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“Those Were The Days”: la gloriosa avventura dei Cream (prima parte)

Gli elementi chimici possiedono strutture così variegate che se combinati insieme possono produrre reazioni positive, neutre (cioè non succede nulla), oppure esplosive.

Nella musica rock la combinazione di tre elementi è definita con l’efficace espressione di power trio: combinando tre maestri di tre differenti strumenti (es. chitarra, basso e batteria, per dire una formazione minima), la reazione chimica funziona perché la reciproca rivalità – qualora esistente – viene incanalata in un intreccio che diventa di una potenza inaudita. Peccato che all’abilità esecutivo-compositiva possano fare riscontro rapporti personali non proprio facili, se non apertamente conflittuali. Ed ecco che la miscela diventa instabile.

La storia dei Cream è la storia di una miscela che si comportò esattamente come abbiamo appena detto.

Nel trio Bruce-Baker-Clapton fu il rapporto abbastanza conflittuale tra i primi due uno dei motivi della così breve durata del gruppo: circa tre anni, dal 1966 al 1968, ma la cui eredità è più che mai viva ed energica. Non corriamo troppo: partiamo da quel memorabile 1966 per raccontare questa storia. Prima però bisogna fare un piccolo salto all’indietro nel tempo.

Siamo nella Londra del 1962, palcoscenico che vede l’esordio dei Beatles di “Love Me Do” e al Marquee Club di quei Rolling Stones nati da un’idea di Brian Jones.

Il primo incontro dei membri del futuro trio è quello tra Jack Bruce e Ginger Baker (che intendo qui omaggiare – dopo la sua scomparsa dello scorso 6 Ottobre – per tutto quello che ha dato alla Musica). Si trovano ad essere compagni di band nei Blues Incorporated, fucina di futuri fenomeni guidata da Alexis Korner, massima autorità del Blues Britannico (almeno sino a quel momento). Negli Incorporated ci sono anche l’organista Graham Bond e il sassofonista Dick Heckstall-Smith, semi che daranno vita, l’anno successivo, all’esperienza dei Graham Bond Organization.

Jack Bruce (1943 – 2014) è uno scozzese davvero versatile, dal momento che è bravo a suonare violoncello, contrabbasso/basso, armonica, chitarra e pianoforte, oltre ad avere un timbro e un’estensione vocali davvero unici e riconoscibili. Ginger Baker (1939 – 2019) è un inglese esperto in percussioni, e le padroneggia in maniera sbalorditiva: rispetto al vulcanico dinamismo di un Keith Moon – energia che spesso si trasforma in esibizioni selvagge (vedi l’esplosione della batteria in quella celeberrima esecuzione di “My Generation” del 1967) – Baker si dimostra più pacato, ma dimostra comunque un’abilità ritmica e di linguaggio percussionistico davvero magistrali. I suoi pattern ritmici sono massicci.

Il rapporto tra Bruce e Baker, nonostante il passaggio alla Graham Bond Organization (GBO, diventata tale dopo la sostituzione di McLaughlin con Heckstall-Smith, sassofonista anch’egli virtuoso del suo strumento), resta improntato su relazioni non facili, che facilmente scoppiano in conflitti tra i due. Bruce, avendone piene le scatole, lascia i GBO per trovare una propria dimensione in quell’altra fucina di fenomeni che è la scuderia dei Bluesbreakers di John Mayall, dove conosce un altro transfuga come lui, Eric Clapton (1945), fuggito da quegli Yardbirds dalle cui ceneri un giorno si leverà in volo il dirigibile dei Led Zeppelin.

Tra le fila degli Yardbirds il giovane chitarrista sentiva il proprio talento compresso e quindi non adeguatamente valorizzato, oltre al fatto che egli intendeva dedicarsi al blues, in palese contrasto con l’indirizzo stilistico del resto del gruppo. L’approdo da Mayall si rivela la scelta azzeccata per far conoscere al grande pubblico il suo cospicuo talento. Finalmente Clapton inizia ad essere considerato tra i chitarristi degni di nota, e la cosa ne accresce la fama.

Durante la pur breve esperienza nei Bluesbreakers, Clapton e Bruce si erano cimentati (Marzo 1966) nel progetto – concepito come estemporaneo – del supergruppo dei Powerhouse, composto – oltre che da Clapton e Bruce (formalmente dei Bluesbreakers) – da Ben Palmer, Paul Jones, Steve Winwood e Pete York (questi ultimi due formalmente dello Spencer Davis Group).

Dopo tutte queste avventurose esperienze, arriviamo al 29 Luglio 1966, quando si registra il big bang di uno dei gruppi più famosi della storia, i Cream. La loro prima performance sarà al Twisted Wheel Club di Manchester, a cui – due giorni più tardi – farà seguito il debutto ufficiale al National Jazz and Blues Festival di Windsor.

In Agosto sono dentro gli studi a registrare il loro primo materiale: si parte con il numero da vaudeville di “Wrapping Paper”, pezzo non troppo serio sulla fine di una storia d’amore e la conseguente nostalgia. Non finirà nella scaletta del loro album d’esordio, Fresh Cream, pubblicato il 9 Dicembre 1966 dall’etichetta Reaction Records di Robert Stigwood. L’album, pur con lievi differenze rispetto all’edizione statunitense, è il matrimonio più felice che si possa immaginare, dal momento che il blues tradizionale diventa elettrico e sfuma già verso una coloritura hard rock.

Tra le dita dei suoi membri i pezzi tradizionali (es. “Spoonful” e “Four Until Late”) ma anche quelli strumentali (un esempio fra tutti, la celeberrima “Toad”, pezzo in cui abbiamo un efficacissimo esempio della versatilità di stile del compianto Baker) nonché i brani originali, acquistano dinamicità ed energia, perché sono “elettrici” e perché suonati a volume fragoroso. Già nel loro primo LP i Cream si distinguono per uno stile che mescola abilmente la dominante voce di Bruce – in grado di spaziare da un timbro caldo e suadente a uno aggressivo e più propriamente rock, il coro quasi angelico dei tre – come in “I Feel Free” – e il suono muscoloso degli strumenti – penso in particolare a “N.S.U.”, traccia di apertura dell’edizione britannica.

Il racconto dell’epopea dei Cream prosegue nella seconda e ultima puntata. Alla prossima.

— Onda Musicale

Tags: Led Zeppelin, Brian Jones, Cream, Love me do, Ginger Baker, Keith Moon, Yardbirds, John Mayall, Eric Clapton, The Rolling Stones, The Beatles
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