Decisamente qualcosa di speciale il lavoro che ha portato avanti Giangilberto Monti nell’ultimo tempo.
Giangilberto Monti con il giornalista Vito Vita per parlare di un eterno poeta popolare in senso alto della parola: Franco Califano. La sua vita raccontata dentro un libro dal titolo “Franco Califano. Vita, successi, canzoni ed eccessi del «Prévert di Trastevere” edito da Gremese Editore. Il tutto divenuto anche un radiodramma per la Radio Svizzera Italiana e, manco a dirlo, un disco uscito per Fort Alamo/Warner Music dal titolo “Franco Califano, il Prévert di Trastevere”.
Giangilberto Monti coronato dal suono a firma di Marco Mistrangelo al basso, Alessio Pacifico alla batteria e Marco Brioschi alla tromba, ci racconta 12 canzoni in rigoroso ordine cronologico, canzoni che raccolgono gli anni della sua grande carriera e ne restituiscono una linfa vitale densa di fascino, di personalità e di rispetto. Unanime la voce che incorona il pregiato risultato raggiunto dal cantautore milanese: non un mero scopiazzare ma neanche uno stravolgere i sentieri originali. Riconosciamo Califano, in tratti più delicati e “scuri” addirittura lo riascoltiamo da vicino. Ma poi la soluzione di arrangiamento, quel gusto fattoriale di Monti e la sua attitudine da osteria milanese, fanno di questo disco una preziosa via di fuga dall’ordinario e un momento alto di storia e di memoria. Rivive Califano e non sparisce Giangilberto Monti.
Per te Califano che cosa ha rappresentato?
Un autore di grandi successi, un interprete di canzoni dialettali romanesche, un artista discontinuo e un infaticabile animatore della vita notturna, oltre che un poeta dei nostri tempi. Nella mia lettura interpretativa lo sento vicino al mondo di Fred Buscaglione e Leo Chiosso, che nel caso di Califano è molto più vissuto che immaginato. Rappresenta l’inquietudine del passaggio dai rassicuranti codici d’onore della piccola malavita romana alla durezza della sopravvivenza metropolitana, e in questo si avvicina a quella poesia della marginalità che invece di rifiutare in toto i modelli sociali imperanti, sogna un riscatto fatto di ricchezza, belle donne, macchine veloci e notti cocainiche, ma sempre ripudiando le convenzioni del buonsenso comune.
E nel tempo della sua vita quanto hai rubato dalla sua musica e quanto ti sei scoperto a farlo col senno di poi?
Le sue tonalità medio-basse, dalla tessitura apparentemente limitata e il suo utilizzo del recitar-cantando, che acquistano un ampio respiro melodico eseguite da interpreti puri. Oltre alle straordinarie affinità con il mondo musicale francese.
Se non erro, nell’immaginario che ho di Giangilberto Monti ci trovo molti modi “circensi” e meno “alcolici” e dannati… sembra di stare assai distanti… per fare una cruda sintesi sempre troppo sbagliate penso io…
Ognuno ha il suo modo di esprimersi e cerca di farlo nei modi in cui si riconosce. Per quanto mi riguarda non esiste alcuna distanza preconcetta tra un modo – per usare le vostre definizioni – “circense” e un modo “alcolico”. Un interprete cerca di esprimere emozioni con le sue capacità artistiche, che siano funambocircensi o alcoritmiche, però, però, però… quando Serge Gainsbourg, di cui ho tradotto e interpretato diversi brani in lingua italiana, registrava i suoi album, era lucidissimo. Lo stesso faceva Fabrizio De André. Entrambi erano due alcolisti convinti, ma non davanti a un microfono con fonici, produttori e musicisti dall’altra parte di un vetro, all’interno di uno studio di registrazione.
E questa copertina minimalista e anonima? Che significato porta con se?
Provengo da un mondo vinilico, dove le copertine erano opere d’arte. Purtroppo, gli spazi espressivi si sono ridotti, però ho affidato questo CD a una graphic designer di Torino che ho imparato ad apprezzare negli anni. Credo abbia fatto un ottimo lavoro, soprattutto nel fatto che questo non è un semplice CD ma un “radiodisco”, che per l’Italia è una sicura novità. Il minimalismo nella copertina qui è voluto, mentre non c’è nulla di anonimo nell’indicare i due protagonisti del lavoro: l’interprete (G.G.Monti) e l’autore di cotanto repertorio (Franco Califano). Il tutto trasmette essenzialità, quindi ho la coscienza a posto.
Un disco che ti ha concesso di conoscere Califano più da vicino? La prima cosa che hai scoperto e che non sapevi?
I suoi primi lavori artistici e la forte amicizia con Edoardo Vianello. Fondamentale è il passaggio tra la poetica delle sue creazioni giovanili e l’acquisizione di una tecnica ritmico-musicale impeccabile, grazie all’esperienza che gli trasmise Vianello. Il che gli permetteva di inventare testi sulla carta prima dell’intervento di un compositore. Infatti, il Califfo dava il meglio di sé affidando al musicista un testo finito – come nel caso di “Tutto il resto è noia” – oppure intervenendo successivamente su testi già confezionati, ma che all’interprete designato (come spesso accadde con Mia Martini) non si confacevano pienamente.
Nella tracklist di questo disco? La canzone a cui Giangilberto Monti tiene di più?
Sono due: “La mia libertà” e “Un tempo piccolo”, le considero l’alfa e l’omega della sua carriera artistica e della sua vita privata.