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Leon Hendrix: “Jimi voleva smettere di suonare e scrivere musica per altri musicisti”

Leon Hendrix

Leon Morris Hendrix (classe 1948) è un artista americano. E’ pittore, cantautore e chitarrista, nonchè fratello del grandissimo Jimi Hendrix.

«Porto ancora i suoi anelli… Se non fosse morto, Jimi avrebbe creato un’orchestra»

«Uno dei ricordi più teneri di Jimi sono le serate ad ascoltare il blues sullo stereo di nostra zia». Classe 1948, Leon Hendrix è il fratello minore di Jimi (1942-1970) cioè sua maestà la chitarra rock elettrica. Da Seattle, negli Usa, arriva ora in Veneto con il progetto «In the name of Jimi», che lo vede sul palco con Fulvio Feliciano (chitarra), Marco D’Angelo (basso) e Pino Liberti (batteria) a omaggiare i capolavori rock del fratello per «mantenerne vivo lo spirito». Chitarra e voce, Leon ha suonato nei giorni scorsi al club Il Giardino di Sona a Verona e al Caruso di Papozze a Rovigo.

Leon, cosa ascoltavate lei e suo fratello Jimi da piccoli?

«Tantissimo blues, Robert Johnson e Muddy Waters su tutti. Quando iniziò con la chitarra Jimi suonava Chuck Berry ed Elvis prima di andare a dormire. Poi si allargò alla classica, di cui ammirava la complessità: parlava di Wagner e diceva che secondo lui aveva composto sotto LSD (ride – NDR)»

Secondo lei cos’avrebbe suonato Jimi se la sua vita non fosse finita ad appena 27 anni? Sappiamo ad esempio che aveva in programma di andare in studio con Miles Davis, una collaborazione incredibile mai concretizzatasi…

«Se non fosse morto avrebbe creato un’orchestra. Negli ultimi tempi si stava dedicando completamente allo studio della musica. Voleva imparare a scriverla e smettere di suonare per creare partiture per altri musicisti»

Ha mai vissuto da vicino il processo creativo delle sue canzoni?

«Jimi me ne parlava al telefono. Mi chiamava, ad esempio, per raccontarmi la genesi di Angel, dedicata a nostra madre Lucille. Dal vivo – spiega Leon Hendrix – quando vengo in Europa, scelgo di suonare i brani legati alla famiglia, condividendone il significato con il pubblico»

Ad esempio?

«In scaletta c’è “Castles made of sand”. La prima parte del brano è figlia dei vecchi litigi tra i nostri genitori. La seconda parla di un ragazzo indiano ucciso nella notte: detto che per il ramo materno abbiamo origini legate ai nativi americani, la storia di quel ragazzo deriva dal trauma che Jimi visse quando un giorno io fui portato via dagli assistenti sociali. La terza parte racconta di una ragazza sulla sedia a rotelle che decide di morire: è Lucille»

Qual è il brano musicalmente più complesso di suo fratello?

«Direi Little Wing per la completezza dell’arrangiamento»

La vera eredità di suo fratello?

«È la sua musica, che per metà parla di amore, unione tra le persone e diritti umani. C’è ancora tanto da scoprire in quei testi. Il significato del nome Lucille è “portare luce” e credo che con Jimi nostra madre abbia fatto al mondo un regalo prezioso»

Di lui conserva ancora qualcosa?

«Gli anelli che porto alla mano sinistra sono suoi. A casa ho alcuni appunti, filmati inediti, braccialetti. Nel mio precedente passaggio in Italia ho indossato una sua giacca»

Lei quand’ha iniziato a suonare la chitarra?

«Ne chiesi una quand’avevo tredici anni ma mi fu risposto di no perché ce l’aveva già Jimi. Poi tanti anni dopo, quando lui non c’era già più, è successo un fatto che ho voluto leggere come un segno: ci fu un terremoto, in garage avevo una vecchia chitarra ricoperta di polvere e le vibrazioni la ripulirono, come invitandomi a prenderla in mano. Finché nel 2006 ho pubblicato il primo dei miei album…»

(di Matteo Soro –Link)

— Onda Musicale

Tags: Miles Davis, Elvis, Chuck Berry, Muddy Waters, Jimi Hendrix, Robert Johnson
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