Recensioni e Interviste

Parola ai Libri!…Con Donato Zoppo

Posseggo una libreria molto ricca e variegata. Col tempo, mi sono accorto c’è un autore che occupa uno spazio rilevante nella mia collezione: lo scrittore, giornalista, conduttore radiofonico, Donato Zoppo.

Da qui l’idea di far parlare i suoi libri, attraverso una serie di interviste che mettono in luce i suoi lavori, sostenuti da anni e anni di ricerca ed esperienza sul campo.

La prima puntata di Parola ai libri! è dedicata alle pubblicazioni su Lucio Battisti:
  • 1. “Amore, libertà e censura. Il 1971 di Lucio Battisti” (Aereostella, 2011).
  • 2. “Il nostro caro Lucio. Storia, canzoni e segreti di un gigante della musica italiana” (Hoepli, 2018).
  • 3. “Con il nastro rosa. L’ultima canzone di Mogol e Battisti e la fine del sogno” (GMpress, 2020).


Cosa ha ti ha portato a scrivere dei libri su Lucio Battisti?

“Sono tre libri diversi, con motivazioni diverse, pur avendo come filo conduttore l’opera di Lucio Battisti. La più importante delle tre riguarda il primo: “Amore, libertà e censura”. “Amore e non amore” del 1971 mi piaceva molto per la sua venatura Progressive. In vista del suo quarantennale pensai di fare un’indagine su questo Lp. La prima storica motivazione, quindi, è specifica, legata a un album di un Battisti musicalmente eccentrico, sociologicamente e artisticamente interessante anche perché censurato. Anni dopo la Hoepli mi ha proposto una biografia vera e propria, così è nato “Il nostro caro Lucio”. Infine, per il terzo libro – “Con il nastro rosa” – la motivazione è stata la voglia di esplorare una singola canzone.”

“Ancora oggi ho voglia di scrivere su Battisti, infatti non escludo di riprendere la materia. La motivazione principale consiste nel fatto che Lucio ha lasciato un incredibile patrimonio di cultura popolare, che caratterizza fortemente la produzione musicale italiana. Siccome è stato un personaggio enigmatico, misterioso e sfuggente, è chiaro la motivazione giornalistica di una indagine è molto forte. Ad esempio, un libro che scriverei su di lui è su “E già” (1982), il suo primo disco senza Mogol: un disco autobiografico, di transizione, che ha avuto una lenta riscoperta nel corso degli anni. Credo che tutti gli autori che si sono cimentati con Battisti siano partiti dal desiderio di dare una risposta a questo personaggio così intrigante.”

1. “Amore, libertà e censura. Il 1971 di Lucio Battisti” (Aereostella, 2011).

“Il contesto di questo libro è legato fortemente alle caratteristiche del disco: come sempre, dietro ad un album c’è un percorso di vita dell’autore, che, nella maggior parte dei casi, è molto complesso, caratterizzato da diversi elementi. Amore e non amore del 1971 è un disco che non annoveriamo tra i suoi capolavori ma è ricco di musica, di provenienze e direzioni: è l’ultimo album registrato per la Ricordi prima di passare alla Numero Uno, fondata da lui stesso insieme a Mogol e al padre di Mogol; Battisti era un onnivoro, si era innamorato del rock-blues inglese e americano, così aveva voglia di fare un disco un po’ alla Led Zeppelin, alla Jimi Hendrix, improvvisando in studio, togliendosi degli sfizi dunque. Inoltre alcuni brani seguivano la scia di quel Progressive che stava pian piano arrivando in Italia, con la caratteristica di contenere larghi spazi strumentali con l’orchestra e lunghissimi titoli scritti da Mogol.”

“In terzo luogo una modalità che stava prendendo piede anche in Italia: quella del concept album, elemento tipico di tutto il Rock Progressivo, in questo caso, espresso dal percorso narrativo sull’“amore” e sul “non amore”. Altro elemento importante è l’avvento delle grandi copertine: in Italia, fino ad allora, non c’era l’idea angloamericana della copertina come “opera d’arte” che introduceva al mondo sonoro. “Amore non amore” ha tutto un lavoro concettuale sulla copertina, con i cavalli, una donna nuda e un Battisti versione “hippie triste” a dare un ulteriore elemento socio-musicale.”

“A causa sia della donna nuda presente in copertina che dei temi scabrosi affrontati (ad esempio, il sesso), questo disco fu censurato. Ho avvertito la necessità di ricostruire la vicenda legata alle dinamiche della Rai dell’epoca: trattandosi di un regime di monopolio, in assenza di tv e radio private, la censura Rai significava totale assenza mediatica. Un ulteriore elemento legato al contesto era la presenza della PFM: i musicisti che hanno suonato per Battisti, terminate le registrazioni per questo disco, diventeranno la Premiata Forneria Marconi, straordinari e rivoluzionari protagonisti del rock italiano.”

“Se si mettono insieme tutti questi elementi, viene fuori un disco che era davvero impossibile non raccontare. L’ho fatto attraverso numerose interviste a tutti i protagonisti, e l’indagine ha avuto risultati molto positivi. Il libro è, infatti, strutturato con il racconto di tutta la genesi di “Amore e non amore”, con interviste, il racconto della copertina, l’analisi pezzo per pezzo, e, infine, il meccanismo della censura. La parte più interessante è il contesto: attraverso Battisti, ho raccontato un pezzo di storia di arte, musica e costume in Italia. Piccola curiosità sulla foto di copertina del libro, ad opera di Bruno Marzi: è una foto inedita. L’editore ha scelto volutamente la foto di un Battisti sorridente – era piuttosto raro – e risale proprio alle sedute di “Amore e non amore”. Questo disco rimase nel cassetto per un anno: la Ricordi non lo voleva pubblicare, non era molto radiofonico. Infatti ha venduto poco all’epoca, ma è stato rivalutato molto negli anni.”



2. “Il nostro caro Lucio. Storia, canzoni e segreti di un gigante della musica italiana” (Hoepli, 2018).

“Hoepli aveva lanciato una collana di studi musicali curata da Ezio Guaitamacchi, dedicata al rock straniero. Avendo il desiderio di una collana dedicata anche ai principali artisti italiani, non si poteva non aprire con Lucio Battisti. Ezio, con il quale collaboro da anni, ha pensato a me come “cultore battistiano”, facendo esordire la collana Storia della canzone italiana / I protagonisti con “Il nostro caro Lucio. Storia, canzoni e segreti di un gigante della musica italiana”. Il libro uscì in occasione del ventennale della sua morte (1998-2018).

È una biografia vera e propria, classica, nella quale racconto tutta la vita di Battisti (ho rilasciato recentemente un’intervista al riguardo su Onda Musicale). Due sono le peculiarità: la prima è che ho intervistato tutti gli intervistabili, da sua cugina Ida Battisti, scovata a Poggio Bustone (paese natale di Lucio), fino ai musicisti inglesi che hanno lavorato con lui a partire da “Una donna per amico” (1978) fino a “Hegel” (1994), i quali hanno attribuito al racconto un aspetto “corale”, caratteristica riproposta successivamente da Carmine Aymone in “Yes I Know… Pino Daniele. Tra pazzia e blues: storia di un Masaniello newpolitano” e Michelangelo Iossa in “Rino Gaetano. Sotto un cielo sempre più blu” (entrambi appartenenti alla medesima collana); la seconda peculiarità è rappresentata dai “box”, tipici delle collane musicali della Hoepli, ipertesti che rimandano ad altri argomenti – nel momento in cui si racconta di Battisti, non si possono ignorare le vicende della discografia italiana ed internazionale. Infatti, tutto questo è utilissimo per dare al lettore spunti di riflessione per ulteriori approfondimenti; a livello di impostazione grafica, inoltre, assomiglia molto ad un magazine: il libro è diviso in dieci capitoli, che possono essere letti in maniera autonoma rispetto agli altri.”

C’è un aspetto della carriera di Lucio Battisti che vorresti evidenziare?

“Noi abbiamo una grande divisione: il Battisti amatissimo dell’epoca Mogol ed quello esoterico dell’epoca Panella. Da una parte gli anni Sessanta-Settanta, dall’altra gli anni Ottanta-Novanta. Nonostante siano due periodi diversissimi tra loro, sia per i testi che per le musiche, c’è un filo conduttore: l’elevatissima professionalità di Lucio. È dovuta ad una passione incredibile, al pari di una devozione religiosa, nei confronti della musica: questa devozione l’ha portato ad essere un attentissimo, maniacale e meticoloso ascoltatore, elaborando una sofisticata personalità musicale, sostenuta da un continuo aggiornamento individuale, senza mai scimmiottare la musica “straniera”. Questa devozione sembra essere venuta meno nel secondo periodo (quello con Panella), dove troviamo un Battisti che scompare sia visivamente che verbalmente, lasciando al pubblico “solo” la sua musica, con testi difficili ma estremamente interessanti. Ciò che mi stimola nell’effettuare ulteriori studi è l’analisi di questa fase, in cui c’è un allontanarsi “apparente” dal pubblico, dato che lo stesso Battisti ha sempre cercato di tendere una mano al suo pubblico, soprattutto in virtù del cambiamento intrapreso in continua evoluzione. Credo non sia mai stato capito fino in fondo, anche perché Battisti non aveva un carattere molto docile: passava sempre per essere presuntuoso, sfrontato, orgoglioso, e forse noi abbiamo sovrapposto la persona all’artista, dimenticandoci che, in realtà, in quella scelta, c’era una voglia di dialogo con l’ascoltatore. Spero quanto prima di metterci mano e di approfondire l’argomento.”

3. “Con il nastro rosa. L’ultima canzone di Mogol e Battisti e la fine del sogno” (GM Press, 2020).

“La spinta principale era quella di seguire il solco del primo volume della collana “Songs” di GM Press (che adesso non c’è più come editore), costituito dal racconto di “Something” di George Harrison, nel periodo finale dei Beatles. Quest’idea di raccontare il momento “di passaggio”, mi ha stimolato molto nel fare lo stesso tipo di indagine con Battisti. La separazione da Mogol l’avevo già raccontata nel “Nostro caro Lucio”; mi interessava individuare il passaggio fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, che è simboleggiato da “Con il nastro rosa”, concepita e registrata a Londra nel 1979. Lo stimolo era approfondire le caratteristiche del disco “Una giornata uggiosa”, per capire per quale motivo Battisti aveva cambiato il suo modo di fare musica. Durante tutti gli anni Settanta Battisti era assai presente in studio; nel disco “Una giornata uggiosa”, invece, lascia ampio spazio al produttore Geoff Wesley, esercitando un controllo remoto: molti buchi musicali di questo disco sono colmati dagli arrangiamenti di Wesley. Lucio interveniva esclusivamente su un profilo emozionale, soltanto per dire se la canzone emozionava oppure no. Questa è una cosa che mi ha detto Westley, dato che – ancora una volta – ho scelto la via delle interviste. Ho intervistato anche Giorgio Fieschi, autore dell’ultima intervista a Battisti (raccontata ampiamente nel libro), i musicisti inglesi presenti, infine Livio Gallo, autore della copertina. Il libro sintetizza la fine di un’esperienza e prelude all’inizio dei suoi anni Ottanta-Novanta con Pasquale Panella.
Piccola news in anteprima: sto per ripubblicare questo libro, insieme a “Something”, con l’editore Pacini di Pisa, in una nuova versione – aggiornata, riveduta e corretta – con l’introduzione di Alberto Fortis e con tante nuove interviste ad addetti ai lavori (ad esempio, Ernesto Assante e Gino Castaldo, John Vignola di Radio Rai, Valerio Corzani, Federico Guglielmi e tanti altri), i quali mi hanno rilasciato un po’ di impressioni sia sul versante Beatles che Battisti.”



Raccontaci la tua esperienza con la figura di Lucio Battisti, sia “musicale” che “personale”.

“Distinguiamo tre cose: il Donato Zoppo ascoltatore, autore e performer. Come ascoltatore, devo dire che per me Battisti è stato esemplare: è il simbolo della musica pop in Italia, ma, in virtù di questo aspetto, mi ha insegnato che non ci si deve fermare ad un primo ascolto. Il pop, che per definizione è destinato alla massa, se realizzato da musicisti seri, competenti, devoti e geniali, ha necessità di ascolti e riascolti. Battisti mi ha insegnato il dovere di ascoltare con attenzione la musica: mai accontentarsi di un unico ascolto. Ancora oggi, a tanti anni di distanza dalla mia scoperta battistiana, riascolto con immutato stupore brani quali “Il tempo di morire”, “Si viaggiare”, “Con il nastro rosa”, “L’apparenza”, “Don Giovanni”. Perché questo? Perché sono dei classici, e, per definizione, ad ogni ascolto, ad ogni lettura, ad ogni visione, hanno sempre qualcosa di nuovo da dire, dato che sono brani che fermano il tempo.”

“Per quanto riguarda l’esperienza di autore, il silenzio di Battisti da una parte e la sua complessità dall’altra, mi hanno insegnato a fare bene le indagini. La nuova e futura edizione di “Con il nastro rosa” è per me importante perché ho potuto aggiungere certe cose. Inoltre, il suo silenzio mediatico mi ha portato a concentrarmi molto sull’opera musicale, evitando la “distrazione” dei gossip e del chiacchiericcio che si crea attorno all’autore. Battisti è figlio dell’idea del disco come “esperienza”, come una combinazione di fattori – elemento musicale, testuale, grafico – che va analizzata per bene. Infatti, chi scrive di Battisti affronta necessariamente tutte le connessioni che ruotano attorno alla sua opera artistica.”

“Infine, per quanto riguarda l’aspetto performativo, all’indomani della pubblicazione del libro “Il nostro caro Lucio”, ho messo in piedi, con la band degli Uomini Celesti, uno storytelling-concert chiamato appunto “Il nostro caro Lucio”, in cui, in un paio di anni, abbiamo girato l’Italia, calcando palchi importanti (dal Festival Jazz di Roccella Ionica, al Palazzo dello Spagnuolo di Napoli). Con questo spettacolo abbiamo raccontato, con parole e musica, l’esperienza “classica” di Battisti, l’epoca con Mogol. La cosa che porto nel cuore e nella memoria è l’attenzione che il pubblico riserva non soltanto alla musica, ma anche al racconto: ti confesso che mi aspettavo che tutti sapessero dov’è Poggio Bustone, oppure perché Mogol e Battisti si sono separati, oppure le storie che si celano dietro le copertine dei dischi; invece, la maggior parte delle persone soffermandosi solo sulle canzoni famose non conoscono tanti aneddoti che diventano così molto gustosi. Quello che il pubblico mi ha donato è stato lo stupore, l’emozione, la curiosità, dicendomi di preferire molto di più la parte raccontata a quella musicata, appunto perché riscoprono dei lati di Battisti a cui non avevano mai fatto caso. I miei musicisti sono stati bravissimi nel riarrangiare da quartetto rock (2 chitarre, basso e batteria), pezzi che poi non nascono in chiave rock. Il pubblico ha risposto in maniera entusiasta, si è trovato dinnanzi ad un’operazione rispettosa, ma, allo stesso tempo, innovativa.”


Nato a Salerno nel 1975, scrive per i magazine Audio Review e Jam, dal 2006 conduce Rock City Nights (Radio Città BN 95.FM), uno dei programmi rock più seguiti in Italia. Dal 2005 dirige l’ufficio stampa Synpress44, con cui cura produzioni discografiche ed eventi culturali e musicali.

Ha pubblicato libri su Beatles, King Crimson, Area, PFM, Genesis, Lucio Battisti; alcuni di questi sono diventati fortunati eventi storytelling.

— Onda Musicale

Tags: Lucio Battisti, King Crimson
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