“Anonimo” è un brano trap crudo e diretto, con un mood aggressivo. Uno sfogo contro tutte quelle persone interessate solo alla visibilità, ma senza niente di concreto da dire.
Questo brano non si limita a essere un dissing. “Anonimo” è una presa di posizione chiara. Una linea netta tra ciò che è vero e ciò che è costruito, tra ciò che era l’artista e ciò che è adesso, tra quello che ha lasciato indietro e ciò che invece ha deciso di portare con lui.
“Anonimo” è uscito il 9 maggio. Come nasce questo brano e cosa rappresenta per te?
Questo brano nasce da un bisogno di sfogo, da esperienze personali che mi porto dietro e da quello che vedo ogni giorno nella scena. Volevo parlare apertamente di tutte quelle maschere nella trap: artisti che raccontano storie mai vissute solo per apparire e farsi vedere. Capisco che possa piacere a qualcuno, ma se non hai vissuto certe cose, non ingannare chi ti ascolta. Quindi sì, ci voleva un dissing generale.
In “Anonimo” c’è una critica molto diretta verso chi cerca visibilità a tutti i costi. Da cosa nasce questo sfogo? Hai avuto esperienze personali che ti hanno portato a scriverlo?
Lo sfogo nasce da un’esigenza personale, come dicevo prima, di raccontare ciò che ho vissuto e osservato. Ho avuto esperienze che mi hanno fatto riflettere su quanto, oggi, si tenda spesso a cercare visibilità a tutti i costi, anche a scapito della verità. Io, invece, scrivo solo quello che ho vissuto in prima persona o che ho vissuto vicino a me. Se dovessi interpretare storie che non mi appartengono, allora sì, sarebbe più un lavoro da attore che da cantante.
Questo è anche il tuo primo brano scritto completamente da solo, dopo la scomparsa del Panda. Com’è stato affrontare questa scrittura in solitaria?
È stato sicuramente un duro colpo. Tra tutte le cose che mi sono ritrovato a gestire da solo, paradossalmente la scrittura è stata quasi la parte meno difficile. Forse perché, purtroppo o per fortuna, il dolore a volte fa scrivere meglio. Quello che è cambiato davvero è tutto il resto: l’energia, la presenza, il confronto… mille altre cose che non ci sono più e che mancano ogni giorno.
Il Panda era molto più che un partner musicale. Come continua a vivere il suo spirito nella tua musica oggi?
Conoscendoci fin da piccoli, dopo vent’anni di amicizia, è quasi inevitabile che nei miei testi ci sia sempre una parte di lui. Io racconto solo ciò che ho vissuto sulla mia pelle, e lui fa parte della mia storia. Anche nei videoclip c’è sempre un simbolo che lo rappresenta: un peluche del Panda con una canottiera gialla e un Rolex al polso, proprio come si vestiva lui. È un segno che porto sempre con me, un modo per tenerlo vicino e continuare a farlo vivere nella mia musica.
Dopo la sua perdita hai scelto l’indipendenza artistica, lasciando l’etichetta. Come ti stai muovendo adesso? Quali sono i pro e i contro di questa scelta?
Adesso mi sto muovendo da solo, ma con il supporto del mio team: un gruppo di amici che mi è accanto in tutto. C’è chi si occupa dei video, chi produce in studio, chi mi aiuta con l’organizzazione generale. I pro sono tanti: non ho vincoli, posso far uscire i brani quando e come voglio, senza dover aspettare i tempi di altri. È vero che con un’etichetta alle spalle sei più coperto sotto diversi aspetti, ma sinceramente non mi interessa. Voglio vivere la musica così: con il mio team, in modo felice e spensierato. Ogni brano che esce per me deve essere prima di tutto divertimento.
Cosa possiamo aspettarci da Exu Nathan nei prossimi mesi? Stai lavorando a un progetto più ampio, come un EP o un album?
Per adesso non ho in programma né un album né un EP. Ho rifiutato anche un paio di live in due discoteche della mia città perché sento che non è ancora il momento. L’unica cosa certa è che continuerò a far uscire un brano accompagnato da videoclip ogni 35-40 giorni. È una tempistica che mi sono dato, non troppo rigida ma che voglio rispettare. Preferisco concentrarmi su singoli forti, uno alla volta, e curare ogni uscita al massimo.