In primo piano

Clapton – Winwood “Live From Madison Square Garden” (2009).

Il 2009 fu l’anno della mia maturità. Era l’inizio di luglio: una volta conquistato il tanto agognato titolo, mi premiai con un disco che – evidentemente – aveva attirato la mia attenzione, forse sulla base di precedenti interessi musicali.

Parlo di Live From The Madison Square Garden, doppio disco uscito nel maggio precedente a nome di Eric Clapton e Steve Winwood, due nomi di tutto rispetto, come si può constatare anche semplicemente leggendo i nomi con cui hanno collaborato nel corso della loro carriera.

Il 2009 concludeva il decennio dei quarantesimi anniversari: quell’anno toccava a Goodbye” dei Cream, ad Arthurdei Kinks, ad Abbey Road” dei Beatles, ai primi due omonimi album dei Led Zeppelin, ai tre dischi sfornati dai Creedence Clearwater Revival. La pubblicazione del doppio di Clapton/Winwood in quell’anno non era affatto casuale, dal momento che tra gli anniversari degni di nota si ricordava anche l’unico LP che i due artisti avevano pubblicato negli stessi mesi in cui uscivano i capolavori poc’anzi ricordati. In formazione con Ric Grech e Ginger Baker, avevano dato vita ad un gruppo con la G maiuscola: i Blind Faith, la cui avventura fu tanto straordinaria quanto breve, dato che si esaurì nello spazio del 1969.

L’effimero ma quanto mai potente supergruppo non nasceva propriamente dal nulla: Clapton e Winwood avevano suonato insieme in un’altra fugace esperienza, nel marzo del 1966, quando – poco prima che il primo facesse ritorno nella scuderia di John Mayall ed il secondo lasciasse lo Spencer Davis Group per formare i Traffic– si erano trovati con musicisti come Jack Bruce e Pete York per registrare alcuni brani sotto il nome collettivo di Eric Clapton and The Powerhouse. Ai Blind Faith, oltre a Clapton e Winwood, si aggiungeva un recente ex-membro dei Cream, lo straordinario batterista Ginger Baker (ad ulteriore conferma del fatto che il progetto non nasceva affatto ex novo).

L’occasione di celebrare l’unico LP dei Blind Faith risulta nel fatto che dei sei brani del vinile originario, ben quattro sono stati eseguiti durante le performances al Madison (Had To Cry Today”, “Can’t Find My Way Home”, “Well All Right”, “Presence of The Lord”). Unica traccia extra-album, ma comunque risalente a quelle storiche sessions, è il blues tradizionale di “Sleeping In The Ground”. Data la circostanza, sarebbe stato singolare il fatto di dedicare poco spazio al disco in questione (d’altronde, quarant’anni non si festeggiano ogni giorno, oltretutto ormai è quasi ora di prepararsi per i festeggiamenti del cinquantesimo).

Altra esperienza degnamente celebrata negli show newyorkesi è stato il capitolo Traffic – durato grossomodo, pur con qualche iato, dal 1967 al 1974– durante il quale Winwood si trovò a suonare con grandi nomi come Jim Capaldi, Chris Wood e David Mason, gli ultimi due particolarmente noti per essere virtuosi polistrumentisti. Dal loro repertorio migliore il disco del 2009 tira fuori un poker difficile da ignorare: “Dear Mr. Fantasy” e “No Face No Name No Number” (dal loro album di debutto, “Mr. Fantasy”, del 1967); “Pearly Queen” (dal secondo album eponimo, del 1968); “Glad” (dal celebre album del 1970 “John Barleycorn Must Die”, pubblicato dopo l’esperienza Blind Faith).

La mano di Clapton, oltre a conferire un’impronta inconfondibile al sound del disco, la si può cogliere nei brani molto probabilmente da lui scelti per la scaletta: “Little Wing” (1967) e “Voodoo Chile” (1968), gioielli di quel genio di Jimi Hendrix, che fu anche suo grande amico e che lui certamente avrà voluto omaggiare con un’interpretazione personale. Altro nome assai amato da Clapton è J.J. Cale, omaggiato nel terzetto “Cocaine” (1976), “Low Down” (1996), “After Midnight” (1966).

“Tell The Truth” invece è un pezzo rock-blues che salta fuori da “Layla And Other Assorted Love Songs” (1970), altro capolavoro nato dall’effimera (e straordinaria) esistenza dei Derek And The Dominoes (1970-1971).

In sintesi si può certamente affermare come Clapton e Winwood siano due musicisti fenomenali, che hanno suonato con altrettanti geni realizzando dischi semplicemente memorabili ed influenti. “Live From Madison Square Garden”, con le sue magnifiche interpretazioni di grandi perle musicali, entra a buon diritto nel novero delle grandi performances dal vivo. Il confronto con “Live At Leeds” (The Who – 1970) e “Concert For Bangladesh” (George Harrison and Friends – 1971) è tosto, ma con il passare degli anni non perderà occasione di irrobustire la sua fama.

 

Massimo Bonomo – Onda Musicale

— Onda Musicale

Tags: Blind Faith, The Beatles, Jim Capaldi, Led Zeppelin, John Mayall, Jimi Hendrix, J.J. Cale, Steve Winwood, Cream, Ginger Baker, Creedence Clearwater Revival, Jack Bruce, Eric Clapton, Kinks, The Who, Traffic, Abbey Road
Sponsorizzato
Leggi anche
La musicista della settimana: Brody Dalle
Ace Frehley: buon compleanno all’ex chitarrista dei Kiss