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“Antiche melodie d’amore”, l’esordio di Elisabetta Previati (intervista)

Il canto fatato di Elisabetta Previati con il suo album di debutto

Fuori dal 4 aprile “Antiche melodie d’amore”, l’album di debutto della cantautrice Elisabetta Previati. Dieci canzoni che sembrano trasportare l’ascoltatore in un’epoca diversa con il suo sound tra folk e world music.

L’album di esordio della cantautrice Elisabetta Previati è una novità che si tuffa nel passato, è qualcosa di diverso ma che attinge a piene mani a sonorità antiche e familiari. Ecco l’intervista per Onda Musicale in cui l’autrice stessa parla del suo lavoro e del suo debutto

Il 4 aprile è uscito Antiche melodie d’amore, il tuo album di debutto. Che emozione è stata vederlo finalmente prendere vita dopo così tanto tempo?

In realtà è stato un passaggio molto naturale, come un passo che andava compiuto al momento giusto. Ho scelto come data di uscita il compleanno del mio figlio maggiore, perché desideravo che l’album vedesse la luce in primavera — una stagione che per me è simbolo di rinascita. Negli ultimi anni la mia vita è cambiata profondamente, e questo disco rappresenta per me un punto di approdo, un piccolo traguardo. Volevo che uscisse in un momento felice, quando anche tutto il resto del mio mondo era in una fase luminosa e serena.

Hai raccontato che le canzoni sono nate in diversi momenti della tua vita. Quando hai capito che era arrivato il momento giusto per raccoglierle in un disco?

Intorno al 2020-2021 ho realizzato che le mie canzoni erano diventate numerose — ne avevo scritte una ventina — e cominciavano a condividere uno stile che sentivo sempre più mio. I temi nascevano quasi tutti dalle stesse ispirazioni: le mie letture, il legame profondo con i luoghi in cui vivo e con le persone che mi circondano. È stato allora che ho sentito il desiderio di raccogliere i brani più significativi, i più belli o i più recenti, e farne un disco. Mi piaceva molto l’idea di unire la mia passione per la polifonia e le voci con una forma più cantautorale. Tant’è che, fin da subito, ho detto chiaramente a chi si sarebbe occupato degli arrangiamenti: “le voci non si toccano.” La collaborazione con Giovanni Chiapparino — polistrumentista, arrangiatore e tecnico del suono — è stata per me entusiasmante. Lui ha accolto il progetto con una cura e una dedizione straordinarie, come se fosse suo. “I dischi si fanno insieme,” mi ha detto, e io mi sono fidata, affidandomi anche al suo sguardo nella scelta dei brani.

L’amore è il filo conduttore del disco, ma raccontato in modo molto classico, quasi fiabesco. Cosa ti affascina di più di questo immaginario “retrò”?

L’immaginario retrò è qualcosa che mi appartiene da sempre. Non è una scelta consapevole: semplicemente fa parte di me. Sono cresciuta guardando film in bianco e nero con mia nonna, e musicalmente il mio battesimo è avvenuto attraverso la polifonia antica. Anche nei cantautori e nella musica che ascolto, ho sempre cercato quel tocco vintage, nei suoni, negli strumenti, in certe atmosfere. È qualcosa che si sposa perfettamente con la world music, e che mi affascina da sempre: come un richiamo dal passato, un virato seppia sui fotogrammi della mia vita. Trovo molto più affascinanti le epoche passate, un po’ come nel film Midnight in Paris. C’è in me una nostalgia naturale per quei mondi perduti, per la loro grazia imperfetta e poetica.

The Ballad of the Ghost Lady in the Rock è forse il brano più folk del disco. Come è nata l’idea di coinvolgere The Gentle Good e cosa ha significato per te questa collaborazione?

Gareth Bonello, alias The Gentle Good, è un cantautore gallese straordinario, che ho scoperto qualche anno fa… e che dire, mi sono perdutamente innamorata della sua musica. È così evocativa, così toccante, che la prima volta che ho ascoltato The Fisherman ho pianto dalla commozione. Ti confesso una cosa un po’ bizzarra: ho una playlist dove raccolgo i brani che vorrei ascoltare prima di lasciare questo mondo. The Fisherman è stato il primo della lista. La musica di Gareth ha qualcosa di ancestrale, magico, quasi fatato. Così, un giorno, gli ho scritto semplicemente per dirgli quanto lo ammirassi e chiedergli i testi di alcuni brani che non riuscivo a trovare. Qualche anno dopo, quando ho composto The Ballad of the Ghost Lady in the Rock, ho pensato subito: “Chi altri potrebbe cantarla con me, se non lui?”Gli ho scritto di nuovo. Lui è stato gentilissimo, ha accettato e ha registrato la sua parte. È stato un grande onore, e una gioia immensa.

Il Canto del bosco ha una connessione profonda con tuo figlio. Quanto è cambiato il tuo modo di scrivere da quando sei diventata madre?

Il mio figlio maggiore ha 9 anni, il piccolo 7. Prima di allora avevo scritto pochissime canzoni — forse tre o quattro. Quasi tutto ciò che si trova in questo disco è nato dopo. Oggi ogni momento in cui riesco a comporre o suonare mi sembra più prezioso. I figli ti insegnano a riconoscere il valore del tempo, a viverlo con consapevolezza — sia quello che passi con loro, sia quello che riesci a dedicare al tuo lavoro creativo.

C’è un brano a cui ti senti particolarmente legata oggi, in questo preciso momento della tua vita?

Il mio brano del cuore, in questo momento, è Caro Scott — il più struggente del disco. È ispirato alle lettere d’amore tra Scott e Zelda Fitzgerald, e mi commuove sia per il ricordo di quella lettura, sia per il significato che il brano ha assunto per me. Parla di temi ancora molto attuali: l’orgoglio femminile e lo squilibrio di potere tra i generi. Leggendo quelle lettere, ho avuto la sensazione che Zelda fosse l’ennesima vittima del patriarcato e — mi perdonino gli ammiratori di Scott — che lui abbia davvero passato il segno, lasciandola in un ospedale psichiatrico contro la sua volontà. Per fortuna oggi ci sono lavori preziosi che riabilitano la figura di Zelda, come La grande Zelda di Pier Luigi Razzano. Gli ho fatto ascoltare la mia canzone e l’ha molto apprezzata, e per me è stato un riconoscimento importante. Musicalmente, il brano è eseguito dal pianista e cantautore Jacopo Raffaele (alias Il Baskerville), il cui tocco ha reso tutto ancora più intenso e toccante.

Dopo questo primo album così denso e ricco, dove ti immagini andare musicalmente? Hai già in mente nuove sonorità o temi da esplorare?

Assolutamente sì! Ho in mente un nuovo progetto: un disco di ninna-nanne e ballate folk, che in realtà è già quasi del tutto scritto. I brani, stavolta in più lingue, saranno intervallati da brevi ninna-nanne che ho scoperto in un libro curato da García Lorca. Lui stesso le raccolse quasi un secolo fa, trascrivendone solo i testi. Io ho provato a immaginarne la musica e a metterla in voce. Musicalmente vorrei che fosse un lavoro essenziale, intimo, con pochi strumenti: marimba, piccole percussioni, vibrafono. E questa volta coinvolgerò anche altre voci, per arricchire le armonie e creare un’atmosfera ancora più avvolgente.
Sarà sicuramente un disco fuori dal mainstream, ma credo che la musica di qualità non conosca confini né preclusioni. Anzi, stare fuori dai circuiti più convenzionali ti permette di seguire ciò che ami davvero
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— Onda Musicale

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