Da Los Altos, California, ecco la Chocolate Watchband, che combina rock psichedelico, garage rock e proto punk. Una bomba.
California, anni ‘60
Hai presente Haight-Ashbury? Quel quartiere di San Francisco che è stato la culla della controcultura degli anni ’60? Tutto è nato lì. E la Chocolate Watchband deve molto alla controcultura hippy. Nati, in realtà, in un’altra zona della California, Los Altos, i nostri hanno preso tutto ciò che potevano dai movimenti musicali e sociali dell’epoca, e ne hanno fatto un grande progetto che, col senno di poi, è stato tra i prodromi del punk.
Le immagini che testimoniano il periodo dicono molto: colori sgargianti; abiti che, pur essendo presi a caso dall’armadio o dalle bancarelle, seguivano una moda ben precisa; acidi in ogni momento e ogni luogo che hanno contribuito (a modo loro) alla nascita di un movimento musicale che proprio dalla differente percezione della realtà prende origine.
Questa idea che le droghe psicotrope siano in grado di non solo alterare la realtà percepita, ma anche il modo di vivere la propria vita ha dato origine alla musica psichedelica. Prima nella West Coast, poi in tutto il resto del mondo.
Donovan, The Doors, gli stessi Beatles, che hanno sdoganato un certo modo di fare musica, sono stati per anni i punti di riferimento di quella musica. Ma non tutti potevano permettersi grandi contratti discografici e prove in studi all’avanguardia.
Ed ecco quindi le Garage Band, chiamate così proprio perché il garage di casa era il luogo in cui sperimentare e creare nuova musica da mettere, con un po’ di fortuna, nel mercato.
Per prima cosa, sciogliamo la band!
Quando Ned Torney e Mark Loomis hanno deciso di formare insieme una nuova realtà musicale, i due già avevano suonato insieme. È il 1965 e al duo si unirono Rich Young, Pete Currey, Joe Kemling e Danny Phay. Ma il primo nucleo della Chocolate Watchband ebbe vita breve perché quasi tutti, per un motivo o per l’altro abbandonarono quasi subito.
Fu una vera e propria diaspora che portò più della metà del gruppo ad abbandonare per unirsi ad altre band. Compreso Ned Torney, che fu uno dei fondatori.
Così Mark Loomis si ritrovò con un pugno di canzoni e non poté fare altro che suonarle da solo. Per lo più musica da teenager: rock ‘n’ roll, folk e melodie à la Beatles che piacevano tanto a tutti. Però da solo ti rompi le scatole e Mark voleva di più. Quindi che fare?
Dopo qualche mese la pulce della Chocolate Watchband continua a saltargli da un orecchio all’altro, quindi si decide di riformarla, con un’altra formazione.
A lui si uniscono Bill’Flo’Flores, Gary Andrijasevic, Dave Tolby e Dave Aguilar. E finalmente arriva un contratto discografico e il successo.
La casa di produzione è la Green Grass Production di Ray Harris e Ed Cobb. Proprio lui sarà, però, l’artefice del loro successo/declino. Come al solito, le cose non sono mai così facili, neanche nei meravigliosi anni ’60.
I concerti e il primo disco
La Chocolate Watchband dal vivo è esuberante e selvaggia, e proprio sui concerti fonda il proprio modo di suonare accattivante e ricco di rock cattivo e distorto (per l’epoca). I suoni sono aggressivi, e grazie alle loro performance gli vengono aperte le porte ad eventi epocali, come l’apertura di diversi concerti dei Greatful Dead.
Il primi dischi a 45 giri vendono bene. Complice anche il solito Dylan che tutti omaggiano reincidendone brani vari (in questo caso, It’s All Over Now, Baby Blue). Ma i ragazzi hanno voglia di seguire la corrente e farcisi trasportare. Vogliono sperimentare e incidere materiale di loro produzione. E così nasce Misty Lane il quale, però, viene accoppiato con una ballata che poco ha a che fare con il loro progetto.
È Ed Cobb che gestisce tutto, ed è lui che scrive e arrangia gran parte dei brani che suonano in sala di registrazione. Nel 1967 ne nasce un disco, No Way Out, che è sì frutto della loro immaginazione, ma che vede la presenza del produttore farsi molto inquietante. Cobb rovinerà di fatto la carriera dei Chocolate, non lasciando loro lo spazio giusto e imponendo il suo modo di concepire la musica psichedelica.
Non c’è scampo e i cinque ragazzi non ci mettono molto a mandarlo a quel paese. Ma il lavoro chiama e i concerti sono divertenti, quindi perché mollare tutto? Resistere fino a che si può, questa sembra la via. Il secondo disco (The Inner Mystique, 1968) provoca una bella crisi. Di fatto non è neanche suonato dai Chocolate, bensì da una serie di turnisti che si avvicendano agli strumenti. Gli altri (ormai sono proprio solo “gli altri”) suonano in un paio di cover.
Cobb si è preso tutto: non solo scrive i brani e li arrangia, ma crea il disco tutto da solo. Agli “altri” rimangono le briciole e il nome appiccicato ad un disco che non hanno neanche realizzato.
Ovviamente la band si scioglie. Di nuovo.
Che fare?
Dopo l’abbandono iniziale di Torney, anche Loomis molla tutto e si dedica ad altro. Rimangono di nuovo solo in due, ma forse può bastare. C’è fretta, perché il successo ottenuto è grande e non va perso, pena il dimenticatoio. Quindi bisogna rimettere su la band al più presto e uscire con un nuovo lavoro.
Ma le cose non sono più le stesse. Non possono essere più le stesse. Ai fan il cambiamento non piace affatto e il livello dei brani non è minimamente all’altezza dei precedenti. Sarebbe bello un nuovo disco ma la formazione si scioglie nuovamente. La loro scalata verso la cima si blocca continuamente.
Ritornano Loomis e Andrijasevic e, finalmente, si può lavorare in pace. Esce quindi One Step Beyond, nel 1969. Il disco è composto da soli brani originali, eccetto I Don’t Need No Doctor cantata originariamente da Ray Charles. È un disco brillante, ma non cattivo come i precedenti. Eppure la musica è molto più simile alle loro performance dal vivo.
Tutto molto bello, sì, ma non basta. Il disco sarà un flop e i Chocolate si sciolgono definitivamente. Ed ecco quindi un’altra bella e promettente band che se ne va nella stanza dei dimenticati. Un produttore troppo esaltato che mette i bastoni fra le ruote e una scelta stilistica non troppo azzeccata rendono ancora più faticosa la scalata verso il gotha del rock.
Ma riascoltati oggi sono fenomenali.