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Dietro le quinte di “Born In The USA”, il capolavoro di Bruce Springsteen.

Un estratto dal nuovo libro di Brian Hiatt,Bruce Springsteen: Le storie dietro le canzoni“, racconta la complessa storia di “Born in the U.S.A.”

Intorno al 1978, Bruce Springsteen si ritrovò a leggere “Born on the Fourth of July”, un diario di guerra molto crudo di Ron Kovic, che tracciava la sua giovane esperienza nei Marines americani, alimentata da un sentito patriottismo e pagata al prezzo di una paralisi dalla vita in giù, che lo convertì a un attivismo contro la guerra.

Poco dopo quel libro pescato in una drogheria in Arizona,  Springsteen si imbattè in Kovic in persona in una piscina al Sunset Marquis a Los Angeles. Srinsero amicizia  e Kovic lo mise in contatto con l’attivista Bobby Muller, co-fondatore dei veterani d’America dal Vietnam. Jon Landau ha poi contribuito ad organizzare per Springsteen e la E Street Band un concerto di beneficenza per questa organizzazione nel mese di agosto del 1981, con un gruppo di veterani, molti dei quali disabili.

Quando Springsteen tornò a casa, il mese successivo, e cominciò a scrivere le canzoni che poi finirono nell’album Nebraska, iniziò ad abbozzare qualcosa chiamato “Vietnam“, forse prendendo qualche ispirazione leggera dal classico inno di protesta di Jimmy Cliff, che aveva lo stesso nome. Poco dopo aver scritto “Vietnam“, Springsteen ha modificato il titolo della bozza e ha iniziato a trasformare la canzone. Il primo ritornello diceva “Born in the USA“.

Springsteen aveva registrato “Born in the USA” sul suo registratore a quattro tracce insieme al resto delle canzoni del disco Nebraska, compresa la cassetta che ha inviato al suo manager e co-produttore, Jon Landau. Nell’aprile 1982, Springsteen e la E Street Band tornarono allo Studio A alla Power Station, con l’intenzione di districare il bandolo delle canzoni abbozzate per l’album.

Springsteen ad un certo punto tirò fuori “Born in the USA“. Come ricorda Roy Bittan , la suonò con la chitarra acustica e la cantò per la band, piuttosto che farla ascoltare dal demo inciso sul quattro tracce. A quel punto, la melodia si era evoluta, e Bittan ricorda di aver tirato fuori un motivo di sei note dal ritornello che Springsteen stava cantando.

Quando l’ho sentito cantare, ho detto: “Questo è un riff” – dice Bittan . un riff molto succinto e semplicistico”. Andò al suo nuovo Yamaha CS-80, un sintetizzatore analogico altamente versatile ed iniziò a plasmare un suono. “Ascoltavo sempre intensamente i testi per vedere di che diavolo parlava la canzone.

Così ho sentito di cosa stava parlando, e quello che ho cercato di evocare è una sorta di suono strano e sintetizzato che evocasse scenari sud-est asiatici. E ho suonato il riff che aveva strimpellato Bruce“. La seconda volta che Bittan suonò il riff, Max Weinberg già accompagnava a ritmo di batteria.

Il passo sucecssivo è semplce. Danny Federici si accodava con il piano e Steve Van Zandt con la chitarra acustica. La canzone stava iniziando as uscire fuori al completo. “Bruce ha sentito Max e me, e ha detto: ‘Aspetta, aspetta, aspetta, aspetta. Fermati. Ok. Riavvolgi il nastro – dice Bittan – Hanno tutti gli accordi? Sì, tutti avevano gli accordi. Ok, riavvolgi il nastro”. Boom. Ed eccolo nato“.

— Onda Musicale

Tags: Bruce Springsteen
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