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Ivan Graziani, “I Lupi” e la storia del primo grande successo

Ivan Graziani con la sua chitarra

Quando, nel 1977, esce l’album I Lupi, Ivan Graziani è già un vero veterano dei palchi di tutta Italia. Nonostante ciò, e nonostante le pregiate collaborazioni, Ivan non ha ancora centrato il vero successo.

Proprio una delle canzoni de I Lupi, uscita all’inizio come lato B della title track, darà a Ivan Graziani la grande notorietà. Si tratta di Lugano Addio, prima di tante ballate perfette composte dall’abruzzese.

Ivan Graziani nasce a Teramo il 6 ottobre del 1945. Una leggenda dura a morire lo vorrebbe nato in mare aperto, durante una traversata sul traghetto Olbia-Civitavecchia, storia più volte smentita. Il lato creativo gli viene forse dal padre, fotografo di matrimoni immortalato in Io mi annoio del ’91.

Graziani fa subito vedere il suo talento come disegnatore e come batterista autodidatta; Sergio, il fratello, è meno dotato per la musica, ma dobbiamo a lui l’amore di Ivan per la chitarra. Proprio lo strumento abbandonato dal fratello, visti gli scarsi esiti con la sei corde, diventa l’ossessione di Ivan Graziani ragazzino.

Senza studiare – per non farsi limitare nella creatività – il giovane Ivan mette a punto uno stile tutto suo. Impara con quell’acustica da quattro soldi a suonare come se fosse una chitarra elettrica; il rock’n’roll americano, il blues nero sono le prime ispirazioni, ma anche il folk locale e il beat che impazza arrivando da Oltremanica.

Nino Dale, piccola celebrità locale col suo complesso dei Modernists, lo sente suonare in un concorso scolastico e lo ingaggia. I concerti tra balere e sagre paesane sono la prima palestra del cantautore. Con Nino Dale and his Modernists, Ivan debutta anche come cantante. L’ingresso all’Università di Urbino segna la fine di questa prima esperienza artistica.

La voglia di Ivan Graziani di suonare non si esaurisce, e il giovane mette su una band piuttosto scombinata anche nella città marchigiana. Con Velio Gualazzi, batterista sui generis e padre di Raphael, fonda il gruppo Ivan e i Saggi; l’ingresso di Walter Monacchi, bassista dalla tecnica inizialmente solo millantata, la band decolla e cambia nome in Anonima Sound.

La fine degli anni ’60 è un periodo piuttosto confuso per la carriera di Graziani; gli Anonima Sound spostano il sound sempre più verso il nascente prog, anche grazie all’ingresso del tastierista Roberto Carlotto, detto Hunka Munka. Graziani se ne discosta pian piano, prendendo a pretesto la chiamata alla leva. Suonerà comunque il basso in due brani di Red Tape Machine, primo disco progressivo del complesso.

Nello stesso periodo Ivan ottiene qualche primo, timido successo tra Cantagiro e altre manifestazioni. Mogol in persona gli offre una sua canzone, Non Credere, che Ivan – che ha ambizioni da autore – rifiuta. L’errore è madornale, la canzone è bellissima e nella versione di Mina sarà un successo milionario. Ivan la registra con un arrangiamento azzeccato, ma poi rifiuta di pubblicarla. Il pezzo uscirà più di quarant’anni dopo e non fa che aumentare il rimpianto per uno dei tanti what if della storia della musica.

Ivan è comunque ormai un nome noto nell’ambiente musicale, specie quello di Milano; spesso viene richiesta la sua presenza come chitarrista e così il nostro collabora coi più grandi nomi dell’epoca. In mezzo a un paio di LP che sono più che altro bizzarri esperimenti, – Desperation in inglese e Tato Tomaso’s GuitarsLa Citta che Vorrei è il vero debutto del teramano.

L’album non sfonda ma ottiene un piccolo successo; nell’ambiente dei musicisti, però, Ivan Graziani è sempre più lanciato. Perfino Lucio Battisti, il nome più influente dell’epoca, gli mette addosso gli occhi e lo vuole nel suo gruppo per La batteria, il Contrabbasso, Eccetera. E proprio con la Numero Uno di Battisti e Mogol Graziani realizza Ballata per Quattro Stagioni.

Il momento dei capolavori è giunto, gli ingredienti ci sono tutti e a trentadue anni Ivan Graziani è pronto per sfondare. I Lupi del 1977, con l’aiuto per arrangiamenti e produzione di Antonello Venditti, è il disco cruciale; non il più riuscito o quello di maggior successo, forse, ma quello in cui la magica ricetta di Ivan è pronta.

La musica italiana – si sa – non è mai stata sulla cresta dell’onda nel rock. Gli anni Settanta sono divisi tra il cantautorato e il rock progressivo. Il primo spesso è più attento ai contenuti e ai testi che non alla forma musicale; per il prog vale il contrario, anche se spesso i due generi si incrociano in modo virtuoso. La figura del cantautore rock, al di là di qualche effimero esperimento e dei primi successi di Eugenio Finardi, nasce proprio con Ivan Graziani.

I Lupi si apre con la traccia omonima; il testo, sulla guerra e sulla diserzione, è a tratti criptico e di una durezza nuova per la scena italiana. La fusione tra la chitarra e la voce è perfetta; il giro, basato su un’ossessionante alternanza Sol-Fa è tipicamente rock, mentre il falsetto di Ivan nel ritornello è da brivido. Un attacco che colpisce subito diretto al cuore l’ascoltatore e un brano destinato a rimanere.

La successiva Motocross è emblematica di certi pezzi di Ivan Graziani; canzoni che sono veri e propri racconti o – se volete – cortometraggi. Storie con un improvviso ribaltamento della prospettiva che lascia spiazzati i fruitori. Il 250 giapponese per cui il protagonista firma un pacco di cambiali è simbolo di libertà e di facili conquiste, almeno all’inizio.

L’arrangiamento è più elettrico del precedente, con la chitarra di Ivan che si insinua con riff sottili e un basso corposo che tiene la scena. La storia della conquista di una ragazza magra come un giunco finisce per rivelarsi un astuto piano criminale. La moto viene rubata e l’improvvisato centauro riempito di botte dai complici della giovane. I lividi passano e quello che rimane è un piccolo capolavoro, un bozzetto della vita di provincia e dell’abilità di Graziani nel trovare melodie perfette.

Una menzione al linguaggio e alle descrizioni di Graziani, quasi fumettistiche nella loro secca efficacia; la ragazza magra come un giunco, coi fianchi da bambina e i tipi da galera valgano come esempio.

Ancora una splendida prestazione alla chitarra acustica fa da ossatura a Zorro, altro delicato bozzetto di provincia. Tra immagini più o meno visionarie e poetiche, la storia di Zorro degli stracci, probabilmente un senzatetto, fa da sfondo alla scintillante chitarra di Ivan.

Ninna Nanna dell’Uomo è una delicata ballata in dialetto abruzzese, unica nel repertorio del cantautore. Dolce e melodica, a tratti commovente nelle parole, risulta però vagamente disorganica nel corpo dell’album. Un esperimento saggiamente non replicato ma che va ascoltato come omaggio alle radici dell’artista.

Il lato B si apre con Lugano Addio, uno dei primi, grandi capolavori di Ivan Graziani. Ballata che mischia vari piani narrativi e che gioca sul filo della malinconia, un sentimento caro alla poetica di Graziani. Tutto è perfetto in questa canzone, dall’appiccicoso po-po-po allo struggente piano, dalle parti del più ispirato Elton John.

La storia del ricordo di Marta si sovrappone ai ricordi d’infanzia di Ivan; le scarpe da tennis bianche e blu, seni pesanti e labbra rosse e la giacca a vento o i capelli fermi come il lago sono immagini degne di un regista cinematografico. A questi versi si contrappongono i ricordi del padre, delle reti sul mare e delle bestemmie, con un effetto malinconico a cui è difficile rimanere indifferenti. A meno di non avere un cuore.

Lugano Addio è il primo successo da Hit Parade e uno dei brani immortali di Ivan Graziani. Il titolo può essere visto come una citazione di Addio a Lugano, inno anarchico, data anche la storia del padre di Marta.

Eva è un riuscito e a tratti criptico ritratto femminile. Musicalmente si sente ancora qualche eco di Elton John (Daniel), mentre il testo sembra debitore in parte a qualche passaggio di De Gregori. Ancora un brano piuttosto piacevole e riuscito, dalle giuste atmosfere dopo il climax del pezzo precedente.

Il Topo nel Formaggio ha invece il suo punto di forza nel testo surreale e corrosivo, ma soprattutto nell’indiavolata chitarra acustica di Ivan. Opportunamente elettrificata, la prima parte avrebbe connotati in tutto e per tutto heavy metal. I successivi passaggi offrono vari cambi di tempo e atmosfere, quasi un pezzo prog in miniatura. La parte finale è quasi country-rock, dalle parti dei Creedence Clearwater Revival.

La chiusura del disco è affidata a Il Soldo, brano melodico e mediterraneo, forse il più affine all’arte di Lucio Battisti; il testo propone una serie di immagini di forte suggestione ma di difficile comprensione. Diciamo che – rispetto ai capolavori – Il Soldo è un brano non proprio memorabile ma che comunque chiude piacevolmente il lavoro di Ivan Graziani.

Un cenno conclusivo sulla bella copertina, con un ritratto di Ivan che offre vari spunti tratti dalle canzoni.

I Lupi, come detto, non è il disco di maggior successo e forse nemmeno il più equilibrato di Graziani; è però un disco di importanza incalcolabile non solo per il teramano, ma per tutta la musica italiana. Col lavoro di Finardi e Bennato, e di lì a poco Camerini, Ivan Graziani è il vero iniziatore del cantautorato rock all’italiana.

“Riusciva a cantare sulla chitarra elettrica come nessuno in Italia sapeva fare.”

Antonello Venditti

La citazione è di Antonello Venditti e forse non c’è nulla da aggiungere, in fondo.

— Onda Musicale

Tags: Antonello Venditti, Elton John, Ivan Graziani, Creedence Clearwater Revival
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