei pezzi sfoggiano già i prodromi del Battiato futuro. Le melodie limpide, i richiami alla musica classica e la sua caratteristica voce appaiono già riconoscibili. Si può anzi intuire qualcosa del Battiato della svolta pop più qui che nel periodo di sperimentatore.

Quando il successo pare arridergli, Franco Battiato cambia però completamente scenario. Siamo agli inizi degli anni Settanta e il superamento del beat sta avvenendo in senso progressivo. In ritardo di due o tre anni sulla Gran Bretagna, il fenomeno del rock progressivo sta per esplodere anche in Italia.

Battiato, che da poco ha adottato il nome di Franco in luogo di Francesco, vi si tuffa con entusiasmo. Le prime tracce del suo periodo prog sono nella militanza negli Osage Tribe, complesso che contribuisce a fondare.

Quando la band pubblica il primo lavoro, Franco li ha già lasciati. Rimane traccia del suo passaggio in Un Falco nel Cielo e come autore di Hajenhanhowa.

Dello stesso periodo è la collaborazione coi Capsicum Red, estemporaneo complesso prog noto per essere stato guidato dal futuro Pooh Red Canzian.

Arriviamo così al gennaio del 1972 e a Fetus, album che illumina il cielo del pop italiano come il caratteristico fulmine a ciel sereno. Battiato è tra i primi in Italia a farsi affascinare dal VCS 3, strumento pioniere tra i sintetizzatori portatili. Il VCS 3, inventato nel 1969, è già utilizzato da alcuni gruppi prog, ma in Italia è ancora pressoché sconosciuto. Negli anni diventerà patrimonio di Pink Floyd, Kraftwerk, Tangerine Dream e tanti altri.

Nel nostro paese – oltre a Battiato – è stato utilizzato da Piero Umiliani, grande compositore di colonne sonore. Fetus viene registrato anche in versione internazionale, con testi in inglese e intitolato Foetus; uscirà solo nel 1999. La copertina, frutto del lavoro dell’estro di Gianni Sassi, è scioccante, tanto che molti negozianti si rifiutano di esporla in vetrina.

L’album è una sorta di concept distopico, basato su Il Mondo Nuovo di Huxley e su alcuni scritti di Paramahansa Yogananda. Musicalmente il disco è all’avanguardia, ma anche astutamente orecchiabile; introdotto dal battito del cuore, è un disco molto importante nell’ambito dell’uso dell’elettronica nel rock. L’iniziale Fetus è caratterizzata dall’uso massiccio del sintetizzatore, un qualcosa di assolutamente innovativo al tempo.

Una Cellula, il brano successivo, mischia una melodia e un andamento facilmente digeribili a un testo poeticamente scientifico; Cariocinesi è un piccolo capolavoro, a cavallo tra staccati blues e il violino quasi da gypsy-jazz di Sergio Almangano. Il tutto sempre condito da un testo che pare preso da un libro di scienze delle medie; c’è sicuramente di che scioccare le orecchie piuttosto naif dei fan del rock dell’epoca.

Il disco si divide tra sperimentazione pura e furbi ganci melodici che lo rendono fruibile. Rispetto a quello che Battiato sta preparando, Fetus è quasi un disco facile.

Nello stesso periodo, del tutto fuori contesto, esce un singolo che offre l’ennesimo volto di Battiato: La convenzione/Paranoia. Sono due brani dal sapore rock,al limte del rock-blues nel secondo, e testi surreali e corrosivi che prendono le distanze da certe smanie underground.

Con Pollution il Maestro siciliano osa ancora di più dal punto di vita della sperimentazione. Pollution è un ulteriore passo avanti in senso progressivo; il suono è ancora dominato dai VCS 3, stavolta suonati da Battiato stesso e da Roberto Cacciapaglia. Un piccolo capolavoro come Plancton conserva ancora una struttura di forma canzone, ma il resto è fatto di lunghe cavalcate di prog elettronico.

Plancton è posta strategicamente tra Beta e Pollution, due lunghi brani di puro prog elettronico di sedici minuti complessivi. Battiato è avanti anche nella scelta dei temi, privilegiando un ecologismo che lo accompagnerà sempre; la copertina, di nuovo di Sassi, pare proprio alludere alla devastazione dell’ambiente.

In questo periodo anche le collaborazioni si susseguono e i suoi live fanno sempre parlare per la sua stramba ma inimitabile presenza scenica. La Finestra Dentro, con l’amico di sempre Juri Camisasca, è un altro piccolo capolavoro nascosto del prog. Un folk progressivo dai testi surreali ancora oggi di forte impatto. Un lavoro che peraltro cementa il rapporto rapporto con Camisasca, artista con cui condividerà spesso importanti passaggi di crescita spirituale.

Lo stesso anno di Pollution, il 1973, esce anche Sulle Corde di Aries, ultimo vero album prog, forse il più riuscito. Più strutturato dei precedenti, abbandona del tutto la struttura pop. La forma canzone degli album precedenti, pur vestita e trattata in modo raffinato, viene totalmente superata.

Sequenze e Frequenze, il brano iniziale, occupa un’intera facciata; i sassofoni di Gianni Bedori e Daniele Cavallanti, uniti alle percussioni indiavolate di Gianfranco D’Adda, creano grande suggestione. Un tocco di mistero e suggestione è dato dalle voci femminili di Jutta Nienhaus, degli Analogy, e di Rosella Conz.

Spesso affiora il tema della nostalgia e del ricordo del passato, cifra tipica del Battiato successivo; quello più celebre. Siamo di fronte allo stesso tempo al massimo esito del Franco Battiato progressivo e al suo saluto al genere.

Dal successivo Clic il cantautore siciliano si sposta sempre di più verso la musica contemporanea, di difficile fruibilità.

Da Clic viene estratta e utilizzata come sigla del Tg2 Dossier Propiedad prohibida, che gode di grande notorietà. Nel 1975 con M. elle Gladiator Battiato lascia l’etichetta Bla Bla e qualsiasi influenza progressive. Con la Ricordi pubblica tre album di musica contemporanea: Battiato, Juke-Box e L’Egitto prima delle sabbie.

Proprio quando la musica contemporanea sembra l’unico percorso possibile per Franco Battiato, l’ennesima svolta. L’incontro con Giusto Pio prima, e con Angelo Carrara poi, favoriscono il ritorno del siciliano in terreni più pop e commerciali.

L’era del cinghiale bianco ne è il primo esito, nel 1979. Rinasce allora il Franco Battiato autore di grandi hit; il genio pop che riesce a unire melodie di facile presa con testi filosofici e di grande suggestione. Un Franco Battiato che merita sicuramente una trattazione a parte.

Un’altra storia e una seconda vita non meno interessante ed esaltante della prima, di sicuro di grande successo.

— Onda Musicale

Tags: Franco Battiato, Bob Dylan
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