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“Fresh Cream”: l’esordio del supergruppo di Clapton, Bruce e Baker

La copertina di Fresh Cream

Quando nel giugno del 1966 nascono i Cream, non sta solo nascendo una nuova band; sì, perché coi Cream nasce anche un fenomeno nuovo per il rock: quello del supergruppo.

Ed è proprio questo l’intento cui mirano i tre componenti del complesso, Eric Clapton, Ginger Baker e Jack Bruce. I tre, a cui certo non difetta l’autostima, si ritengono il meglio (Cream) sulla piazza britannica del rock. E, va da sé, ritengono la Gran Bretagna la nazione numero uno del genere musicale.

Siamo al tempo dell’esplosione del British Blues, un fenomeno che porta alla rinascita del blues anche di là dall’Oceano, dove il genere aveva avuto i natali. Non solo, dal blues britannico nascerà un modo nuovo di fare rock, quello che conosciamo ancora oggi, a superare rock’n’roll e beat.

In quel momento Eric Clapton è signore e padrone della scena chitarristica britannica; Clapton is God è la scritta che campeggia sui muri londinesi e schiere di ragazzini lo imitano e idolatrano. Dopo una breve gavetta con gli Yardbirds – abbandonati perché troppo commerciali – ha già lasciato il segno con Bluesbreakers, disco cult di John Mayall. Ma Eric, fin da allora, sfoggia un carattere non proprio facile, umorale e incline a dipendenze e eccessi. Clapton non è mai contento e, all’indomani del successo, è già in cerca di qualcosa di diverso.

Ginger Baker e Jack Bruce si conoscono bene e non si sopportano. Hanno suonato insieme nella Graham Bond Organisation e non si sono mai presi, per la vecchia storia dei troppi galli nel pollaio. Baker è un batterista di grande talento che si trova a suo agio nel jazz, ma non fa troppe differenze se si tratta di suonare blues, rock o musica etnica. Jack Bruce si ritiene il numero uno tra i bassisti – per distacco – ed è inoltre un ottimo cantante e un buon compositore.

La prima volta che incontrai Jack Bruce fu nel dicembre del 1965 e subito mi colpì la sua versatilità musicale. Una sera, mentre Ginger Baker mi stava riaccompagnando a casa sulla sua Land Rover, mi disse che voleva creare un nuovo gruppo. La cosa mi colpì perché stavo pensando anch’io da un po’ alla stessa cosa. Dissi subito di sì. Ma poco dopo feci notare a Ginger che ci mancava un bassista e gli proposi Jack Bruce. Baker replicò che Jack aveva un pessimo carattere ma che era sicuramente il miglior bassista in circolazione. Era fatta.” (Eric Clapton)

Bruce e Baker mettono da parte i precedenti dissapori e quando la notizia inizia a circolare il gruppo è già un caso. Non si sa ancora come si chiamerà, né che musica suonerà, ma tutti sono disposti a scommettere che sarà la miglior band di Londra. La scelta della parola Cream come moniker non è casuale: i tre musicisti si ritengono la crema della scena musicale.

Con questi presupposti e con un tale dispiegamento di talento ed ego, le certezze sono due: i Cream saranno una band formidabile, ma difficilmente gestibile. Si riveleranno certezze incise nel granito.

I tre iniziano a provare nel salotto della casa di Baker in Braymare Avenue, in un clima di elettricità. “Fu un pomeriggio di grande eccitazione. Ricordo che – è ancora Eric a parlare – appena si videro Ginger e Jack iniziarono a litigare. Jack aveva rilasciato un’intervista in cui si era lasciato scappare la notizia della nascita dei Cream. Il clima si surriscaldò in fretta, ma si acquietò altrettanto velocemente. Così iniziammo a provare. Non avevamo molto materiale su cui lavorare. Per fortuna Jack aveva raccolto un po’ di pezzi da elaborare.”

Il trio fa subito scintille e – reclutato il poeta Pete Brown per i testi – è quasi subito pronto per registrare. A ottobre esce il primo singolo, Wrapping Paper, a firma Cream. Ma i guai iniziano subito: “Tutti avevamo lavorato alla composizione di quel pezzo – dichiarerà Baker – ma quando uscì mi accorsi che portava la firma di Brown e Bruce. Ci rimasi di stucco.” L’atmosfera di novità aiuta però a superare in fretta i dissapori: a dicembre il primo album, Fresh Cream, è pronto per uscire.

Il disco fa immediatamente capire di essere di fronte a qualcosa di nuovo, anche se forse ancora acerbo. Le difficoltà, nonostante quello che oggi definiremmo hype, non sono poche; Eric Clapton al proposito dichiara: “Avevamo un budget ridicolo per il nostro primo disco. Il nostro produttore era Robert Stigwood. E né io né lui avevamo idea di come si facesse un disco. Io, poi, non avevo imparato niente dalla mie esperienze precedenti e in realtà non me ne importava nulla. Ad ogni modo, provammo i pezzi un paio di volte e poi li incidemmo. Fu tutto molto improvvisato, ma davvero forte.

Fresh Cream inizia con I Feel Free, pezzo che porta la firma di Jack Bruce e si apre con una prestazione esclusivamente vocale; strano per i tre migliori strumentisti sulla piazza. Bruce fa subito vedere le sue qualità vocali con un superbo falsetto e una prestazione più roca nelle parti in staccato. La vera protagonista è però la chitarra di Clapton, che sfoggia un suono particolarmente saturo e sciorina i lick a cui Slowhand ha già abituato i fan.

Qualcosa è però effettivamente inedito nel sound dei Cream; certo, c’è il blues e anche reminiscenze beat, ma il tutto è filtrato da una sensibilità psichedelica che fino ad allora si era sentita poche volte.

La seguente N.S.U. è ancora un parto di Bruce ed è di nuovo un rock sostenuto che ricorda in parte gli Yardbirds; questo avviene soprattutto nel finale, con una sorta di rave-up che ospita il breve e incisivo assolo di Clapton.

Con Sleepy Time Time siamo finalmente in pieno ambito blues. Si tratta di una tipica rivisitazione british, indolente e con qualche tratto leggermente più melodico, ma perfettamente riuscito. La chitarra di Eric Clapton riprende il filo lasciato sospeso con John Mayall, una prestazione ottima, languida e suggestiva. La sei corde spesso doppia il canto di Bruce e – in definitiva – riempie ogni spazio con deliziosi fill. Il basso di Bruce è uno spettacolo e ricama una fitta trama in sottofondo, così come la puntuale batteria di Baker.

Il lungo assolo di Clapton è sì derivativo dai suoi idoli blues, ma mostra come lo stile più genuino di Eric vada delineandosi. Oggi brani del genere sono sentiti mille e mille volte, tuttavia non dobbiamo dimenticare che all’epoca è un sound decisamente nuovo. Quasi una rivoluzione, con quei suoni così saturi e in primo piano; dai tempi degli Yardbirds paiono passati cent’anni, e invece tutto avveniva solo un paio d’anni prima.

Dreaming è ancora una composizione di Jack Bruce, un breve intermezzo dalle atmosfere quasi da ballata fifties. Un brano melodico e romantico, quasi straniante nel contesto di un disco altrimenti molto compatto. Sweet Wine fa parte dei brani che riprendono in parte il suono degli Yardbirds, con un’ampia sezione centrale appannaggio soprattutto della chitarra di Clapton. Eric fa urlare a dovere la sua sei corde, anche per mezzo di sovraincisioni ed effetti vari, mentre gli altri strumenti alzano il volume creando un vero muro di suono.

La prima facciata del vinile si chiude con Spoonful, cover del celebre standard blues inciso da Howlin’ Wolf e mille altri. Il pezzo dura più di sei minuti, una vera novità – quasi una provocazione – per l’epoca; è il nuovo blues che viene codificato, una prestazione che inciderà non poco sulla nascita dei Led Zeppelin e di tutto l’hard blues, poi hard rock, che verrà. I volumi sono amplificati all’inverosimile, la chitarra suona vicina in modo inquietante, quasi ululando.

Jack Bruce mostra le sue qualità anche all’armonica, ma è di nuovo Slowhand a prendersi la scena. Clapton, inutile negarlo, coi Cream è all’apice della sua ispirazione; in ogni traccia c’è materiale da studiare per intere legioni di chitarristi. Il suono passa dall’essere cupo e roccioso a seminare lick nel più puro stile di Chicago; la durata del brano è dilatata come in una performance live, tutte cose mai sentite all’epoca.

La seconda facciata si apre come si era chiusa la prima, all’insegna del blues. Cat’s Squirrel è un altro standard strumentale, arrangiato da Bruce e Clapton.

Il brano verrà riproposto un paio d’anni dopo dai Jethro Tull che si baseranno su questo arrangiamento. Ancora una volta la chitarra di Eric Clapton la fa da padrona, ma Jack Bruce sfodera un’ottima verve all’armonica.

Four Until Late è un breve omaggio a Robert Johnson, già allora grande amore artistico di Clapton. Lo stesso Eric presta la sua voce – piuttosto compassata – a questa versione, che si discosta molto dall’originale. La resa soft e quasi melodica ricorda più Big Bill Bronzy che non il dannato Robert Johnson. La parte solista è gestita da Jack Bruce e dalla sua armonica a bocca.

Rollin’ and Tumblin’ è ancora una cover blues, stavolta dallo sconfinato repertorio di Muddy Waters. Siamo di fronte a quasi cinque minuti di scatenato sabba blues; la voce di Bruce, un credibile bluesman british, è doppiata dalla chitarra di Clapton. Il break centrale, senza un vero assolo di qualche strumento, richiama ancora i rave-up alla Yardbirds.

I’m So Glad è uno dei pezzi più famosi di Fresh Cream, coverizzato l’anno dopo dai primi, psichedelici Deep Purple. Il brano è una resa tra il pop e la psichedelia di un brano dell’oscuro bluesman Skip James. Skip è uno dei musicisti del Delta più ingiustamente sottovalutati, oggetto di tardiva riscoperta negli anni ’60. Certo, il brano dei Cream – tre ragazzi bianchi e benestanti della Swingin’ London – è completamente spogliato dell’umanità sofferta di James, ma è comunque efficace.

L’assolo di Clapton per una volta si discosta da certi cliché blues e non manca di una sua festosa freschezza. Un brano riuscitissimo e un I’m So Glad che risuona quasi come un mantra.

La chiusura del disco è affidata a Toad, composizione di Ginger Baker. Il brano è basato su un riff potente e qualche reminiscenza beat; sono elementi che fanno da trampolino al lungo assolo di batteria di Ginger, che si prende in extremis le luci della ribalta. L’assolo di batteria da sempre divide gli appassionati e in genere è quanto più gradito quanto è breve.
Qui Ginger si sbrodola un po’ addosso e i cinque minuti di Toad, che diventeranno molti di più dal vivo, non trascorrono proprio lieti.

Va però detto che anche il fatto di inserire un break di batteria così lungo su disco è una novità targata Cream. In definitiva, Fresh Cream è un ottimo disco, ancora godibile dopo aver ben oltrepassato la cinquantina. Certo, i Cream di là da venire faranno ben altro, già con Disraeli Gears di qualche mese dopo, ma Fresh Cream è comunque un disco a suo modo seminale.

Qui sono gettati i semi di tutto il rock-blues e l’hard rock che impazzeranno per gli anni successivi. Anni che vedranno i Cream come pionieri di una certa musica dura, ma già disciolti da anni, piegati sotto l’ego di tre grandi musicisti.

— Onda Musicale

Tags: Yardbirds, Muddy Waters, Eric Clapton, Cream, Ginger Baker
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