Musica

Canzoni indimenticabili eseguite con chitarra a 12 corde

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Il chitarrista inglese Jimmy Page

Dalle acustiche di tradizione folk-blues alle elettriche rock con doppio manico, la storia delle chitarre a dodici corde è fatta di fortune altalenanti e sonorità uniche.

Pare che c’entrino ancora gli italiani

Nulla di più probabile, infatti, che i nostri connazionali finiti a lavorare nelle liuterie americane del tardo 800 (Schmidt, Harmony, Regal e tante altre) siano stati tra i primi a sperimentare il raddoppio delle corde, basandosi sulla nostra tradizione mandolinistica. Secondo la leggenda, Leadbelly in persona avrebbe ordinato la sua Stella a 12 corde a tale Fulvio Pardini, liutaio per la Schmidt; la stessa sera, il giovane chitarrista si sarebbe presentato a un party annunciandosi con uno strumming di doppia potenza: «Here’s Leadbelly!». Altri adducono origini messicane e, per proprietà transitiva, ispanoamericane: charango, cuatro, bandolón, guitarra séptima, guitarra quinta huapanguera tra i progenitori.

C’è sempre una paternità plurima quando si tratta di strumenti musicali

Quel che è certo è che, attorno alla fine del XIX secolo, le chitarre a 12 corde iniziano a diffondersi a macchia d’olio. Anche perché molti dei primi strumenti sono piuttosto a buon mercato, cosa che ne favorisce la diffusione tra gli strati sociali più poveri, maggiormente inclini al blues e al folk. Ambiti in cui lo strumento viene reso popolare tra gli anni ’30 e ’40 da Fred Gerlach, Blind Willie McTell, Lydia Mendoza e lo stesso Leadbelly.

La maggior tensione dovuta all’aumento delle corde complica non poco il lavoro delle due mani: la sinistra ha bisogno di forza aggiuntiva, mentre la destra deve destreggiarsi in spazi più angusti. Anche per questo, inizialmente lo strumento è utilizzato quasi solo per l’accompagnamento. Con le sue corde accoppiate a “cori” — le prime due solitamente accordate all’unisono e le restanti quattro a distanza d’ottava — la twelve strings non soltanto consente una maggior dinamica rispetto alla chitarra tradizionale, ma produce anche un effetto sonoro simile ai moderni chorus: le corde doppie infatti vibrano in maniera leggermente sfasata, non potendo essere suonate con perfetta simultaneità, e non potendo neppure avere un’intonazione precisamente identica.

Questo dà luogo a un particolare tipo di “battimento acustico”, che si traduce in una variazione periodica dell’intensità

Il clangore delle campane, lo chiamava più prosaicamente Pete Seeger, uno dei maggiori esponenti dello strumento acustico assieme a Robert Lockwood, Peter Lang, Robbie Basho e al grandissimo Leo Kottke, vero innovatore durante gli anni ’70. Nel frattempo, però, la 12 corde è entrata a pieno titolo nell’organico pop-rock, in versione anche elettrica. È questa evoluzione a essere al centro del nostro excursus, limitato (per ora) al modo in cui il mainstream ha popolarizzato lo strumento presso il grande pubblico. Ci scuseranno, i padri fondatori folk e blues, se ci concentriamo sui loro più eccellenti eredi.

When You Walk in the Room – The Searchers (1964)

Ah, non sono i Rokes? La cover di questo brano di Jackie DeShannon, tradotta in italiano con medesimo arrangiamento da Shel Shapiro e compagni, è una delle prime epifanie delle 12 corde elettriche, introdotte solo tre anni prima dalla gloriosa Danelectro. I Searchers optano per una Double Six della Burns, ma un’altra marca sta per legare la sua immagine (grazie a ben più celebri endorser) alla 12 corde…

If I Needed Someone – The Beatles (1965)

Già a fine 1963 George Harrison si era regalato una gran bella Rickenbacker 360/12 e per un paio d’anni inizia a metterla un po’ dappertutto, pur con misura: I Call Your Name, A Hard Day’s Night, I Should Have Known Better, Ticket to Ride, solo per citare i titoli più noti. L’ultimo esperimento, da Rubber Soul, è forse il più eloquente, anche dal punto di vista della presenza sonora nel mix. La melodia, tuttavia, ci dice che nel frattempo il verbo di George ha fatto due volte la tratta transoceanica.

The Bells Of Rhymney – The Byrds (1965)

Da Liverpool a Los Angeles andata e ritorno, questo il riff che George riprende per If I Needed Someone. Pochi mesi prima, ispirato dallo stesso Harrison, Roger McGuinn aveva acquistato anch’egli una Rickenbacker a 12 corde, destinata a diventare centrale per il sound dei Byrds (si pensi a Turn! Turn! Turn! e alla cover di Mr. Tambourine Man) con una tecnica più vicina al folk e al banjo. Nel 1988 la Rickenbacker lo ringrazierà (un po’ tardivamente) producendo in edizione limitata la Roger McGuinn’s 370/12 RME.

Hear My Train a Comin’ – Jimi Hendrix (1967)

Seguendo rotte opposte, l’uomo che più di ogni altro è legato all’immaginario della chitarra elettrica concede un raro momento acustico in questo video, parte di un film girato nel 1967 e confluito nel primo documentario post mortem su Jimi (1973). Lo si vede imbracciare una 12 corde acustica prodotta a Londra dal liutaio di origini greche Zemaitis, improvvisando un magnifico blues dopo una falsa partenza. C’è ancora chi pensa che la tecnica di Jimi fosse solo merito dell’amplificazione?

Stairway to Heaven – Led Zeppelin (1971)

In altri pezzi dei Led Zeppelin, come Tangerine e Over the Hills and Far Away, la 12 corde è certamente più prominente. Qui però il discorso è iconologico: la presenza scenica di Jimmy Page e della sua celebre Gibson EDS-1275 a doppio manico fa parte di per sé della storia del rock, simbolo dei suoi strumenti e del rapporto tra corpo e performance. Ma quella stessa chitarra è segno di un’evoluzione che vede il folk-rock tramontare (temporaneamente) a vantaggio di una nuova generazione per la quale quel doppio manico offre maggior versatilità sonora sul palco e un’immagine moderna e virile. Questioni di iconologia.

Wish You Were Here – Pink Floyd (1975)

«Avevo appena comprato una Martin a 12 corde e la stavo strimpellando nella control room dello studio 3 di Abbey Road. A un certo punto è venuto fuori questo riff… ha iniziato a ossessionarmi, e le orecchie di Roger si sono drizzate». Così parlò David Gilmour, inutile aggiungere altro.

Hotel California – Eagles (1976)

Non quanto quella dei Pink Floyd, ma è comunque memorabile l’intro arpeggiata di questo classicone. Sul palco nel 1977 ben due 12 corde: l’acustica imbracciata da Glenn Frey e l’elettrica a doppio manico di Don Felder. Provate a eseguire le stesse parti con una sei corde, e vi renderete conto che non sono lì soltanto per bella figura.

Gardening at Night – R.E.M. (1983)

Se Don Felder degli Eagles si inserisce nell’estetica gibsoniana a doppio manico, hard rock e assai machista, Peter Buck si rifà all’aplomb di Roger McGuinn e della Rickenbacker in termini timbrici, ritmici e melodici (con tanto di fraseggi discendenti pseudo-indiani). A essere precisi, in questo pezzo, sfodera la sua Fender Electric XII. Ma la sostanza non cambia.

Wanted Dead or Alive – Bon Jovi (1986)

Tra le mani di Richie Sambora il doppio manico resta simbolo di mascolinità anche in versione acustica. Quanto all’eredità, il musicista del New Jersey la riassume tutta in un’unica parte chitarristica: sibillina introduzione discendente, un bel fraseggio blues con accenno di bending e infine, quando entra in campo la voce di Jon Bon Jovi, la più classica delle soluzioni alla Jimmy Page sull’accordo di re maggiore.

Pride & Joy – Stevie Ray Vaughan (1989)

Cosa si diceva delle acustiche a 12 corde inizialmente usate per il semplice accompagnamento perché troppo dure? Come per Jimi così per Stevie Ray: semplicemente, giù il cappello.

Free Fallin’ – Tom Petty (1989)

Già per Damn the Torpedoes (1979) il leader degli Heartbreakers si mostrava in copertina con una Rickenbacker 620/12 (poco importa se in realtà lo strumento fosse di proprietà del chitarrista Mike Campbell). E anche se nel video di Free Fallin’ imbraccia un’usuale sei corde acustica, sono almeno 24 — molto più probabilmente 36 — le corde da cui scaturisce il riff armonico alla base di uno dei pezzi di maggior successo di Tom Petty, forse l’ultimo dei grandissimi esponenti della twelve strings guitar in ambito rock.

Sparks Fly (Acoustic) – Taylor Swift (2013)

«Questa è una chitarra a 12 corde, del tipo con cui ho imparato a suonare», dice Taylor, che subito dopo si cimenta in un’intro solitaria, prima di prendere il volo (letteralmente). La regina del pop ha spesso dichiarato di aver voluto fortemente una chitarra a 12 corde sin dagli inizi, nonostante tutti le dicessero «sei solo una ragazzina, non hai le mani adatte per suonarla». Va dato merito alla sua tenacia, e anche alla sua perizia chitarristica.

(di Francesco Brusco – link)

— Onda Musicale

Tags: Bon Jovi/Eagles/Taylor Swift/Tom Petty/REM/Pink Floyd/Byrds/Stevie Ray Vaughan/David Gilmour/The Beatles/Led Zeppelin/Jimi Hendrix
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