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Intervista a Peter Kvint, il produttore delle star più ricercato del momento

Peter Kvint
Peter Kvint è uno dei produttori e cantautori più ricercati del momento. Ha scritto e prodotto hit internazionali, scalando le classifiche mondiali. La sua forza è nella ricercatezza delle linee melodiche e delle armonie, ma anche per aver scritto brani dal testo intenso.

Sven Peter Kvint nasce il 17 giugno 1965 a Karlstad (Svezia). Suo padre era un dentista e la madre Kerstin è un’agente letteraria ed è stata la segretaria di Astrid Lindgren (nota al pubblico italiano e internazionale come l’autrice dei romanzi con protagonista “Pippi Calzelunghe”).

Ha imparato a suonare diversi strumenti musicali fin dall’infanzia, ma Peter Kvint nasce come chitarrista. Il suo interesse per la musica nasce con l’amore per artisti come David Bowie e band come Sparks and T Rex. Ha cominciato a suonare e scrivere con la sua prima band, Farbror Blå, pubblicando due album prima dello scioglimento. La sua seconda band è stato il trio pop Melony, dove Kvint era il frontman, autore e chitarrista.

Le collaborazioni internazionali

Kvint comincia a collaborare con Andreas Johnson molto prima di siglare la hit internazionale “Glorious”. La sua produzione “epica” e pomposa è stata indicativa della sua capacità di creare paesaggi sonori imponenti che restituiscono le sfumature tipiche di una distintiva malinconia scandinava, combinata alla potenza e al fascino del glam rock degli anni ’70.

Andreas Johnson – Glorious

Dopo aver percorso l’Europa in tour, si rende conto di preferire una certa stabilità, concentrandosi sulla scrittura e la produzione: «è stato quasi un sollievo rendermi conto di non dover più andare on the road per la promozione e che in realtà ero ugualmente creativo trascorrendo il mio tempo in studio, a scrivere canzoni e produrre».

Da quando si è dedicato – negli anni 2000 – alla scrittura e produzione, Kvint ha prodotto e scritto brani per Britney Spears e Heather Nova, il cantante country-rock Trace Adkin, gli a-ha e il suo frontman Morten Harket, il duo giapponese Chemistry e il duo al femminile Puffy, la star latina Erik Rubin, i glamster The Ark. Nel 2021 contribuisce al ritorno con successo di Eagle Eye Cherry con il quale aveva già collaborato e scopre talenti come GRANT, Cajsa Stina Åkerström e Albin Lee Meldau.

Il metodo di lavoro

Kvint si sente ugualmente a proprio agio sia con un certo tipo di “canzoni pop epiche” e brani dalle melodie classiche, blues o soul: «Il rovescio della medaglia di lavorare come autore e produttore è che a volte devi muoverti al di fuori dalla tua comfort zone, lavorando con generi con i quali normalmente non sei associato. Questo significa anche che non smetti mai di sviluppare le tue capacità.»

Il suo tono di voce pacato, ma allo stesso tempo il suo approccio determinato e confidente lo rende un perfetto collaboratore per gli artisti che lo chiamano. Il suo Studio Brun si trova nel cuore di uno dei quartieri più trendy di Stoccolma, Södermalm. Con i suoi strumenti vintage e le attrezzature, Studio Brun è diventato per molti artisti la loro seconda casa.

Intervista esclusiva a Peter Kvint

Partiamo subito con una domanda sul “futuro”: ci sono nuovi progetti all’orizzonte? Vedo che è stato appena pubblicato “Fire in my eyes”, scritto e co-prodotto da te.

“Ho un paio di progetti davvero entusiasmanti in arrivo. In questo momento stiamo finendo il secondo album con GRANT, per il quale ho co-scritto e prodotto la maggior parte delle canzoni. L’uscita del primo singolo è prevista per l’inizio dell’autunno. Mi sento emotivamente molto legato al progetto, poiché l’ho “scoperta” io e l’ho aiutata a esplorare quale tipo di canzoni le andavano bene. Abbiamo scoperto che entrambi avevamo un debole per i vecchi dischi triphop (Portishead, Massive Attack, Tricky ecc.) e i gruppi femminili degli anni ’60 (Shangri-Las, Ronettes ecc.). Il primo album ha avuto un discreto successo qui in Svezia ed è stata nominata come “Best newcomer” ai Grammy Awards. Sto anche scrivendo e producendo un album di Natale con il mio vecchio idolo Björn Skifs. Sono cresciuto con la sua musica negli anni ’70 e ho sempre amato la sua voce: è semplicemente un cantante “blue-eyed soul” di classe mondiale!

Sto anche scrivendo e producendo un’EP di Natale con John Lundvik, un altro cantante straordinario. Ha vinto il concorso svedese per partecipare all’ESC (European song Contest) nel 2019. (Un sacco di musica natalizia, quindi sono di umore natalizio per tutta l’estate. 🙂 Ultimamente ho scritto molto con la vincitrice dell’ESC Loreen e stiamo preparando un paio di canzoni per l’uscita dei singoli questo autunno. Davvero emozionante sentirla cantare in svedese.

Sto anche finendo un’EP con Albin Lee Meldau. Come puoi notare, sto lavorando molto con grandi voci. Le voci sono ciò che mi fa andare avanti e mi tiene ispirato.

GRANT – Vertigo

La discografia ha subito incredibili cambiamenti negli ultimi decenni. Quanto è difficile lavorare nell’era digitale? Forse è tecnicamente più semplice ma è sempre più difficile tradurre un “download digitale” in un vero guadagno, mentre d’altra parte stanno tornando i vinili e le cassette musicali e sembra tornare un modo più artigianale di fare musica, cosa sta accadendo?

L’era digitale è molto diversa dall’era del vinile/CD. È molto più orientata al singolo e influenza in una certa misura il mio lavoro. Di solito lavoravo con un artista su un album e ci volevano, forse, tre mesi. Al giorno d’oggi devo lavorare con molti progetti diversi, con artisti diversi, allo stesso tempo. Preferisco i progetti a lungo termine, ma può anche essere molto divertente lavorare con cinque artisti diversi nella stessa settimana. Non ci si annoia mai! Economicamente, il mondo digitale è impegnativo. Nell’era dei CD, alcuni miei amici potevano avere un paio di pezzi forti in un album, con grandi artisti, in un solo anno e guadagnarci bene. Al giorno d’oggi DEVI avere il singolo. Sono stato benedetto con un sacco di airplay – è lì che guadagno di più – ma c’è molto da fare per i ricavi dello streaming. Le etichette discografiche guadagnano bene con lo streaming – principalmente con la musica da catalogo – e secondo me gli autori dovrebbero guadagnare di più. Gli autori non possono fare tournée e guadagnare soldi come gli artisti. In un certo senso, questo limita le possibilità di guadagnarsi da vivere per la prossima generazione di cantautori.

Durante la pandemia, tu – come molti altri musicisti – hai cominciato a condividere “video fatti in casa” delle tue esibizioni dal vivo. La pandemia ha amplificato le possibilità di “smart working” anche all’interno del ramo musicale almeno nelle fasi preliminari – a volte solitarie – di scrittura, registrazione, missaggio e così via, ma tu sei un abile chitarrista e anche un performer e immagino che l’aspetto “live” del business e i concerti sono ancora il lato più vitale del fare musica.

Un’esibizione dal vivo è il momento in cui metti alla prova e “assaggi” le vibrazioni e l’apprezzamento del pubblico. Come produttore e performer tu stesso, come vedi il futuro dei concerti e delle esibizioni dal vivo? Un “mi piace” sullo schermo sostituirà mai l’emozione del cantare insieme, il sudore nell’aria, il calore di una stretta di mano?

Grazie! Non mi considero davvero un artista, ma se lo dici tu… Si è parlato molto qui in Svezia sulla sostituzione della musica dal vivo con la musica dal vivo in streaming digitale, ma a giudicare da come stanno le cose in questo momento sembra che le persone desiderino davvero andare ai concerti. Tutti gli artisti con cui lavoro hanno molti concerti in programma per quest’estate e per l’autunno, probabilmente di più e con un pubblico più vasto rispetto a prima della pandemia. Dal punto di vista dell’artista è un’esperienza completamente diversa non avere un pubblico con cui relazionarsi quando si suonano concerti in streaming. Non c’è niente come il “brivido” che si prova quando c’è una folla in attesa di fronte a te. Mi è mancato MOLTO andare ai concerti e suonare ai concerti durante la pandemia.

Eagle Eye Cherry – I like it il nuovo singolo uscito in anteprima il 10 giugno 2021

Hai dichiarato che una delle tue ambizioni future è scrivere canzoni che resistano alla prova del tempo, evergreen come Gershwin o Bacharach. Con successi come “Glorious” di Andreas Johnson o “Calleth You, Cometh I” di The Ark personalmente penso che tu sia sulla strada giusta. Ma preferisci resistere alla prova del tempo con un evergreen firmato Peter Kvint 100% (cantante, compositore e produttore)? Ovviamente è una provocazione…

“Ci provo sempre a creare qualcosa senza tempo, sia quando si tratta di scrivere che di produrre. Ciò significa che cerco di evitare di seguire le tendenze. A volte è più difficile – amo la musica e i suoni degli anni ’80 e non posso fare a meno di trovare eccitante l’attuale tendenza di produzione degli anni ’80 (canzoni come “Blinding Lights” di The Weeknd e “Higher power” dei Coldplay). Ho lavorato con gli a-ha che hanno creato questo suono! La tendenza alla produzione EDM (Electronic Dance Music n.d.a.) di un paio di anni fa, invece, cerco di evitarla il più possibile. In questo momento sto lavorando a un secondo album solista, e chi lo sa? Forse ci sono una o due canzoni classiche lì dentro? 🙂

Singing every song for you – Album “Still Life” 2018

Quando lavori su una traccia, percepisci che sarà un successo? Hai la tua ricetta personale mentre “mescoli” letteralmente gli ingredienti e crei una magia perché sembra che non perdi mai una…hit!

Non mi considero davvero un grande autore pop commerciale – ci sono altre persone che sono molto più brave in questo – ma sono un fanatico delle grandi canzoni, che siano, diciamo, un tipo di canzone alla “American Songbook” (Gershwin, Berlin, Bucharach ecc.), o una canzone heavy metal (“Run to the hills” con gli Iron Maiden), una canzone pop (Beatles “Penny Lane”) o una tipica “Americana” (“After midnight” con JJ Cale). Le grandi canzoni mi stimolano e mi fanno venire voglia di creare qualcosa di altrettanto grandioso. Cerco sempre di concentrarmi su melodie, armonie e testi. Ecco dov’è il mio cuore. Non sono proprio un “beat maker”, ma a volte nelle sessioni finisco in quel ruolo, che è altrettanto interessante.

Hai lavorato sia come co-autore e/o produttore con artisti internazionali: solo per citarne alcuni ricordiamo Britney Spears, Natasha Bedingfield, Trace Adkin, Heather Nova, Bachelor Girl, a-ha e il suo cantante Morten Harket, Eagle Eye Cherry e molti altri. C’è ancora un musicista oggi con cui ti piacerebbe collaborare?

“Se lavoro con qualcuno, mi piace sentire che posso davvero contribuire. A volte le persone mi chiedono di lavorare con qualcuno di cui ammiro davvero il lavoro, ma se sento di non poter contribuire non serve. Se James Blake chiamasse (cosa che non accadrà mai) sarei davvero confuso. Mi piacerebbe lavorare con lui, ma penso che sia così brillante da solo! Avrei quasi paura di incasinare le cose. Detto questo, penso che i progetti più entusiasmanti siano quelli in cui posso esserci fin dall’inizio e avere un ruolo formativo. Con GRANT abbiamo creato qualcosa dall’inizio, e lo stesso vale per i progetti svedesi di Albin Lee Meldau. Le canzoni che scriviamo ora con Loreen sono uniche – non credo di aver sentito niente di simile in svedese. (Penso che Lana del Rey sia fantastica e se chiamasse non direi di no!)”

Forest fire – a-ha dall’album “Cast in steel” – 2015

Ogni produttore ha il suo “marchio sonoro”, penso a Tony Visconti che può essere definito il vero guru del Glam rock grazie alla collaborazione con David Bowie o Don Kirshner, “l’uomo dall’orecchio d’oro”. Il modo in cui usi gli archi nell’arrangiamento di una canzone è incredibile, quindi come definiresti il ​​tuo panorama musicale, qual è il tuo “marchio di fabbrica”, quello per cui vorresti essere riconosciuto e che può far dire a tutti “Oh, questo è davvero Peter Kvint!”?

“La gente continua a dirmi che c’è un tipo di suono à la “Peter Kvint”, sia nella mia scrittura che nella mia produzione, ma giuro su Dio – non so cosa sia! Se mi torci il braccio, forse ho qualche ipotesi… mi piacciono le dinamiche, sia nella composizione che nella produzione, ed essendo un vecchio glam rocker adoro il dramma! Gli archi sono sempre belli e forse c’è una sorta di malinconia nordica nelle melodie. Sono anche molto attento alla produzione vocale, sia voce solista che armonie. Amo il senso di presenza in una performance vocale ed è per questo che amo lavorare con grandi cantanti. Puoi fingere un’ottima intonazione e un ottimo timing, ma non c’è modo di fingere la personalità e i sentimenti reali.

Sei cantante, cantautore, produttore, qual è il ruolo che preferisci?

“Ho iniziato come chitarrista, poi ho iniziato a cantare, scrivere canzoni e produrre, ho “collezionato” altri strumenti lungo la strada e oggi mi considero semplicemente un musicista. Mi sento a mio agio in tutti i ruoli che hai menzionato, ma fa tutto parte dello stesso pacchetto. Non voglio limitarmi a essere solo un cantautore, solo un produttore o solo un artista. Ciascuno di questi ruoli nutre gli altri. Scrivere, produrre e pubblicare il mio primo album da solista è stato un passo molto importante per me: mi ha fatto riconnettere con le mie radici musicali e con la musica con cui sono cresciuto. Mi piace credere che il mio modo di scrivere canzoni sia migliorato.

Qual è l’aspetto più emozionante della tua attività? Qual è l’energia trainante che ti fa amare ciò che fai?

Mi meraviglio ogni giorno di creare qualcosa che non c’era al mattino! Le canzoni sono degli universi a sé stanti e noi siamo gli dei che li creano. Pensare di poterlo fare ogni giorno mi rende davvero umile. La sensazione più bella di questo mondo è quando torni a casa dopo il lavoro, dopo aver scritto qualcosa che ami davvero, e lo ascolti ancora e ancora mentre prepari la cena. Mi entusiasma sapere che sono tra quelle poche persone che per primo “sente” questo miracolo. C’è sicuramente, anche, una dimensione del tipo “Aspetta di sentire questo, mondo!”

Cosa ti incuriosisce nel cercare una collaborazione o nell’accettare una proposta di collaborazione?

“Il songwriting può essere davvero imprevedibile. A volte le sessioni che pensi saranno grandiose non lo sono e le sessioni da cui non ti aspetti molto sono le migliori. Non si sa mai. Questo può essere frustrante e anche piuttosto affascinante. Come ho detto prima, mi piace sempre sentire di poter contribuire e mi piacciono le grandi voci. Tendo anche a lavorare con persone che hanno una storia da raccontare. In un certo senso rende il mio lavoro più facile quando sono consapevoli di chi sono e cosa vogliono dire. Preferisco lavorare con qualcuno che sia molto esplicito su cosa vuole fare e cosa non vuole fare piuttosto che qualcuno che può scrivere o cantare in qualsiasi stile.

Come produttore e co-autore, qual è l’artista con cui è stato “tosto” lavorare, ma che alla fine ti ha dato le più grandi soddisfazioni, quello che più si è opposto alle tue scelte musicali o ai tuoi testi, ma poi ha rivelato un esito positivo?

Devo dire che Morten Harket (cantante degli a-ha) mi ha lasciato un po’ perplesso a volte, all’inizio della nostra collaborazione. Semplicemente non sapevo cosa stesse cercando. Poi ho capito che voleva solo “sentire” la musica che aveva creato, e poi è diventato molto più facile. Non è solo un grande autore pop, vuole anche creare canzoni che abbiano una certa qualità eterea e che possano influenzare qualsiasi cosa, dalla struttura di base delle canzoni all’arrangiamento e alla produzione vocale. Ho imparato MOLTO da Morten sulla produzione vocale. Può essere molto esigente riguardo al tempismo e alla ritmica – a volte vuole inserire più di cento tracce vocali su una canzone solo per ottenere il timing giusto al 100%. Ma più tardi, quando lo ascolti, ti rendi conto che aveva ragione: ne è valsa la pena. Le canzoni hanno una sorta di “tridimensionalità” e hanno un aspetto più etereo dopo aver attraversato tutto quel lavoro di produzione vocale.

Morten Harket – Brother dall’omonimo album “Brother” (2014)

Leggendo la tua biografia, è facile intuire che arte, letteratura e musica erano il tuo pane quotidiano. Quando hai percepito che la musica avrebbe definito la tua vita?

“In realtà piuttosto tardi. Pensavo che sarei diventato uno scrittore. Forse un giornalista, probabilmente un autore. Avevo iniziato l’Università e studiavo letteratura, ma poi sono stato arruolato per fare il servizio militare. Durante quel periodo ho incontrato un ragazzo che era un grande chitarrista e ci intrufolavamo nei sotterranei della caserma, dove avevamo installato degli amplificatori, e suonavamo per ore. Mi ha convinto di intraprendere un’istruzione musicale, e una volta iniziato lì non si poteva più tornare indietro.

Sei stato premiato molte volte e hai ricevuto molte nomination ai Grammy. Qual è il significato del successo per te?

Non c’è ricompensa più grande della gente che ama una canzone che ho scritto! Le nomination ai premi sono belle perché tendono a attirare l’attenzione su di te, ma dopo un paio d’anni nessuno ricorda chi è stato nominato o chi ha vinto il Grammy. Le canzoni, d’altra parte, vivono una vita propria, e non c’è niente di più grande di quando una canzone che hai contribuito a creare vola davvero!

Se potessi esprimere un desiderio per te stesso e un desiderio sulla musica, quale sarebbe?

Cerco sempre di mettermi alla prova, di imparare di più sulla musica e migliorare. Sia questo il mio augurio: che io migliori e possa continuare a scrivere a lungo!

— Onda Musicale

Tags: The Beatles, David Bowie, Britney Spears, Grammy Awards, Iron Maiden
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