Recensioni e Interviste

Torchio racconta Au Contraire: tra poesia, identità e verità scomode. L’intervista

Torchio racconta Au Contraire: tra poesia, identità e verità scomode  

Torchio torna con Au Contraire, un album che segna un nuovo capitolo nella sua traiettoria artistica, costruita nel tempo con coerenza e ricerca. Cantautore alessandrino, già attivo da anni tra scrittura, musica e collaborazioni, in questo lavoro affronta con lucidità e sensibilità i temi dell’identità, del disagio, della memoria e del desiderio di appartenenza. Ma lo fa a modo suo: con testi che non hanno paura di toccare zone complesse dell’esperienza umana, affiancati da melodie che talvolta scelgono la leggerezza come contrasto, altre volte si immergono in atmosfere più cupe e viscerali.

Realizzato con il contributo di numerosi musicisti, e scritto in parte insieme a Massimiliano Bocchio, Au Contraire è un progetto corale ma dalla voce personale e definita. La produzione artistica è affidata a Luca Grossi (Flat Scenario/Ohimeme), che contribuisce a dare coesione a un disco che mescola canzone d’autore, influenze pop, momenti acustici e una forte attenzione al peso della parola.

In questa intervista Torchio ci guida attraverso la genesi del disco, le sue scelte stilistiche e i significati nascosti dietro alcune canzoni, con uno sguardo sempre rivolto al futuro e a ciò che ancora resta da esplorare.

1. “Au Contraire” sembra affrontare il tema dell’identità in modo diretto ma mai didascalico. Quanto è stato centrale questo tema nella scrittura del disco?

Direi che più che centrale è stato inevitabile. “Au Contraire” non è nato con l’intento di raccontare me stesso, ma si muove attorno a una domanda più scomoda: cosa rimane quando smetti di aderire a una forma, a una voce, a un ruolo?

2. Molti brani si muovono tra riferimenti poetici e sonorità contemporanee. Qual è stato il tuo metodo nel fondere questi due mondi apparentemente distanti?

Non li ho fusi, li ho fatti incontrare. Li ho messi uno davanti all’altro senza cercare una sintesi, e ho ascoltato il rumore dell’ impatto. La poesia, quella che nasce da adolescente, ha smesso da tempo di aver bisogno solo di parole. Oggi può trasformarsi in altro, grazie a un synth sconnesso, un basso che vibra nello stomaco, agli strumenti. Quello che cerco è lasciare che le parole respirino senza ansia di significare, lasciando che ogni suono le sporchi, le allarghi, le tradisca anche. 

3. Nel tuo percorso artistico hai spesso sperimentato. Questo album segna un nuovo passaggio? Se sì, in che direzione?

Non so se è un passo avanti o un salto nel buio, ma di sicuro è un punto di rottura. Non c’è ordine, non c’è protocollo. È un disco che non chiede permesso, non cerca approvazione. Dove prima c’era una certa esigenza di coerenza, ora c’è spazio per l’errore, per lo strappo. È un disco più viscerale, più sbilenco, forse meno “corretto” ma più urgente. Un gesto che non si può spiegare del tutto senza rischiare di perderlo.

4. Brani come “Sangue Inchiostro” o “Provo Ribrezzo” sembrano affrontare temi forti. Che tipo di urgenza ti muove nella scelta di certe parole o immagini?

Scrivo per non mentire, anche quando mentire sarebbe più comodo. “Sangue Inchiostro” è una resa alla forza delle parole. “Provo Ribrezzo” è un’esplosione che non cerca consolazione. Non filtro, non smusso: apro la finestra nel mezzo della tempesta, sapendo che entrerà tutto, anche ciò che preferirei lasciare fuori. “Provo ribrezzo” è la timidezza che non ha più timori.

5. Nel disco collabori con Massimiliano Bocchio su quattro brani. Come si è sviluppata questa sinergia e che cosa ti ha portato sul piano espressivo?

Con Massimiliano è stato uno scambio quasi clandestino, un’incursione nei territori dell’altro. Ci siamo scambiati zone d’ombra e zone di luce, in un’alleanza fatta di fiducia e disinnesco. Lui mi ha spinto verso un’apertura più nuda e limpida, io ho portato nel suo mondo un’energia più ruvida, più abrasiva. È una scrittura a quattro mani dove niente è decorativo, ma nemmeno spiegato: tutto ha un peso, ma non sempre una risposta. Ringrazio anche i musicisti e il producer Luca Grossi dello studio Flat Scenario e dell’etichetta Ohimeme che mi ha ancora una volta guidato per strade impervie. A volte si torna a casa anche cambiando direzione.

6. Guardando avanti, hai accennato a un possibile interesse per la dimensione teatrale e narrativa del racconto cantato. Stai già lavorando a qualcosa in questa direzione?

Sì, sempre con Mamo stiamo scrivendo.

Ci sono una decina di nuove canzoni. Ma non so ancora se finiranno in una scena, in un disco o chissà dove. Mi interessa la voce quando diventa corpo, quando il testo si espone fuori dalla canzone e si mette in gioco in uno spazio nuovo. Sicuramente non sarà accomodante. E francamente, non mi interessa che lo sia. 

— Onda Musicale

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