Musica

Do It Yourself: chi fa da sé fa per tre…

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Mentre l'artista del mainstream è supportato in ogni fase della sua carriera, ma anche inevitabilmente manipolato, nell'underground c'è maggiore libertà espressiva ma anche minori mezzi per promuovere la propria carriera.

In poche parole bisogna darsi da fare, coprire da soli, o con amici e colleghi seguaci della medesima filosofia, le necessità del caso. Per cui, un po' per scelta e molto per necessità, nell'underground nasce e si sviluppa il concetto di DIY (acronimo per Do It Yourself) ossia… fattelo da te… cavatela da solo…

La filosofia del 'fai da te' nasce all'interno della scena musicale punk inglese a cavallo tra gli anni '70 e '80 sviluppandosi nella sua fase aurea nell'ultimo decennio dei due. Dalla prima forma di Punk Rock, espressione di rabbia, anarchia provocatoria e ribellione fine a sé stessa, si sviluppano tutta una serie di sottogeneri (di cui parleremo più ampiamente in un prossimo articolo) ed è solo in questa seconda fase che si sviluppa un'etica di vita ricca e precisa, grazie ai movimenti Anarcho Punk e Straight Edge: e' proprio all'interno di questo contesto che nasce la filosofia DIY.

Il DIY si esprime innanzitutto in un rifiuto per le Major (le case discografiche ufficiali e miliardarie) espresso nello slogan "DIY not EMI" e da cui la fondazione delle prime etichette indipendenti per la pubblicazione dei propri album.

Famosa è la Crass Records, per esempio, fondata dall'omonima band, un'etichetta musicale autogestita che pubblicò dischi e libri poco oltre le spese di produzione di molte band anarchopunk degli anni Ottanta.

Tramite la propria rete di conoscenze si organizzavano i tour o anche dei festival, mentre nell'epoca pre-web erano le Fanzine (news musicali in formato di fotocopie cartacee) a pubblicizzare e promuovere le varie band ed eventi oltre a diffondere l'ideologia della scena punk.

Questi atteggiamenti di base sono sopravvissuti nel tempo e ancora molto attuali, sebbene aggiornati alla tecnologia dei nostri giorni, basti vedere il proliferare delle etichette indipendenti e la nascita di numerose e svariate Webzine, vere e proprie riviste musicali a sostituzione delle vecchie fanzine.

 

Lasciamo ora la parola ai veri esponenti del DIY d'oggigiorno, scelti tra i duo underground chitarra-batteria che seguo con il mio progetto EDP (Electric Duo Project).

La domanda che abbiamo loro posto è la seguente: "Che valore ha oggi il DIY, secondo voi, e in che maniera si esprime, a differenza di un tempo?"

OVO: Ho scelto per prima questa band perché i suoi fondatori, Stefania Pedretti e Bruno Dorella, sono dei veri e propri esponenti del fenomeno. Nati nel 2000 nel contesto dei Centri Sociali e delle case occupate, hanno fatto del DIY il loro stile di vita. Praticamente sempre in tour, a livello nazionale e mondiale, si sono fatti conoscere grazie al passaparola, alla rete di amicizie comuni, alle collaborazioni più svariate. Un risultato eccezionale visto anche il genere musicale nel quale si esprimono, il Noise, assolutamente di nicchia anche all'interno dell'Underground stesso. Stefania cura l'artwork della band con i propri disegni mentre Bruno è stato il fondatore di un'etichetta discografica indipendente di culto, la Bar La Muerte Records, con sede a Milano e chiusa poi nel 2013 (Video di "Tokoloshi"; articolo Edp su di loro). Dorella suona anche nel gruppo Ronin e nel duo metal-folk Bachi da Pietra. Vediamo ora la risposta, esaustiva e che induce alla riflessione, nelle parole stesse di Bruno…

"Mi interrogo spesso sul DIY oggi. E parto dalla fine: mi sembra che stia rapidamente perdendo di significato. O meglio, non ha più il significato che gli davo io, e che era importante per me. Questo vuol dire soltanto che è cambiato, e che io sto invecchiando. Ma è anche vero che cerco sempre di non prendere le classiche posizioni da vecchio burbero nostalgico ed incapace di capire il presente. Quindi, se qui proprio non riesco a non farlo, vuol dire che le fondamenta che stanno venendo a mancare sono quelle che importavano a me."

"Intanto, non c'è più un nemico. Le major non hanno più alcuna rilevanza nel mondo del rock o della musica reale, pubblicano ormai solo qualche dinosauro, i pagliacci dei talent e qualche robetta commerciale che dura una stagione o due. Dall'altra parte, molte indie si comportano come le major di un tempo con gli artisti, ma è più difficile attaccarle perché si occupano solitamente solo di musica, mentre un tempo le major erano nemiche anche perché erano colossi che entravano nella politica, nel sociale, addirittura nelle guerre."

"In secondo luogo, essere DIY oggi significa flirtare con il nuovo potere, quello di Internet. Paradossalmente, si può essere al 100% DIY semplicemente utilizzando i mezzi messi a disposizione dalla rete, che è potenzialmente democratica, gratuita ed accessibile a tutti. Il problema è che iTunes, YouTube, Facebook, Spotify e compagnia stanno esattamente prendendo il posto delle major che combattevamo, esercitando un'enorme influenza sui gusti e sulle decisioni della gente, gestendo un potere immenso. Quindi, per esistere ed autogestirti, devi farlo tramite loro. Credo che solo una minima parte dei musicisti rifiuti di farlo. Tra questi, quasi tutti sono artisti famosi ed "arrivati" che possono permettersi di "non esserci" perché hanno il coltello dalla parte del manico. Mentre i pochi che rifiutano di "esserci" per motivi ideologici, pagano un prezzo enorme: quello di non esistere."

"Io ad esempio ho scelto di scendere a compromessi con tutto ciò. I miei gruppi sono su tutte le piattaforme, i social, insomma ovunque sia necessario esserci per esistere e diffondere la propria musica. Se qualcuno conosce dei metodi alternativi ed efficaci, me lo faccia sapere, perché io non li conosco."

"Per me il DIY era un discorso innanzitutto politico. Bypassavo il mercato girando per gli squat a vendere i miei dischi ai miei concerti, nelle cassette della frutta. Centinaia di date all'anno. Faccio ancora così, ma gli squat sono sempre meno, lo faccio nei club, ed è diverso. La complicità politica punk-hardcore è stata annientata in pochissimo tempo. Le prospettive per il DIY ci sono, ma al momento le vedo svolgersi esclusivamente all'interno dei social e delle piattaforme. E dunque mi chiedo: siamo noi che stiamo utilizzando questi mezzi, o sono loro che sfruttano noi? Gli regaliamo contenuti, e loro cosa ci danno in cambio? La possibilità di comunicare con chiunque nel mondo, la possibilità di farci conoscere. Quindi, ci danno la possibilità di esistere. Io credo che ad un certo punto questa scatola mostrerà più aspetti tirannici che democratici."

"Quindi, se qualcuno vuole cominciare a studiare il modo di evitare tutto ciò, io sono disponibile ad un dialogo costruttivo. E questo è quello che Bruno Dorella ha da dire sull'argomento."

"Come OVO, stiamo cercando di fare il possibile per trovare la collocazione più etica possibile in tutto questo. Non evitiamo il neo-DIY della rete, perché sarebbe suicida (ed è anche divertente, questo mi sono dimenticato di sottolinearlo prima). Ma cerchiamo di continuare a privilegiare situazioni antagoniste, come posti alternativi, autogestiti, occupati. Notiamo però anche una rapida perdita di credibilità organizzativa e valenza politica da parte di alcuni di questi posti, e la loro drastica diminuzione numerica. Ma continuiamo a cercare di dimostrare con la nostra attitudine quotidiana che si può vivere di musica cercando di rimanere liberi ed antagonisti. Spero ci riusciremo ancora a lungo, e siamo aperti a dialoghi e confronti su questa tematica con altre persone che condividano questo intento.”

 

I-TAKI MAKI: Come seconda opinione ho richiesto quella di un duo più recente, il ciociaro I-Taki Maki, fondato nel 2012 da StrAw e la compagna batterista Mimmi. Attualmente i due incarnano infatti appieno la filosofia DIY lavorando sodo nella promozione delle proprie pubblicazioni musicali, nell'organizzazione dei propri tour, fino a tentare in totale autonomia una carriera musicale in quel di Berlino (Video di "Dust"; articolo Edp su di loro). Ecco cosa ci risponde Mimmi al nome del duo.

"DIY significa tante cose. Si tratta di una filosofia di vita, soprattutto. Una scelta politica precisa, intendendo per politica una direzione, una rotta, che rinnega ogni possibilità di farsi “corrompere”, in luogo di una tutela assoluta della propria musica, perché venga prodotta, appunto, esattamente così come la si vuole e non come il “grande pubblico” se la aspetta. La produzione di un disco è un viaggio, un’esperienza, composta di numerosi e contorti step, dalla nascita dei pezzi al mastering, fino alla distribuzione. Prima il confine tra Major e Label indipendenti era più netto, più palpabile. Oggi tante nuove piccole grandi etichette sedicenti indipendenti fioriscono e sfioriscono numerose, ovunque. Molte di loro sono e restano fedeli alla filosofia DIY, quella profonda, quella vera. Altre meno. Altre affatto, rivelandosi col tempo, vere e proprie aziende con la stessa finalità delle Major, oggi come negli anni passati: il profitto. Immaginiamo che l’idea di rivolgere proprio a noi questa domanda sia scaturita dalla nostra adesione alla filosofia. Tutta la nostra musica è stata autoprodotta, intendendo per produzione sia quella artistica che quella esecutiva. Questo ci ha reso liberi di non pensare troppo, liberi di far uscire i nostri dischi così come li volevamo, senza alcuno a dirci “questo pezzo meglio farlo così, altrimenti non vende”. Quando scegli la via di Ian MacKaye, non puoi andare in altra direzione che questa. Non stiamo mica a dire che sia la migliore. Ma a noi piace così."

 

Giusy Locatelli

— Onda Musicale

Tags: Punk/Rock/Giusy Locatelli/EDP/Do It Yourself/OVO/I-TAKI MAKI
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