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“Pigro” di Ivan Graziani, storia di un capolavoro poco celebrato

La copertina di "Pigro"

Dopo I Lupi del 1977, col successo Lugano Addio, Ivan Graziani capisce che il ferro va battuto finché è caldo. Pigro è forse il capolavoro di Ivan, sicuramente il primo del suo triennio magico.

Pigro rappresenta un’ulteriore evoluzione dello stile di Ivan, diretto verso la completa padronanza dei suoi mezzi. Depurato dalle stravaganze degli inizi e dalle reminiscenze prog de I Lupi, l’album mette a punto la rivoluzione del cantautorato rock che rende Graziani un precursore.

Infatti, se negli anni successivi artisti mainstream come Vasco Rossi o Ligabue venderanno milioni di dischi, lo dovranno soprattutto a Ivan. La formula creata da Graziani, e da altri musicisti come Eugenio Finardi, è quella di una musica d’autore con in più l’energia di arrangiamenti rock. Molti successori si limiteranno a proporre una versione diluita e depotenziata, facendo sfracelli nelle classifiche.

Ivan Graziani, del resto, può a buon diritto suonare il rock; in virtù della sua lunga gavetta, certo, in cui è passato in scioltezza dalle orchestre da ballo al rock’n’roll, dal progressive al folk. Graziani, però, ha un’arma in più: la sua chitarra. Pur non essendo un virtuoso dello strumento, Ivan sfodera una solida tecnica che gli permette grandi intuizioni ritmiche e piacevoli divagazioni da solista.

L’immagine del cantante teramano è un’altra freccia al suo arco. Le sue stravaganti mise, le bizzarre acconciature e gli occhiali dalle montature fantasiose, tutto diverrà negli anni un suo marchio di fabbrica. Eppure, ancora oggi e nonostante un periodo di grandi successi, il nome di Ivan Graziani urla vendetta e riscatto. Troppo spesso l’abruzzese viene dimenticato, troppo spesso ci si scorda di affiancarlo ai grandi dei suoi stessi anni.

Questo perché Ivan, al di là della sua forte personalità, è sempre stato un personaggio poco mediatico. A volte, addirittura, scomodo nello scardinare i luoghi comuni e nel tratteggiare con sarcasmo i vizi di una certa borghesia o nel combattere qualsiasi forma di moralismo. Nemmeno la morte prematura ne ha fatto un mito come Lucio Battisti o Dalla, anche se negli anni la sua figura è diventata oggetto di un culto che va crescendo.

Ma torniamo al 1978 e al sesto album di Ivan Graziani, registrato per la Numero Uno.
Pigro si può quasi definire un concept album, il cui filo conduttore è la pigrizia mentale e non solo. Un’indolenza che segna le vite dei protagonisti delle otto canzoni.

La copertina, a prima vista non un capolavoro di buon gusto, è invece geniale.
Realizzata da Mario Convertino, celebre grafico e designer dell’epoca, propone un maiale con indosso i caratteristici occhiali dalla montatura rossa di Ivan. La foto, che vince il premio per la miglior copertina dell’anno, mette a fuoco il carattere di Ivan meglio di tante descrizioni.

Infatti, il simpatico maialino mette in risalto la grande autoironia dell’artista, e gli occhiali ne segnano la sua indiscutibile unicità.

Pigro viene registrato nello studio Il Mulino di Anzano del Parco, di proprietà di Mogol e teatro della nascita di vari lavori di Lucio Battisti. Ivan si occupa di suonare tutte le chitarre e raccoglie una formazione scarna ma di grande tecnica. Walter Calloni alla batteria, Claudio Maioli alle tastiere, Hugh Bullen al basso e Claudio Pascoli al sax.

Il disco inizia con uno dei più grandi classici dell’Ivan Graziani graffiante e ironico, Monna Lisa. Il brano è un rock in quattro quarti, sostenuto e caratterizzato dal basso quasi disco di Bullen e il falsetto del cantante. La storia, narrata con ironia e con una taglio cinematografico, riecheggia quella vera di Vincenzo Peruggia.

Peruggia era un decoratore italiano che lavorava a Parigi e che, nel 1911, riuscì a rubare dal Louvre la Gioconda di Leonardo da Vinci. Un furto clamoroso e ben riuscito, tanto che l’opera venne recuperata solo due anni dopo. Il Peruggia, come il protagonista del pezzo di Graziani, aveva agito credendo di risarcire l’Italia dai furti di Napoleone durante le spoliazioni.

In realtà, anche se l’equivoco è diffuso ancora oggi, la Monna Lisa non fa parte del bottino napoleonico, ma fu portata in Francia dallo stesso Leonardo. Il testo di Ivan si concede parecchie licenze rispetto alla storia vera, ma risulta incredibilmente efficace. Una menzione speciale al lavoro di Graziani alle chitarre. Splendida la parte ritmica che esplode nel ritornello, praticamente con gli stessi accordi di Hey Joe; bella la scarna ma riuscita parte solista.

Si va avanti con Sabbia del deserto, pezzo minore ma godibile aperto dal sassofono. Il testo costruisce un bozzetto della vita di provincia, con l’inquietudine che cresce dentro come un cancro. Alcuni passaggi sembrano anticipare la storia di Firenze (Canzone Triste), ma l’andamento è sostenuto, quasi country.

Paolina è invece un classico mancato, un piccolo gioiello da riscoprire.
L’attacco acustico col solito falsetto e le parole che dipingono la storia di ordinaria solitudine della protagonista è da antologia. Il pezzo cresce con l’ingresso di tutti gli strumenti, compreso un evocativo piano che punteggia le strofe.

Manca forse un ritornello killer a coronare il crescendo, ma il brano rimane comunque un fulgido esempio della poetica di Graziani.

La prima facciata si chiude con Fango, numero incline al blues rock caro al Graziani strumentista. La storia è un vero racconto noir, con un giovane che si macchia di un terribile delitto, forse ingannato dai suoi stessi complici e preda di un meccanismo più grande di lui. La parte di chitarra elettrica risente qui vagamente delle radici progressive di Graziani.

Come la prima parte si era aperta con un classico, così è per la seconda con la titletrack Pigro. Pigro mette innanzitutto in rilievo la grande tecnica e fantasia di Graziani con una chitarra acustica tra le mani. La ritmica è favolosa, sospesa quasi tra rock’n’roll e flamenco, eppure talmente appiccicosa da entrare in testa e non uscirne più. Il testo è stato visto come un’accusa alla borghesia, tanto attenta alla forma ma poco incline alla sostanza.

Tutto vero, ma Pigro nasce da un aneddoto curioso.
Le canzoni dell’album, infatti, vedono la luce in gran parte a Teramo, nella casa di famiglia dove i Graziani usavano riunirsi per l’estate. Ivan non ha mai fatto mistero in alcuni testi di essere l’elemento più particolare, per non dire la pecora nera, della sua parentela. A casa c’era soprattutto il confronto col fratello Sergio, prima studente modello e poi docente universitario in Canada.

Pigro prende spunto dai rimproveri dell’uomo al figlio e dai rimbrotti della moglie verso l’uomo, accusato di riprendere il bambino per delle sciocchezze ma di essere poi poco incline all’azione. Ivan ascolta, metabolizza e crea – non si sa quanto bonariamente – il personaggio della canzone, che cita i classici a memoria ma non distingue il ramo dalla foglia.

Ancora intrisa di ironia è Al festival slow folk di b-Milano, acuta presa in giro di tanti artisti che nascondono sotto una patina snob e intellettuale il vuoto dei contenuti. Musicalmente siamo di fronte a uno degli episodi più vari e meno classificabili di Pigro. Si va dal rock’n’roll a improvvisi rallentamenti; interessante, ma forse l’episodio meno riuscito del lavoro.

La successiva Gabriele D’Annunzio è invece di nuovo un riuscitissimo bozzetto di miserie umane. Il protagonista non il Vate, ma un suo omonimo, umile contadino. Graziani però si tiene saggiamente a distanza dallo stereotipo delle tradizioni da preservare. L’uomo, infatti, è un erotomane, compulsivo consumatore di porno che alla domenica va a messa a spiare le donne degli altri e che non si lava, perché l’uomo ne perde.

Imbevuto di culturale patriarcale, finisce per sposare la vedova Ricci, donna di novantadue chili che lo picchia ogni sera. A livello musicale il brano è un folk con echi beatlesiani, in cui Graziani primeggia alla chitarra acustica.

Pigro arriva così alla chiusura, dimostrando un pregio non da poco, quello di durare il giusto. Scappo di casa racconta una storia di disperazione, il rapporto morboso di una mamma col figlio e il tentativo di fuga di quest’ultimo. Il testo, sottovalutato, è uno dei più belli di Ivan Graziani e di grande valore psicologico.

Il protagonista, cresciuto dalla madre bigotta e possessiva nel disprezzo della sfera sessuale e delle donne, viste come strumenti del demonio, scappa ma non riesci a emanciparsi dalla sua educazione. In un finale drammatico, il ragazzo si copre le braccia e la testa, come faceva da bambino, sperando di ripararsi dalla furia di un mondo a cui non è stato preparato.

Concludendo, Pigro è giustamente ritenuto uno dei massimi esiti di Ivan Graziani. Un lavoro perfetto nel dosare gli ingredienti, di giusta durata, senza nulla di più e nulla di meno di quanto necessario. Monna Lisa e Pigro sono i due pezzi da novanta della raccolta, ma noi vi invitiamo a riscoprire le altre gemme di cui è disseminato.

E, soprattutto, ancora una volta riscoprire l’immensa statura di un artista che ha avuto molto dalla musica. Meno, però, di quanto meritava.

— Onda Musicale

Tags: Mogol, Vasco Rossi, Ligabue, Eugenio Finardi
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